Il tanfo della rivoluzione del calcio italiano mi disturba non poco. Pungente, penetrante, si avverte chiaramente fin dalla conclusione della disastrosa spedizione in terra brasiliana, che ha portato al nuovo, ennesimo, anno zero. L’era dei veri uomini, iniziata sotto l’egida del nuovo messia Antonio Conte e del triumvirato divino composto da Carlo Tavecchio, Adriano Galliani e Claudio Lotito è l’ulteriore dimostrazione della grande abilità, tutta italiana, di spacciare, con successo, una discarica di immondizia in un regale palazzo dorato, paradisiaco ed accogliente. Stampa e popolo pallonaro, ovviamente, non hanno rifiutato l’invito ad entrare. Del resto, basta turarsi il naso ed è fatta: tutto diventa bello, limpido e pulito, le prospettive si fanno rosee e le aspettative nuovamente rinvigorite dalla fiducia assoluta nella santità e nell’infallibilità dei nuovi proprietari del sontuoso immobile.
Ed ecco spiegato il motivo per cui si possano prendere lezioni di moralità dal nuovo C.T. senza battere ciglio, senza muovere obiezioni ad un “vero uomo” prescritto per doping da calciatore, coinvolto in partite truccate in tutte le squadre allenate tranne Juventus e Atalanta e infine squalificato proprio nell’ambito di un filone di calcioscommesse dall’attuale datore di lavoro. Tutto questo, beninteso, in tempi ormai sufficientemente lontani per la memoria ad hoc tipicamente italiana. L’animo di chi ascolta tali conferenze di buonismo e di etica morale, proferite da un piedistallo di fastidiosa sicumera mista ad arroganza, tipica degli impuniti, non si scuote neanche di fronte ad un ingaggio clamoroso, in tempi di ristrettezze economiche generali e più in particolare, per una Federazione che avrebbe dovuto occuparsi di altri problemi, concentrandosi su altre priorità, pensando a quanto si investe nelle nazioni europee in quei settori che possono concretamente migliorare un movimento calcistico, vivai e settori giovanili su tutti. Questo perché il tecnico tre volte campione d’Italia dà ampie garanzie di successo: il condottiero un po’ fiabesco, dalle straordinarie doti carismatiche, in grado di riportare l’ordine e magari, perché no, di camminare sulle acque se necessario. Lo stesso condottiero sconfitto senza alcuna pietà ogni qual volta abbia varcato le soglie nazionali, in un crescendo di débacle poco onorevoli per chiunque altro. Copenaghen e Galatasaray sono, evidentemente, ormai già un lontano ricordo. Oltretutto, avendo già individuato ed estirpato il male assoluto che risponde al nome di Mario Balotelli, non paiono esserci ostacoli credibili alla vittoria in carrozza di Europei e Mondiali. Con Zaza, mattatore in amichevole e contro la corazzata norvegese, Immobile, con il ritorno di “mister coerenza” Pirlo e con i “veri uomini” De Rossi e Buffon –102 anni in tre, nell’ottica del rinnovamento-, nessun traguardo sarà precluso. Eppure è curioso come in una nazionale piena di “elevati valori morali”, come continua a definirla l’invitto condottiero, i pilastri siano personaggi alquanto particolari, passati da strane frequentazioni in tabaccheria, a evidenti affermazioni di sportività e lealtà, a pugni, manate e cazzotti distribuiti in maniera inversamente proporzionale al numero di trofei vinti in carriera, nettamente inferiore al numero delle giornate di squalifica collezionate, a coinvolgimenti più o meno marginali in partite truccate, per tacere poi di alcuni comportamenti privati ben poco edificanti. Ma si sa che nella scala di valori da tenere presente per un giudizio morale di una persona, è più grave parcheggiare l’automobile sul marciapiede che cambiare mogli e famiglie come si cambiano le scarpe, così come in ambito prettamente sportivo, è più grave una prestazione sottotono condita da qualche gol sbagliato piuttosto che marcare visita in maniera sistematica durante qualificazioni e amichevoli della nazionale, per poi essere puntualmente in campo alla domenica con la propria squadra di club, come ci potrebbe insegnare, per esempio, il buon Barzagli.
Tutto questo ovviamente rientra, per la maggioranza degli addetti ai lavori, nella categoria delle becere illazioni e delle cattiverie gratuite, dettate dall’odio, o meglio ancora, dall’invidia per la figura del Messia leccese. Nulla infatti potrà scalfire l’aura di un tecnico presentato, addirittura, come un “grande investimento per il paese”. E d’altronde, come si può non credere che gli italiani dormano adesso sonni più tranquilli, sapendo che il loro futuro economico è salvaguardato dai prossimi, sicuri successi della nazionale di calcio? La garanzia, del resto, è data da Carlo Tavecchio, tanto grottesco e imbarazzante da essersi trasformato nel giro di pochi giorni (cioè nell’intervallo di tempo passato tra la sua candidatura e la sua elezione) in un personaggio simpatico, con le sue gaffe, con la sua scarsa padronanza della lingua madre e con le sue idee a dir poco aberranti sulla vita piuttosto che sul calcio. In fondo non è certo una novità che in Italia si finisca con l’amare tutti quelli che dimostrano indegnità a rivestire cariche di responsabilità, dopo averli profondamente odiati ed esposti al pubblico ludibrio. D’altronde, il palmarès di precedenti penali del rampante classe 1943 fa invidia a quello di tante grandi squadre europee, ma anche questo è ormai finito in secondo piano, grazie al meticoloso lavoro dei veri artefici e burattinai di questo squallido teatrino, la strana coppia Lotito-Galliani. La sacra alleanza, di cui già parlavo (profeticamente, ma non troppo) nell’Aprile 2013 ( https://www.diavoltaire.net/larte-della-guerra/ ), ha finalmente portato i suoi frutti. Il patròn della Lazio ha ormai il peso necessario per poter ambire all’introduzione della norma sulla doppia proprietà, non a caso già nell’agenda di Tavecchio, che aprirà la strada ad altre porcherie del genere, per altri presidenti con le stesse ambizioni. L’altro, quello con la cravatta gialla, re del mercato a parametro zero, ha già vinto la sua partita sul campo dei diritti televisivi, sconfiggendo Sky grazie agli ottimi rapporti con Infront e all’ingombrante posizione consolidata, da anni, nelle stanze dei bottoni.
Tutti paiono aver vinto, quindi. Galliani e Lotito, Tavecchio e Conte, gli uomini veri e il buonismo imperante. Ha perso solo Balotelli, messo alla berlina come unico responsabile di tutti i mali calcistici italiani. Vince, al tempo stesso, una stampa prezzolata che continua ad imbonire con chiacchiere inutili il tifoso medio, che ha già dimenticato un mondiale penoso, il pessimo livello della serie A, le scarse qualità tecniche dei calciatori a disposizione del Messia Conte, che resteranno tali anche negli anni a venire, considerato che di norme per rivoluzionare davvero il movimento non se ne vedono all’orizzonte, e difficilmente se ne vedranno, assorbite dai soliti palliativi a condimento di interventi ad personam, per favorire gli attuali padroni del gioco. E come al solito, quando il palazzo, ristrutturato per l’ennesima volta solo nella facciata, ma non nelle fondamenta, cadrà rovinosamente sotto i primi colpi ben assestati, si invocherà l’ennesima rivoluzione, tra lo stupore, lo sdegno e lo sconforto generale, sopiti dalla nomina del nuovo Messia di turno. To be continued…
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