Onore delle armi

Javier Zanetti

Javier Zanetti

Domenica sera, minuto 38 del secondo tempo, dall’alto della mia postazione nel terzo anello rosso vedo mazzarri preparare una sostituzione. Certo che prima anch’io mi lamentavo della mancanza di “clima derby”, quasi priva di tensione tra  due squadre che lottano in una zona della classifica che non le riguarda. Ma è altrettanto certo che gli ultimi minuti della partita che De Jong aveva messo sui binari giusti non ti lasciano indifferente. Battiti accelerati, pezzi di carta strappati incurante tra le mani, troppe sigarette. Uno degli interisti attorno a me che da qualche minuto si erano seduti rassegnati e rimpiccioliti si lasciò andare ad un urlo: “Zaneeeeettiiii cazzo” e mi convinse che toccava al loro capitano di entrare in campo. Scattò in piedi per applaudire e vidi Milito, mossa disperata di mazzarri per radrizzare la partita. Niente Zanetti, avversario di mille derby, accantonato in favore di due fulmini di guerra quali Nagatomo e Jonathan.

Visto che non ho potuto salutarti come si deve ti applaudo qui, Javier. Per me sei stato, sei e rimani, simbolo della parte scura della città. Capitano degli odiati nemici, portavoce di quelli brutti colori, generale del lato posteriore della Madonnina. Ma sei anche l’unico che proprio non sono mai riuscito ad insultare, esempio di correttezza e lealtà, dopo Maldini e Del Piero una delle ultime bandiere del calcio italiano. Proprio in un calcio nelle mani del business e del mercato, sempre più grigio e più sporco, tu sei simbolo della tua gente come sei simbolo del mio di calcio. E proprio dopo Del Piero cacciato a pedate, Maldini accantonato fuori dal mondo rossonero, Ambrosini salutato in una camera di servizio allora tocca a te a fare i conti con questo sport sempre di più praticato e governato da pupazzi squallidi.

Quindi ti saluto qui, Javier, scusami se non ho potuto farlo domenica. Rimarrà tua la faccia che vedrò per sempre associata al nerazzurro. Insulterò liberamente tutti gli altri che indossano quella maglia lì, ma sappi che mi mancherai. Perché oltre della tua squadra per me sei l’icona di un calcio perduto, di attaccamento alla maglia, di lotta e sudore, di durezza e lealtà. Scusa anche sto piccolo ometto che si siede temporaneamente sulla vostra panchina, quello l’avrò dimenticato fra qualche mese. Avresti meritato di giocare qualche minuto del tuo amato derby, in compenso parteciperai ad ancora mille partite nei ricordi della tua gente. E un pò anche in quelli della mia. Arrivederci, capitano!

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