C’era una volta un luogo in cui le palle erano sempre rotonde, in cui ogni mischia in area si tramutava in un fallo di confusione e tutte le volte che veniva sbagliato un gol, automaticamente, se ne subiva un altro: il luogo comune. La dura legge del calcio veniva applicata in maniera rigida ed inflessibile da una giustizia sommaria e il vento caldo dei soldi, unico dogma esistente in quel mondo marcio fino all’osso, soffiava forte su quelle stesse bandiere che ormai non esistevano più. Discorsi da bar si intrecciavano taglienti nei palazzi del potere, sebbene la prostituzione intellettuale dilagasse per le strade giornalistiche: affari alimentati dagli stessi bigotti inneggianti una mondatura mediatica. Nelle sale del mercato il chiacchiericcio sussurrava di procuratori che avevano rovinato il calcio e di numeri e serpentine di giocatori talvolta attaccati alla maglia, ma sempre con le parole giuste sulle labbra: “Mai dire mai, nel calcio tutto può succedere”. Le prestazioni vincenti delle compagini meno accreditate, dette “piccole”, erano frutto di sforzi compresi tra 101 ed il 110%, fino a toccare in occasionalmente il 200%: in questi casi il tifo presente nelle arene, composto unicamente da ultras e assolutamente privo di famiglie (uscite dagli stadi tempo addietro), manifestava la propria gratitudine facendo sbattere le proprie clave le une contro le altre e sfogandosi con applausi a scena aperta; tuttavia alcune squadre, definite “big”, riuscivano spesso ad ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo, sfiorando addirittura risultati tennistici.
Tutti i giocatori giovani venivano immediatamente trasformati in nuove edizioni di prodotti già esistenti, a volte persino incoronati dagli stessi prodotti non più utilizzati: si narra che un ex giocatore brasiliano abbia eletto a proprio successore, nel corso dei decenni, svariate centinaia di sportivi di qualunque sport. Questi ex calciatori, talvolta ancora durante la propria attività, venivano apostrofati come “mostri sacri”, probabilmente per gli indegni segni del tempo sui loro volti un tempo noti.
E poi venne la crisi, le cui cause sono tuttora oggetto di ferventi discussioni. Le voci più accreditate parlano di una crisi di parole: nonostante il tempo avanzasse, le espressioni utilizzate per descrivere l’universo circostante diventavano sempre meno. Un timido e assolutamente inefficace tentativo di salvataggio fu effettuato importando termini rubati ad altri idiomi: manite, remuntade e triplete furono lemmi introdotti con gran successo, senza tuttavia arginare il fenomeno di impoverimento lessicale. Quando si arrivò al punto da non poter più descrivere nulla, la gente smise di parlare del calcio, ed il calcio si spense in silenzio.
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