Ebbene sì, dopo un po’ di tempo è tornata la voglia di tornare a scrivere in maniera più estesa, di aggiungere nuovamente il blog alle, sempre attive, pagine social.
Svariati sarebbero i temi che si potrebbero affrontare nel primo post di riapertura del blog, alcuni dei quali sono “battaglie storiche”. Dal cambio di strategia societaria rispetto agli ultimi anni di decadenza berlusconiana, con un lavoro capillare sullo scouting, al basso profilo e concretezza nel campo della comunicazione. Dal rendimento in campo di alcuni giocatori che si stanno rivelando elementi di livello europeo, ai media che aspettano al varco il Milan, nella perenne attesa della prima sconfitta in campionato o della perdita del primo posto.
Il primo post della riapertura del blog lo vorrei però dedicare ad un protagonista che ha grossi meriti in questo splendido 2020 rossonero, ed il cui ruolo a mio parere viene sottovalutato dai media per il suo modo di fare mai sopra le righe e che non crea titoloni o clic facili: Stefano Pioli.
Arrivato a ottobre 2019, con la stagione già virtualmente alle ortiche, il tecnico emiliano aveva il compito già assegnato di mero traghettatore fino alla fine della stagione, in cui l’ennesima rivoluzione tecnica era già annunciata. L’idea della società, infatti, era quella di assumere Rangnick a giugno 2020 e di affidargli un ruolo da manager all’inglese, con conseguente forte ridimensionamento del ruolo di Maldini e Boban. Il croato non la prese benissimo e sappiamo tutti che cosa accadde dopo, ma questa è un’altra storia.
La partenza di Pioli non fu delle migliori, anche perché raccolse una squadra col morale a terra ed in piena confusione tattica, dovuti in buona parte alla scelta di affidarsi ad un Giampaolo che, purtroppo, al Milan non aveva capito proprio nulla. Dopo il 5-0 subito a Bergamo, punto più basso della gestione Pioli, nessuno avrebbe scommesso un centesimo sul tecnico emiliano, ma nemmeno su Maldini e sulla squadra, anche perché a gennaio gli innesti del mercato furono un Ibra 38enne proveniente dagli USA, un esperto difensore danese reduce da sei mesi di panchina fissa all’Atalanta e un ragazzino belga sconosciuto, mentre fecero le valigie Suso e Piatek.
E invece, da quel momento in poi, qualcosa cambiò. Ibra non era venuto a Milano a svernare, come tanti altri campioni e fuoriclasse arrivati in rossonero in tarda età nell’ultimo decennio, ma con un’enorme voglia di mettersi alla prova e vedere se era ancora in grado di giocare e incidere in Europa. E questa sua voglia di vincere contagiò il giovane gruppo, che prese il totem svedese che molto ha vinto in carriera come esempio, innalzando il livello degli allenamenti.
E, anche grazie alla presenza dello svedese come punto di riferimento in avanti, Pioli è stato enorme nel dare una veste tattica nuova alla squadra, liberandola dalla Suso-dipendenza. Il fantasista spagnolo ha dato il suo contributo al Milan, ma i suoi limiti imponevano vincoli tattici e il sacrificio di altri calciatori sull’altare della sua discontinuità.
Pioli a fine gennaio ha eliminato il 4-3-3 a favore di un 4-2-3-1, in cui il punto di riferimento è Ibra, ma soprattutto in cui ogni tassello è tornato al suo posto, con ogni giocatore nel suo ruolo ideale e col pieno inserimento degli acquisti estivi. Il rendimento di Kessié e Calhanoglu è lievitato notevolmente col cambio di ruolo, Theo e Bennacer hanno alzato il livello delle loro prestazioni in maniera considerevole, Ibra e Kjaer hanno dato forza fisica e tranquillità e la squadra ha infilato una serie di risultati incredibili nel post lockdown. Ovviamente, ci sono state anche delle scelte difficili, con alcuni giocatori, anche di un certo peso, sacrificati in nome di questo nuovo assetto. Oltre al già citato Suso, Piatek e Paquetà, costosi innesti di solo un anno prima, furono o ceduti o messi ai margini. Il polacco, centravanti con caratteristiche molto diverse da quelle da Ibra, aveva mercato e non era ideale per dialogare nello stretto con i trequartisti. Paquetà è stato bocciato per le sue caratteristiche non proprio adatte alla serie A e, dopo qualche mese ai margini, fu ceduto al Lione.
Il lavoro fatto senza clamori da un tecnico umile e preparato, che non si è arreso al ruolo annunciato di traghettatore, è stato enorme, a livello tattico, ma anche nella creazione di un gruppo unito, in cui ragazzi giovanissimi si divertono. Tutto ciò non è sfuggito alla dirigenza, che quindi, con intelligenza e attirandosi non poche critiche, cambiò idea, confermando il tecnico ed i pieni poteri a Maldini in ambito di gestione sportiva.
Lo scetticismo su queste conferme era anche comprensibile, vista la particolarità del calcio post lockdown in cui il Milan di Pioli era sbocciato, ma il lavoro di questa società e di questo tecnico umile, che non chiede acquisti multimilionari, che non critica l’organico chiedendo rinforzi o non si lamenta della dirigenza davanti alle telecamere ad ogni risultato sfavorevole (ogni riferimento a allenatori dell’altra squadra di Milano è puramente voluto), è continuato e ha portato ad una squadra che diverte, si diverte e sa quello che fa in ogni momento.
Una squadra che gioca sempre a due tocchi, senza fronzoli, fa girare palla ad ottima velocità, crea occasioni da goal con una facilità disarmante, in cui le cosiddette riserve, quando chiamate in causa, sanno esattamente che cosa fare, quasi sempre senza far rimpiangere i titolari (basti pensare che Ibra ha giocato meno della metà degli impegni stagionali o ad un dicembre fitto di impegni giocato con l’infermeria costantemente piena). Una squadra in cui anche ragazzini semisconosciuti fino a qualche mese fa offrono rendimenti di alto livello e non ha paura di giocarsela contro nessuno, cercando la vittoria fino all’ultimo anche quando decimata da assenze che avrebbero stroncato chiunque. I goal segnati negli ultimi minuti o nel recupero possono sembrare sinonimo di fortuna, ma sono soprattutto figli della volontà feroce di portare a casa il risultato, specialmente quando non si tratta di episodi isolati.
In tutti gli aspetti citati, è evidente che la mano del tecnico sia stata fondamentale, e la cosa più bella è che, viste età e caratteristiche dei giocatori, ci sono ancora ampi margini di crescita, a prescindere dal fatto che, contro ogni previsione, ma con pieno merito, il Milan abbia chiuso il 2020 in testa alla classifica e con il maggior numero di punto nell’anno solare. Con semplicità, efficacia e normalità. Non so come andrà a finire la stagione, ma questa squadra e questo tecnico meritano solo applausi .