La casualità della gioia, quella bella.

 

E niente, alla fine una parola come serendipity, roba da tazzone di tisane e romantiche ragazze sognatrici, tocca applicarla al nostro rude sport e agli amati colori.

In fondo quella casualità che porta a cose inaspettatamente belle , tipica di quando passi un capodanno orrendo per incappare due giorni dopo, un anonimo martedì magari, in una serata memorabile, ben si può applicare all’ attuale stagione milanista.

Attenzione, di meriti ce ne sono parecchi e sarà opportuno distribuirli, la casualità è più che altro da collegare alle aspettative del tifoso: dopo la stagione successiva all’ultimo terzo posto finita nel casino Allegri-Seedorf, quella dell’ entusiasmo di Pippus Michels e dell’ Empoli indomabile a San Siro, dopo quella dell’ illusione Bee durata un mese, la scorsa estate ha trasportato il tifoso totalmente al di fuori delle vicende di campo.

Closing, arrivo del medesimo, immediate analisi del fatturato di qualsiasi azienda cinese venisse accostata al Milan fosse anche l’ operoso bar sotto casa vostra, proiezioni su di un futuro radioso e spendaccione; ecco tutto ciò che ha affaccendato il mondo reale e virtuale a tinte rossonere tra giugno e agosto, come se il campo fosse una fastidiosa appendice da sopportare in attesa di tempi migliori.

Bene, al giro di boa il Milan si presenta con 36 punti e una gara da recuperare, ai quarti di Coppa Italia, con un trofeo in bacheca dopo cinque anni di digiuno, con l’ undici titolare più giovane del campionato e la concreta possibilità di tornare in Europa a maggio.

Troppa grazia, insomma, ma meritata e determinata da molteplici fattori

 

Ambiente

 

Un’ intera estate passata al riparo da qualsiasi aspettativa di classifica, con tutto il mondo dei media rivolto in direzione Cina, ha scrostato da qualsiasi pressione un ambiente che anche negli ultimi anni, almeno a parole, era costretto a raccontare e raccontarsi che lottava per il primato.

Di certo il distacco deciso della famiglia Berlusconi dal Milan ed il silenzio del gran capo, impegnato in cose ben più serie quali rimettere in carreggiata il cuore ottantenne portato a spasso dallo spiritello ancora quarantenne, ha giovato non poco: provate ad immaginare un Silvio in sella dopo Milan – Udinese o nell’ immediata claudicante gara successiva a Genova vinta giocando malissimo. Di sicuro sarebbe spuntato uno di quei bei “non capisce un cazzo” non detti direttamente ma magari riferiti da “qualcuno della sua cerchia parlamentare”, entità indistinta dietro alla quale mille giornalisti hanno celato spifferi di vario genere in questi anni. Certo c’è stato il suo pontificio intervento al derby per ribadire il gradimento per le due punte, ma quello è quasi pratica burocratica da espletare con qualsiasi tecnico per lui, oppure lo spassosissimo aneddoto di lui che dal San Raffaele , nel pieno della degenza post operatoria, domandava un decoder per visionare Lapadula, nulla però di così destabilizzante come in altri momenti.

 

Tecnico

 

Non è che ci siano proprio stati cortei al suo arrivo: perfino qui in redazione il solo Gimbal si può definire suo estimatore da sempre. Accoglienza tiepida , un po’ dovuta come detto al maggior interesse alle vicende extra campo, convinzione che il suo stile di gioco fosse del tutto inadatto alla rosa del Milan, profilo decisamente più basso rispetto a Mihajlovic a livello verbale, la generale sensazione che fosse un qualcuno messo lì per ora, ma sempre in attesa di quei tempi migliori che dovevano senza dubbio arrivare.

Invece ci troviamo di fronte ad un serio candidato per divenire il miglior tecnico del Milan dal 2009 ad oggi.

Bravo ad entrare in punta di piedi in un ambiente in cui poco chiaro era il futuro, oscure le intenzioni della vecchia proprietà, non troppo amichevoli i tifosi ancora memori di quel carico di reciproco veleno transitato sull’asse Firenze – Milano nella primavera del 2013.

Impassibile sul mercato dove , se ci pensate, i mancati arrivi spesso hanno evidenziato nuovi punti di forza nati dalla piena necessità: l’ attuale roccioso Paletta è lì perché il Villareal si era stufato di impegni morali a riscattare un domani Musacchio,  l’ imprescindibile Suso, autentico leader tecnico del Milan a nemmeno ventiquattro anni, di sicuro non era immaginato titolare in un tridente per il quale si sognavano Pjaca o Cuadrado. In fondo anche l’ ormai totale duttilità di Bonaventura sul settore sinistro tra mediana e attacco affonda le radici nella necessità di ricavare la qualità da ciò che si ha a disposizione e non da ciò che sogni. Sensazioni che un Roberto Mancini non ha mai provato, per dire.

Sufficientemente duttile per recepire per primo il dubbio sulla compatibilità del suo stile di gioco con questa rosa: infatti proprio lui da sempre indicato come poco attento alla fase difensiva, ha per prima cosa pensato alla solidità delle fondamenta e a ciò che meglio di ogni altra cosa giova al morale, i punti in cascina, per poi lavorare gradualmente ad una manovra in grado di concedere anche all’ occhio la sua parte, progresso da subito visto nelle due sfortunate gare con Roma e Atalanta e tuttora in evoluzione.

Totalmente meritocratico nel metodo: sin dai tempi dell’ ultimo Ancelotti, per mille motivi differenti, al tifoso milanista era sembrato, magari anche a sproposito in certi casi, che quel giocatore o quell’altro fossero in campo perché pallini del tecnico, perché tutelati dal presidente, per lo squilibrio che una loro esclusione avrebbe creato nello spogliatoio. Bene, non so voi ma a me quest’anno è definitivamente passata questa sensazione.

Basti pensare al Locatelli  per metà autunno  costantemente impiegato come subentrante e poi  divenuto titolare dopo l’ infortunio di Montolivo a dispetto di un costoso Sosa potenzialmente adattabile in quel ruolo: la gara col Cagliari sempre giocata a testa alta, reclamando palloni per sé da poter smistare ed una maggior ricerca delle verticalità rispetto ad alcune uscite precedenti, è totalmente figlia dell’ insistere da parte di Montella nel ragazzo, sicuro delle sue potenzialità a dispetto della normale timidezza in certi momenti e in un ruolo così delicato, svanita proprio il giorno del suo diciannovesimo compleanno.

 

Società

 

Mai stati teneri con loro, e d’altra parte l’ ultimo decennio, salvato dalla totale astinenza soltanto da un Ibra che un giorno pensò bene di litigare con mezzo spogliatoio del Barcellona, non è che ce lo siamo inventato noi tifosi rosiconi, e l’ abbiamo trascorso a reggere strascichi di cicli vincenti di Inter e Juve mandando a picco nel frattempo fatturato e bilanci tra rinnovi alla memoria e firme di glorie appassite.

Va però detto con la medesima obiettività che il programma giovani, quello messo in piedi nel 2009, sta iniziando a portare notevoli frutti restituendo al club un vivaio in grado di produrre titolari, riserve e magari in un futuro merce utile per arrivare a giocatori di quelle medio-piccole e spezzare il dannato asse che pare far gravitare tutto attorno agli uffici di corso Galileo Ferraris a Torino.

Per anni abbiamo sentito ripetere dai difensori ad oltranza della società che il Milan necessitava di giocatori pronti, che i giovani erano roba da Udinese, che “Torres ed Essien fanno vendere magliette”. Pensate a quanto sono buffi ora che si appuntano il Milan dei giovani e delle intuizioni alla Suso come loro personale medaglia: equilibrismo scilipotico allo stato puro.

 

Perché il punto è proprio questo: in      questi ultimi, faticosi anni, ci siamo sentiti dire di tutto, ma tutto sintetizzabile in un concetto: tifosi viziati e che tifano non per il Milan ma per un Milan che vince. Le ritrovate presenze allo stadio per un Milan il cui futuro è un’ incognita, che di sicuro non potrà lottare ora per questo scudetto, sono la dimostrazione che un Milan normale, un pugno di ragazzi giovani e capaci pure di piangere per questi colori come a Doha, il definitivo tramonto di certi indegni circhi e proclami di reni da spezzare alla consueta Grecia, sono elementi più che sufficienti per riprendere la sciarpa e camminare in direzione di quello che resta il più bello di tutti i templi pagani: San Siro.

 

 

 

1 comment for “La casualità della gioia, quella bella.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *