Sia messo agli atti che sono assolutamente favorevole a concentrare le qualificazioni mondiali o per gli eventi continentali in un meraviglioso mese e mezzo da piazzare dove capita ogni dannato anno dispari. Un po’ per dare lustro e rendere vero evento le gare delle nazionali che al di fuori dei grandi tornei sono gradevoli quanto un sacchetto di termiti rovesciato nelle mutande, molto per evitare lo sgradevole e pericoloso mix di nulla da scrivere e righe da dover comunque riempire che viene fornito a troppi pseudo giornalisti durante i fastidiosi periodi in cui albergano le orride pause del campionato.
Poco più di una misera decina di giorni è trascorsa dal fischio finale di Palermo – Milan eppure scopro che i cugini ad esempio hanno ufficializzato Pioli ma in realtà hanno già la parola di Simeone per giugno, che il nostro Donnarumma probabilmente è fermo nel piazzale dell’ autogrill di Lainate incollato al cellulare per capire da Raiola se debba impostare il gps su Manchester o Torino, ma soprattutto che il Milan è più o meno destinato all’ annientamento.
Eh già, perché una delle poche cose che abbia avuto in questa pausa la veste dell’ ufficialità è stato il comunicato di A.C. Milan per l’ assemblea del 2 di dicembre eventualmente da posticipare al 13, quel passo che sancirà la fine di trent’anni che hanno segnato la storia di questo club, quel passo che già era stato di fatto preannunciato da Galliani qualche giorno addietro quando per la prima volta ha accennato al suo futuro lontano da poltrone e sorti del club rossonero.
Inutile dire che sentire certe parole da uno che è lì da una vita fa un certo effetto a tutti, inutile pure dire che un Milan senza Berlusconi sarà comunque una cosa strana visto che qualcuno sotto questa presidenza ci è nato, altri ci sono cresciuti e chi ha memoria di altre ere è probabilmente depresso per il fatto di essere ormai decotto o giù di lì.
Se posso capire lo spleen verso la fine di un’ era che è sicuramente valso la pena vivere, fatico a comprendere i sinistri vaticini, le campane a morto e più in generale la sensazione che quello di Berlusconi sia l’ unico Milan possibile.
In realtà ad andarsene è l’ ultimo baluardo di un modello organizzativo ormai desueto per un top club calcistico a livello europeo, quello del club di Tizio, Caio o Sempronio: se venti e più anni fa Mantovani significava Sampdoria, Tapie Marsiglia, Sensi la Roma e via dicendo, ormai l’ era del “presidente” è finita, ben poco sappiamo di chi effettivamente sia dietro alla gran parte delle squadre europee col fatturato più alto. Gli Agnelli hanno ormai giusto un nome incastonato e non fanno i “padroni” dal 1994, perfino Abramovich beneficia ormai di una struttura consolidata da anni ad alto livello e delle pioggia di denari che bagna la Premier League senza dovere per forza di cose far quello che “piange e paga” come ama dire Silvio.
La parabola del Milan di Berlusconi è stata curiosa in questo senso: se infatti per idee e concezione del calcio è stato per tanto tempo davanti a tutti, la regressione sul finale rappresenta qualcosa di clamoroso.
Nei primi duemila il Milan dispone di una squadra dirigenziale che oltre a Galliani annovera Braida, Leonardo, la Masi, tutte eccellenze disperse tra improvvide promozioni a tecnico, beghe tra AD vecchi e altri rampantelli e guerricciole che da troppo tempo lacerano l’anima di questo club.
Ma anche nei momenti in cui dispone di un organigramma di altissimo livello, sempre si percepisce una certa antichità: il Gila e Ronaldinho non sono acquisti, sono “il regalo di Berlusconi”, il buon Confalonieri ancora ricorda che per Nesta si devono inventare uno svarione clamoroso patito contro lo Slovan Liberec per convincere il padrone. E non parliamo delle volte in cui abbiamo sentito in questo ultimo decennio di un giocatore che era praticamente del Milan e bastava soltanto l’ assenso di Berlusconi: per Nainggolan ad esempio io attendo fiducioso da appena tre anni.
Come se non bastasse, nell’ ultima versione del Milan berlusconiano l’anima si disperdeva in due ulteriori rivoli: i figli che contavano per davvero nelle scelte economiche di famiglia che hanno sempre visto il Milan come un fratellaccio discolo che di anno in anno dilapidava pezzi di eredità da un lato, le scelte discutibili di Galliani dall’ altro, scelte che a fronte di risultati sul campo e bilanci costantemente in rosso avrebbero dovuto più di una volta portare il gestore del secondo fatturato calcistico italiano alla porta e non sempre più in auge di anno in anno.
Mi rivolgo insomma ai profeti della nuova Cartagine in piazza Portello: secondo voi si poteva andare ancora avanti a lungo così? Secondo voi sono immortali Berlusconi e Galliani?
Vi siete accorti che ha poco senso celebrare le enormi ricchezze di Berlusconi se da anni la parola cartellino è considerata offensiva per qualsiasi giocatore desideriamo trattare, se quest’anno è un lustro dall’ultimo trofeo e l’ anno prossimo un decennio buono dall’ultima Champions League?
Non faccio parte degli odiatori di professione di Berlusconi, ho sempre saputo scindere calcio dai mille altri ambiti della sua vita e dunque confesso che non mi sarebbe dispiaciuto nascesse una dinastia, che i figli portassero avanti il club apportando i necessari interventi di ammodernamento per traghettarlo dall’epoca del calcio dei mecenati a quella del calcio moderno, mi spiace sinceramente che non abbiano capito che quello del Milan è assieme alla Ferrari l’unico marchio sportivo italiano in grado di scollinare senza problemi differenze di lingua e fuso orario dal nuovo mondo sino all’ Asia antica, quell’ Asia che non a caso ha deciso di comprarselo un simile carico di ambulante gloria.
Nessuno ha la sfera di cristallo, ma stiamo parlando di un fondo o chiamatelo come volete che sta per mettere sul piatto dopo robusto acconto altre centinaia di milioni soltanto per avere l’ onore di varcare la soglia di casa nostra, questo ancora prima di aver opzionato anche solo mezzo polpaccio di quel terzino belga o mezzala croata sul cui talento alcuni capiscers sono disposti a giurare sulla mamma ; visto che i riferimenti ai cugini e alla mitologica “potenza di Suning” sono continui, non sembra che ci si trovi di fronte a quel Thohir che le sue quote dell’ Inter le rilevò a prezzo di saldo e con gioia da chi era soprattutto interessato a liberarsi da una pesante e prolungata esposizione bancaria.
Chiaramente di fronte a discorsi contenenti chicche quali “asiatici senza cuore” o “cinesi che pensano solo agli affari” c’è solo da alzare le mani e tacere: è ovvio che il calcio europeo di alto livello con la sua visibilità planetaria sia visto come enorme veicolo e biglietto da visita per il proprio business e per i proprio interessi e che per tali scopi sia necessario portarlo o riportarlo ad alto livello il club che si acquisisce. La pensava così anche un rampante imprenditore lombardo che trent’ anni fa decise di rilevare una gloriosa ma un po’ offuscata stella di nome A.C. Milan, ve lo ricordate?
Si chiamava Silvio Berlusconi
2 comments for ““Cosa le posso portare?” “Allora, vorrei un Berlusconi dell’ 86 corretto a Galliani del 92””