
“Ora è comodo: per andare da un fronte all’altro basta andare dai due lati della città”
L’ ultimo folle azzardo, sogno coltivato per anni e sempre neutralizzato da vittorie e dall’ eleganza nel glissare di gente come Capello o Ancelotti, si è compiuto: Silvio è diventato allenatore del Milan.
A nulla sono serviti continui endorsement da parte di quei 12-13 giocatori su cui Sinisa ha potuto effettivamente contare nel periodo di gennaio-febbraio in cui pareva davvero che una base per il futuro potesse nascere: ai buoni risultati corrispondevano richieste di due finali di Champions entro cinque anni, sulla delicatezza di un equilibrio ottenuto con lo scotch veniva dolcemente schiantata una richiesta di vincerle tutte da lì alla fine; poi, dopo venti minuti e quattro occasioni mangiate nella tana di Squinzi, il rude scarpone di Duncan poneva fine alla trasmissioni.
La terza vita di Sinisa al Milan, dopo il tracollo interno col Napoli (ultima sua col 4-3-1-2 e la difesa alta, che combinazione…) e dopo la sfortunata gara col Bologna, è finita in quel momento, e sia chiaro che non è finita soltanto agli occhi del capo, ma pure di molti tifosi che hanno iniziato a dire che sapeva fare solo il 4-4-2, che la squadra non aveva gioco, che “sarà pur in grado di far meglio anche uno come Brocchi”.
Eccovi serviti, fini intenditori di calcio.
L’ aria che si respirava al momento dell’ insediamento di Brocchi era qualcosa di meraviglioso, una Berlino nei primi mesi del ’45 con gerarchi sparsi tra televisioni e giornali impegnati a lodare la nuova arma prodigiosa che aveva spezzato le reni alla Doria, mentre i comuni tifosi osservavano macerie tutto intorno e ascoltavano attoniti discorsi sul “bel giuoco col possesso palla” come altri diversi decenni prima ancora udivano in quei giorni tremendi frasi del tipo “vinceremo perché dobbiamo vincere”.
Che l’ Armata Rossa potesse essere interpretata da Romulo, Siligardi e Pazzini, era invece eventualità non immaginata neppure dai più inorriditi che, anzi, avevano colto con una certa perfidia la decisione di riservarsi il finale più facile possibile per fare punti e dimostrare al mondo che “il presidente ha avuto ragione di nuovo”.
Ora però il re è nudo: nessuno dubita per un solo attimo che il pronti-via col trequartista dal primo allenamento, l’ indecente Boateng titolare col Carpi o il Menez rispolverato a Verona siano farina di Brocchi ma piuttosto meri ordini eseguiti, perfino Galliani che di colpe ne ha a profusione ha tentato in ogni modo dal farlo desistere quindici giorni fa dal prendere una simile decisione.
Tutti immaginavano gli effetti che avrebbe avuto sui pochi buoni in squadra una simile dilettantesca decisione, tutti immaginavano il sangue alla testa che sarebbe venuto a chi la maglia l’ha sudata per un anno pur con notevoli limiti tecnici nel vedere che bastavano un paio di scemi di talento per fare fronda e destabilizzare un intero ambiente, tutti tranne Silvio.
Narrano ora di un vecchio amareggiato per la fila di insulti che riceva più o meno ovunque da quando il suo staff ha scoperto Facebook, si vocifera addirittura che a fronte di richieste di cessione della maggioranza abbia provato la carta di avere l’ ultima parola sul mercato.
Leggende probabilmente, ma non troppo lontane della realtà del personaggio.
Per una vita le vittorie del Milan sono state merito suo esattamente come le sconfitte erano colpa di tutti tranne che di lui, è tremendamente giusto dunque che nel finale di tutto, aziende politica e sport, almeno in un singolo campo abbia deciso di gettare la maschera senza parafulmini di sorta e l’ abbia fatto come tutti i satrapi in declino nell’ assoluta convinzione di essere l’ unico a sapere come si fanno le cose per davvero.
Si diverta, presidente.
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