Teste, code, serpenti e controsensi

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Non so spiegare quale sia stato l’impulso che, dopo diversi mesi, mi ha spinto ad aprire di nuovo un file Word sul mio pc per scrivere di Milan. Forse, i paradossi di queste due settimane, la quantità incommensurabile di inesattezze lette e sentite, mi hanno portato a riflettere su quale potesse essere la metafora migliore per definire questo momento storico dell’ambiente rossonero, a partire dalla dirigenza, passando per squadra ed allenatore, e per finire ai tifosi e all’universo variopinto del web milanista. Inizialmente i miei pensieri si erano soffermati sul classico serpente che si morde la coda, eppure la descrizione non mi ha convinto, non mi sembrava esaustiva. Non sufficientemente. Ed ecco all’improvviso l’illuminazione: se quello stesso serpente, mentre si morde la coda, fosse in grado di mettersi alla guida di un’auto, contromano, sulla tangenziale all’ora di punta, potrebbe rappresentare la perfetta fotografia di quella che è la nostra situazione.

A prescindere dai risultati di campo e dalle valutazioni tecniche e tattiche, che per una volta lascerò da parte – anche perché, ormai, superflue -, resto sempre colpito dalla fedeltà di gran parte del tifo rossonero a quel copione già scritto da anni, puntualmente recitato a memoria in tutti i momenti storici che sanciscono la fine delle velleità e degli obiettivi stagionali. Il protagonista è sempre l’allenatore, manco a dirlo. Colpevole di avallare mercati sbagliati, di richiedere giocatori inadatti, di non dare un gioco spumeggiante alla squadra con paragoni che tirano in ballo le provinciali, che vanno avanti tutto l’anno con catenaccio e contropiede, di non infondere il suo carattere alla squadra, come se si potesse trasmettere per imposizione delle mani, di rilasciare dichiarazioni nemmeno verificate ma a cui si può credere sulla fiducia, che destabilizzano l’ambiente a stagione ancora in corso.

Chissà cosa pensava l’attuale mister quando in estate, la nostra testa decideva di rappresentare l’ennesima sceneggiata strappalacrime, facendo credere di poter ingaggiare un allenatore top che aveva alle spalle un club come il Bayern Monaco, invece di concentrarsi su come rinforzare realmente una rosa piena zeppa di lacune in ogni reparto. La testa ha ben pensato di guardarsi dietro, di cercare conforto in un passato glorioso che non poteva tornare, nemmeno formalmente, con un nome da spendere per generare quelle illusioni vitali per la sopravvivenza, ormai divenute pane quotidiano. E chissà cosa pensa oggi, quando nonostante una classifica che parla di un piazzamento europeo e annessa vista sulla finale di un torneo, seppur minore, da disputare, viene sbertucciato in pubblico sulla base di dichiarazioni fasulle, di “senatori” che attaccano altri giocatori ai microfoni nel post gara e del gusto estetico di tifosi convinti che si possa fare gran calcio anche con gli interpreti attuali, i quali sono sottoposti a loro volta a critiche perché scarsi, sopravvalutati, e di conseguenza erroneamente voluti dal tecnico : tutti paradigmi del masochismo rossonero, lanciato a folle velocità nel senso inverso di marcia mentre si morde la coda, sciorinati e concatenati come perle di un rosario in una incomprensibile litania rituale.

In ogni caso, è probabile che l’attuale mister pensi al fatto che al Milan nessun allenatore ha mai fatto mercato, dai tempi di Reiziger, Kluivert e Bogarde in poi, ultime eccezioni alla regola. E probabilmente l’attuale mister si ricorda che quando questi tre giocavano al Barcellona, i blaugrana non erano certo soliti dominare la Spagna e l’Europa, come accade oggi, bensì molto più avvezzi a farsi eliminare, in casa, dai Zalayeta di turno. Così come la Juventus di Almiròn e Amauri non riusciva, stranamente, a collezionare campionati in fila con estrema facilità. Ma per la distorta mentalità del serpente è più comodo pensare che con qualcun altro sulla panchina, magari qualcuno avvezzo a collezionare avvisi di garanzia e a trapianti tricologici, a quest’ora si potrebbero dettare lezioni di calcio in giro per l’Italia e magari, perché no, convincere i vertici UEFA a concederci una wild-card eccezionale per la prossima Champions. Oppure pensare che il pur ottimo Donadoni a questo punto della stagione ci avrebbe portato in Europa dalla porta principale.

Senza dubbio, considerando il valore del campionato italiano, certamente non eccelso, è ragionevole pensare che con qualche infortunio in meno e un po’ di fortuna in più si sarebbe potuto far meglio, e restare a pieno titolo nel gruppo di chi ancora lotta per la terza posizione. Ma al tempo stesso basterebbe togliere le fauci dalla coda e guardare avanti per capire che anche il tempo perso ad inizio anno, tra moduli improbabili, esternazioni risibili, imposizioni pietose, mercato condotto senza alcuna logica di campo né attenzione alle caratteristiche dei giocatori acquistati e di quelli già presenti in rosa, è da imputare alla testa. Quella testa che, prima di ogni altra cosa, andrebbe cambiata, sostituita, esonerata, estirpata. Decapitata. Ma forse non c’è più tempo per capirlo, e nemmeno per rimediare, probabilmente. Perché siamo pur sempre contromano in tangenziale nell’ora di punta, e ci stiamo guardando indietro. E schiantarsi contro un Tir è solo questione di attimi: infinti e strazianti attimi.

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