Ogni anno nel calcio europeo spunta qualche Alessandria a farsi strada nella coppa nazionale, ma non tutte giocano in una città dove vige il coprifuoco, pattugliata dalle forze speciali del proprio paese che più o meno quotidianamente sedano qualche scontro ammazzando gente a casaccio.
Si tranquillizzino i conterranei di Rivera e non sbircino dalla finestra allarmati: la città in questione si chiama Diyarbakir, un tempo nota come punto di appoggio per le grandiose rovine del Nemrut Dagi, tristemente conosciuta ora come principale centro curdo di quella Turchia che , prima di finire sotto la lente d’ ingrandimento del mondo ma soprattutto della Nato, aveva trovato nella totale doppiezza verso Daesh, Isis se preferite, un’ ottima occasione per sbarazzarsi di un cospicuo numero di quei curdacci che da troppo tempo creano loro problemi, chissà, forse perché considerati cittadini di serie B da sempre.
Innumerevoli prima dei fatti di Parigi i rapporti su raid turchi che partiti per bombardare le postazioni delle forze di Al-Baghdadi, si abbattevano per sbaglio sulle postazioni alleate in questa guerra, “casualmente” quelle dei Peshmerga, l’ esercito del Kurdistan Iracheno, più che evidenti le foto satellitari dell’intelligence russa che ritraevano infinite colonne di autobotti cariche di petrolio di contrabbando, principale fonte di approvvigionamento di pecunia di Isis, che evidentemente i doganieri turchi non vedevano per pura distrazione, stabilita come certa la rotta turca come principale autostrada per i foreign fighters da e per l’Europa con Aksaray, quartiere di Istanbul a quattro fermate di tram dalla Mosche blu come maggior centro di fabbricazione di passaporti falsi e nuove identità per chi desideri frequentare bar, ristoranti e cinema d’Europa con scopi pirotecnici.
Inutile elencare il progressivo ritorno al vecchio sultanato messo in atto da anni da Erdogan, in barba alla laicità che Mustafa Kemal aveva posto come pietra angolare delle Turchia moderna, inutile elencare le centinaia di soprusi e violazioni subite da chi a tale processo ha provato ad opporsi: politici, giornalisti, giudici, gente comune.
Oggi l’illuminismo del nuovo sultano è giunto sino al calcio, ad un ragazzo di nome Deniz Naki, giocatore dell’ Amedspor , squadra di terza divisione di Diyarbakir giunta sorprendentemente ai quarti della coppa nazionale dopo aver eliminato il Bursaspor, prossima all’arrivo al Surku Sarakoglu per l’impossibile sfida al Fenerbache.
Deniz Naki, curdo nato in Germania, ha festeggiato l’arrivo ai quarti con una dedica su Facebook:
“Dedichiamo questa vittoria a coloro che hanno perso la vita e ai feriti durante la repressione nella nostra terra che dura da più di 50 giorni. Siamo fieri di essere un piccolo spiraglio di luce per la nostra gente in difficoltà. Come Amedspor, non ci siamo sottomessi e non ci sottometteremo. Lunga vita alla libertà!”
La reazione è stata un blitz dell’ anti terrorismo nelle sede del club e una squalifica di dodici giornate inflitta dalla Federcalcio turca. Reato di opinione insomma, palesemente su suggerimento del governo.
La curiosità ora è tutta rivolta a quella che sarà la reazione del mondo del calcio, più che altro di quella UEFA costantemente attenta a temi quali razzismo o fair play in campo. Il rischio, data l’attuale vacanza di un vertice, è quello che si preferisca far finta di nulla anche per non urtare la sensibilità di un voto pesante come quello turco da parte di tutti i candidati. In più pare ormai consuetudine in virtù del pesantissimo ruolo svolto dalla mezzaluna sia riguardo all’emergenza profughi che a quello logistico per l’ alleanza anti-Isis, quella di bypassare violenze e soprusi di ogni genere : è di non molti giorni fa la richiesta d’ ergastolo per il direttore di Cumhuriyet per un’ inchiesta sul traffico d’ armi tra Turchia e Siria con l’appoggio logistico del MIT, i servizi segreti turchi. Non si sono udite parole di indignazione vera da parte di nessuno, da nessuna delle due parti dell’ Atlantico. Il massimo organo calcistico europeo rischia insomma di finire in un gioco per una volta più grande di lui, molto più grande. Però sarebbe carino se un gruppetto di giocatori , di quelli veramente forti e che nulla hanno da temere visto che al pallone del vecchio continente fanno guadagnare fiumi di denari, alzasse una volta la voce in difesa di un collega, uno che causa talento si è dovuto accontentare della polvere anatolica priva di lustrini, ma che ha una concezione del coraggio individuale piuttosto diversa da quella relativa al tirare o meno un rigore in una finale.
4 comments for “Nuovo impero ottomano, anno 2016. Reato di pallone.”