Bel giuoco e dintorni

iSan SiroDomenica sera,  mezzanotte circa.

Ho da poco terminato le pagelle per Milan Fiorentina, a casa dormono tutti, mi spalmo sul divano per rilassarmi e godermi su Sky il post partita, debitamente registrato.

Ho ancora l’adrenalina in circolo, come sempre mi capita quando una vittoria del Milan è accompagnata da una prestazione altamente convincente, almeno per me. L’ultima volta che sono stato carico dopo una partita del Milan nemmeno me lo ricordo.

Arriva Sinisa, complimenti di rito dallo studio, poi la domanda di M. Mauro al nostro allenatore: “Sinisa, quando vedremo il Milan giocare bene?” (n.d.r. la gestualità delle mani accompagna le parole per sottolineare il concetto).  Sinisa abbozza un sorriso, dice che “stasera abbiamo giocato bene” e ricorda le statistiche del girone d’andata, in cui il Milan risulta la terza  squadra per numero di tiri effettuati.

Ci rifletto su e penso che il dato statistico richiamato da Mihajlovic non è significativo per dimostrare che il Milan sta giocando bene, è solo uno dei tanti indici. A pensarci bene neppure posso concordare sul fatto che il Milan domenica abbia giocato bene. Ha giocato di squadra, questo si, uno per tutti e tutti per uno, con una tigna e una feroce concentrazione che non si vedeva da tempo immemore, almeno con tale continuità nell’arco dei novanta minuti.

Ma quand’è che si può dire che una squadra pratica un bel gioco? L’ideale di bellezza è quanto di più soggettivo possa esserci, e nel gioco del calcio è spesso ab origine macchiato dal tifo, se non da una semplice antipatia o simpatia. Un antico detto popolare, meno banale di quanto sembri, recita: “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”.

Ciascuno di noi ha nella propria testa un’idea di bel calcio, quasi sempre un modello di riferimento. A me piace il calcio tambureggiante e d’attacco, che si sviluppa su tutto il fronte offensivo, senza la ricerca ossessiva di una immediata verticalizzazione. Il mio modello è stato il Milan di Sacchi, irripetibile sia per gli interpreti che per il cambiamento dei regolamenti. Non mi è mai piaciuto il tiki taka di Guardiola ad esempio, quella ragnatela asfissiante di passaggi, finalizzata ad entrare in porta col pallone. Non mi piaceva perchè non era un calcio tridimensionale. Si sviluppava in larghezza e in profondità per la classica imbucata. Ma era un’idea di calcio che ignorava totalmente l’altezza, la palla viaggiava sempre rasoterra, con il divieto quasi  assoluto di alzarla, niente lanci lunghi,  neppure per cambi di campo o contropiedi a campo aperto, niente cross (mentre con Luis Enrique la palla all’occorrenza viene alzata e si cerca di verticalizzare più rapidamente). Ma si può dire che non fosse un bel calcio? Per gli amanti del genere vedere giocare quel Barcellona era un’autentica goduria, un’orchestra su un rettangolo verde. Prendiamo la Juventus di Trapattoni e Platini. Aveva fior fior di giocatori e avrebbe potuto realizzare un calcio offensivo. Viceversa, soprattutto quando giocavano in Europa, il Trap si affidava a difesa e contropiede: Platini arretrava il raggio d’azione e i suoi piedi diventavano una catapulta che effettuava lanci millimetrici per le punte. Era un bel gioco? Per i miei gusti no, ma le giocate di Platini, circondato da compagni che si muovevano come meccanismi di un orologio per assecondarne il genio, raggiungevano picchi di spettacolarità.

Ma servono solo i fuoriclasse per giocare bene? Chi ha dubbi si guardi il Sassuolo di Di Francesco o l’Empoli di Sarri dello scorso anno,. E dunque, quando si può parlare di bel gioco per una squadra, esistono dei canoni? A mio avviso si. Quando i giocatori messi in campo sanno tutti dove stare e cosa fare, quando si muovono ciascuno in funzione dell’altro e, soprattutto, fanno tutto ciò con la massima naturalezza e armonia, quando gli automatismi sono stati talmente assimilati da regalare allo spettatore profano l’illusione che il calcio sia lo sport più semplice del mondo, allora, per me, si può legittimamente parlare di bellezza.

Contro la Fiorentina il Milan si è mosso finalmente di squadra, mantenendo le giuste distanze tra i reparti in ogni fase della partita, un equilibrio che ha valorizzato anche le singole prestazioni. Ma, nonostante l’impegno profuso, a tratti quasi commovente, non era un bel calcio, a mio avviso. Non era bello perchè, al di là dei gusti personali di ciascuno di noi, la sensazione era quella di stare sul filo del rasoio, dietro ogni volto, dietro ogni movimento, si leggeva la sofferenza ela fatica bestiale per non commettere il solito errore che avrebbe pregiudicato il risultato.

Se a Sinisa verrà dato il tempo necessario per plasmare la squadra, farle acquisire quegli automatismi che solo il tempo dà, a maggior ragione quando manca l’humus per seminare, quando ci sarà quella fluidità e consapevolezza nei propri mezzi, seppure limitati, che ancora manca, allora si potrà parlare, nel suo genere, di bel calcio.  Non sarà certo un gioco guardioliano, neppure si potrà vedere il possesso palla del Napoli di Sarri o della Fiorentina di Sousa (“i nostri giocatori sono più predisposti a strappare e a portare palla” cit. Mihajlovic), ma sarà comunque un calcio godibile, compatibile con il tipo di giocatori che abbiamo. Una specie di piccolo Atletico Madrid che certo, nel suo genere, gioca bene.

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