Le bandiere sono la soluzione. Forse.

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Paolo Maldini si è ritirato il 31 Maggio del 2009. Tutti, senza dubbio, ricordano l’increscioso episodio della contestazione di una frangia (in verità molto esigua) di tifosi in occasione della sua ultima gara interna a San Siro. Molti, forse anche per un senso diffuso di colpa dopo questo avvenimento, soprattutto tra il nutrito popolo di tifosi sul web, sono convinti che il suo ingresso in società sia una soluzione imprescindibile per il ritorno in auge del vecchio Milan vincente e plurititolato. Del resto, volente o nolente, il buon Paolo è stato quasi sempre visto, nell’immaginario collettivo, come la nemesi di Adriano Galliani e della sua conduzione degli affari rossoneri, sul mercato e non solo.

Le critiche dell’ex capitano, infatti, non si contano, così come le interviste, a cadenza più o meno regolare (e quasi sempre in concomitanza di periodi particolarmente difficili dal punto di vista dei risultati sportivi per la squadra rossonera) nelle quali – giustamente – la bandiera di lungo corso sottolinea l’inadeguatezza dell’Amministratore Delegato in sede di calciomercato. Eppure, se la critica è sacrosanta, e trova riscontro incontrovertibile nei fatti, – ahinoi –  penosi delle ultime stagioni sportive, è altrettanto onesto chiedersi se chi critica l’operato pessimo della società sarebbe poi davvero in grado di fare meglio.
L’assunto da cui partire è molto semplice, in quanto un ruolo dirigenziale implica, senza dubbio, fattori diversi dalla classe che ha contraddistinto il Maldini calciatore, e non solo : di bandiere, di fuoriclasse straordinari che hanno illuminato il gioco e contribuito a successi grandiosi, il Milan dell’epoca Berlusconi ne ha avuti talmente tanti che se si volessero “ringraziare” tutti con un ruolo in società, l’organigramma sarebbe infinito. E probabilmente anche insensato.

Se è giusto affermare che Galliani non sa (o non sa più) scegliere i calciatori sul mercato, è altrettanto giusto domandarsi se sarebbe in grado di farlo Paolo Maldini, che dal 2009 ha rifiutato due offerte per ruoli operativi e dirigenziali, al Chelsea prima e al PSG poi. Per farla breve, in questi sei anni non ha maturato alcuna esperienza da dirigente. Ed è davvero l’inesperienza che ci auguriamo per un’eventuale rinascita rossonera? Occorre sempre fare attenzione a quel che si desidera, anche perché alcuni paragoni ricorrenti (uno su tutti quello con il ruolo di Nedved alla Juventus), sono fuorvianti. I ruoli di mera rappresentanza possono avere la loro importanza, ma di fatto non incidono sulle scelte di mercato. E Maldini ha sempre sottolineato come non sia interessato a fare da tappezzeria. Certo, a questo punto verrebbe da chiedersi perché non si sia dedicato a prepararsi, a formarsi, per diventare un dirigente ma abbia, bensì, comprato una franchigia negli Stati Uniti. Probabilmente la vocazione non è esattamente quella di prendere il posto di Galliani, nonostante quello che molti auspicano e nonostante ciò che traspare dalle interviste.

Del resto, l’equazione “giocatore bandiera = grande dirigente” non è scontata, né automatica. E anzi, spesso non ha funzionato nemmeno con i tentativi di molti ex rossoneri che si sono cimentati col ruolo di tecnico. A voler ben vedere, senza scomodare Carlo Ancelotti, entrato nell’olimpo dei più grandi allenatori di questo sport, nessuna delle grandi bandiere rossonere ha replicato, in veste di allenatore, i successi ottenuti da giocatore. Franco Baresi è un nome che, in tal senso, dice tutto. Ed ha la buona compagnia di Marco Van Basten, per citarne un altro. Inoltre, dei tanti meravigliosi calciatori alle dipendenze di Ancelotti che hanno tentato la strada della panchina, quasi nessuno ha ottenuto successi. Molti addirittura hanno terminato bruscamente una carriera, di fatto, mai iniziata, come Billy Costacurta. Per quel che riguarda, nello specifico, i dirigenti, c’è l’emblematico precedente di Gianni Rivera,  bandiera per eccellenza insieme a Franco Baresi, il quale di sicuro non fu aiutato da una proprietà forse peggiore di quella attuale ma che, di fatto, ha ampiamente dimostrato di non essere tagliato per il ruolo. E’ innegabile che  un apporto in termini di esperienza, conoscenza dell’ambiente, trasmissione dell’importanza di certi valori e di certi ideali, sarebbe molto importante, per infondere coscienza  in coloro che si trovano a vestire oggi la maglia rossonera. Molti dei quali, non ne sono degni e non sono neanche in grado di renderle l’onore che merita, anche per la mancanza di figure che possano fare da esempio oltre che per i loro limiti intrinseci. Al tempo stesso però è bene non cadere nella banalizzazione di invocare l’ingresso in società di ogni ex che  si esprima in termini critici nei confronti della società.

Non basta, infatti, saper analizzare il problema e la sua fonte, per quanto sia comunque importante che voci emblematiche si levino contro il disinteresse e la gestione di questo Milan. Tuttavia chi, dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, ha scelto di fare il commentatore in tivù, o, comunque, ha preso altre strade, è bene che resti a far quello. Se proprio il sentimento della tifoseria non concepisce di avere una ipotetica nuova società senza ex rossoneri, è preferibile allora rivolgersi ad altri profili, che hanno già mostrato ampiamente di saper fare il proprio lavoro. Gente come Rui Costa, che al Benfica pur senza ottenere risultati strabilianti ha dimostrato di saper scegliere calciatori giovani, rivenduti poi con grande profitto (tra cui proprio quel Witsel che ora molti vorrebbero al Milan), o come Oliver Bierhoff che ha rivestito un ruolo più che significativo nel ritorno in auge del calcio teutonico, con sapienza e lungimiranza. Certo non sono state bandiere, sicuramente non come lo è stato Maldini. Ma sarebbe molto triste rendersi conto a posteriori dell’inadeguatezza di un simbolo, tanto amato sul campo quanto, magari, inadatto dietro una scrivania. Da milanisti ce ne siamo già accorti diverse volte, e ormai dovremmo esserne consapevoli : il curriculum sul campo non è condizione automatica e sufficiente per ricoprire ruoli diversi, che richiedono altre qualità e, soprattutto, tanta esperienza. A maggior ragione quando bisogna uscire da un empasse ormai storico come quello in cui il nostro Milan si ritrova. E proprio in tal senso, affidarsi solo al cuore, solo alla “pancia”, ignorando la testa, può essere un rimedio di gran lunga peggiore del male.

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