Come disse la gatta con gli stivali: “Non ce li avete più sul beige?”

Carlo PellicaniCare amiche, cari amici ma soprattutto care amiche rossonere, ben ritrovate e ben ritrovati. Come sono andate le ferie? O forse siete ancora al mare? O forse ci dovete ancora andare? O forse non ci andrete mai? Io, come ben sapete, ho passato una lunga vacanza in giro per il mondo. Emozionante. Come avrete sicuramente notato non ho proferito parola sul mercato del Milan da giugno, e non lo farò neanche oggi. Vi spiego perché.

Quando ero un giovane virgulto implume, mi dilettavo nell’arte della pittura. Vivevo insieme ai miei genitori che non avevano di meglio da fare nella vita, che starmi appresso per vedere cosa stessi combinando con quei pennelli, matite, colori e via dicendo. Come due pensionati radicati sul ciglio di un cantiere, fissavano alle mie spalle l’evolversi della mia creatura sulla tela. Erano all’ordine del giorno cose come “Ma te pòdi no fa la curva pusé curva?” (mi porge l’obbligo di consigliarti di incurvare ulteriormente quel tratto curvo), “Ma tal vèda no che il gial’ l’è tropp’ gial’? Fal pùsé rùss’! Ostrega!” (ritengo di doverti informare del fatto che quel giallo che stai utilizzando è troppo evidente, aggiungici un po’ di rosso così da scurirlo e renderlo più gradevole alla mia vista. Grazie per l’attenzione), “Ma sa l’è cùsé quela vacàda lì? Un ratt’ o un can da càcia?” (trovo difficoltoso riconoscere quella figura dai tratti animali, ho il dubbio che possa essere un topo molto grande oppure un cane da caccia), “Te se drée fa una pitùrada col cù” (penso che il disegno non stia venendo egregiamente e mi porge l’obbligo morale di fartelo notare anche se finora hai soltanto temperato la matita).

Nei miei sogni di fanciullo, io da grande sarei stato un pittore come neanche Monet, ma non appena appoggiavo la punta del pennello sulla tela, i miei sogni e la mia pace interiore venivano scossi e poi spazzati via da quei due, amabili, genitori e il loro continuo ciarlare alle mie spalle. Non ho mai finito un quadro. Li ho sempre buttati nel camino in preda alla rabbia dopo pochi minuti. E mentre i quadri bruciavano, mia madre mi diceva “te se bun no da dipingi. Perché te se tropp’ nervùs!” (ritengo necessario avvisarti sottilmente della tua scarsa attitudine al mondo della pittura, in quanto ho notato che non hai pazienza; se non ci fossi io, madre amorevole, a fartelo notare, chissà ora quanti fallimenti avresti dovuto subire a causa della tua illusione di essere bravo, ringraziami e adesso vieni a mangiare che è pronto); crescendo in questo modo, oltre che ad abbandonare la pittura e buttarmi sul giornalismo sportivo, ho sviluppato un’avversione ai limiti del prurito sulla pelle, nei confronti di tutti coloro che mettono becco in cose che non stanno facendo, che stanno osservando da fuori, che non conoscono e che hanno bisogno di tempo per essere ultimate, come appunto i vecchi ai cigli dei cantieri con le braccia dietro la schiena, che nella loro vita magari hanno fatto i contadini e ritengono di sapere come si posa la fibra ottica in strada, oppure come coloro che cominciano ad inveire contro le società di calcio al primo di giugno, perché ancora non hanno comprato o venduto nessuno.

Quando inizia il calciomercato, io, essendo ignorante, non conoscendo gli sviluppi delle trattative, non essendo presente ventiquattro ore al giorno al capezzale di Galliani e compagnia cantante, mi defilo e me ne sto zitto. Perché ritengo corretto, educato, logico e soprattutto sano, giudicare un lavoro quando chi lo sta facendo dice: “ho finito, cosa ne pensi?” non di certo quando lo ha appena iniziato, quando è a metà né quando ancora deve finirlo. Non ha senso, a mio modesto parere, continuare ad insultare, urlare, berciare (sputazzando sui monitor) su ogni social network che serve un centrocampista quando annunciano un attaccante, che serve un attaccante quando annunciano un difensore, che serve un difensore quando annunciano un centrocampista. Non sembra anche a voi un comportamento anomalo? Non è forse più logico criticare od elogiare il mercato quando il mercato è finito? Voi  probabilmente penserete: “ma se in società non sanno che i tifosi sui social network vogliono da loro questo e quest’altro, non si muovono per darci questo e quest’altro” ah si? Funziona così? Pensavo che una società di calcio facesse mercato seguendo il progetto tecnico dell’allenatore, non i commenti sulle pagine di Facebook. Ok, al Milan negli ultimi anni hanno seguito il progetto tecnico dei parametri zero dei procuratori amici di Galliani, questo è stato innegabile, ma da questa estate mi pare sia cambiata la rotta. Molto probabilmente grazie all’arrivo di Bee Tàcabàla. Per carità, non voglio insegnare niente a nessuno di voi. Chiunque è libero in un paese libero e democratico, di vivere il calciomercato come meglio crede, chi in vacanza senza pensieri, chi rodendosi il fegato full time. E’ la vostra vita, vivetela come ritenete necessario. Io resto paziente, in attesa che il quadro sia ultimato, poi dirò la mia su eventuali tratti curvi, colori accesi o cani da caccia.

Venendo alle cose di campo e dunque alla, purtroppo per noi, sconfitta di Firenze, ritengo doveroso innanzitutto esprimere il mio più sincero cordoglio verso i famigliari di Valeri per avere un parente così incapace che infanga il buon nome della loro famiglia, ma questa è solo una cosa mia. Purtroppo il Milan del generale Putnik non ha imbroccato niente e ha meritatamente perso la partita. Non ci sono storie, non ci sono scusanti, non ci sono più le mezze stagioni né le mezze verità. I Ragazzi hanno perso sbagliando tutto e Putnik Sinisa con loro. Il problema è il centrocampo? Molto probabile. Stanno correndo ai ripari? Non lo sappiamo e non lo sapremo fino alla fine. Tutto questo però non deve gettarci nello sconforto, infatti ora vi inonderò con un mare di ovvietà come uno tsunami, così potrete sentirvi meglio: abbiamo appena cominciato, il campionato è lungo, il mercato non è ancora finito, una sconfitta non fa primavera, anche altri in passato hanno perso alla prima in casa eppure hanno chiuso il campionato a maggio nelle prime posizioni, c’è di peggio nella vita, la Coca Cola con l’Aspirina non fa bene, non siete capaci di leccarvi i gomiti, il sole abbronza, il mare è umido, Pasta e Cerci è una pippa. Non vi sentite già meglio?

Vi lascio con una massima che diceva spesso il mio fruttivendolo, Pestatonti Peppo detto “il Tapéla”, ovvero: “Se andand’ innanzi te sugùta vultass’ indrée, tel vedarée indué che te se drée andà, quand’ormai te se giamò pasà.” Che tradotto sarebbe: “Se andando avanti continui a voltarti indietro, vedrai dove stai andando solo quando ormai sarai già passato.” Conoscendo Peppo il Tapéla credo volesse insegnarci di non vivere perennemente nel passato ma nel presente e proiettandoci verso il futuro. Certo che il Tapéla era meglio del Dalai Lama se ci pensate bene. Pace all’anima sua.

Carlo Pellicani
Twitter: @FinallyCarlo
Sono anche su Facebook e sono l’unico che si chiama Carlo Pellicani

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