Il doppio comunicato di due mattine fa ha ufficializzato una situazione che pareva quasi assurda.
Se il mondo milanista sembrava cambiato nelle prospettive da una decina di giorni, se tutti sapevano e parlavano di Sinisa Mihaijlovic come nuovo tecnico, l’ anomalia di un Inzaghi piazzato ancora lì ricordava per certi versi quella dell’anno prima con Seedorf. Solo esternamente però, visto che alla base di quella c’era una guerra , di quest’altra invece una forma di rispetto e cautela sconfinanti nella pietà.
Numerosi sono stati i giorni concessi ad Inzaghi per vagliare la proposta del Milan, una risoluzione del contratto che gli avrebbe risparmiato la macchia dell’ esonero garantendogli comunque una parte cospicua dello stipendio per l’ anno rimanente, una via che avrebbe significato rispetto reciproco, gratitudine per l’ opportunità concessa e probabilmente la possibilità di rimanere sotto il cappello del suo mèntore giallocravattato, utile per poter da subito ripartire da qualche piazza con meno pressioni. Trecentomila euro sono pochi per uno che, anche grazie al Milan, non dovrebbe avere problemi di budget da qui ai cento anni d’ età…
Nulla da fare: fedele al mantra “io ho un contratto” recitato ossessivamente più o meno da marzo, ha preferito l’ esonero e tutti i denari da incassare, anche se in fondo uno stipendio per “non allenare” percepito da costui è un bene per l’ umanità, almeno per quella che ama il calcio.Riferiscono anche di un Inzaghi offeso, offeso dal fatto che ora possa essere diverso il Milan, più ambizioso e con acquisti di spessore, e che tali acquisti non vengano affidati a lui.
Difficile da capire, ve lo dice uno che, scripta manent, era convinto che uno come lui, uno a cui nulla è stato regalato, non tecnica, non fisico o velocità eccezionale per la carriera che ha fatto, potesse avere tanto da dare ad un gruppo, che uno con tanti anni tra Juve e Milan trascorsi con un maestro del bel calcio come Ancelotti potesse avere imparato molto e molto potesse avere da insegnare.
Avrei dovuto ascoltare quanto diceva il nostro Canaro un anno fa, sciagurato che non sono altro, lui questo pezzo avrebbe potuto già scriverlo in questi termini dodici mesi orsono.
Purtroppo tutto “l’ altro Inzaghi” è stato riversato in questa esperienza in panchina.
Nel gioco sparagnino pareva riflettersi quell’ attaccante che la gara la viveva negli ultimi metri dell’ area, come se tutto quanto avveniva alle sue spalle venisse vissuto in virtù di quella frazione di secondo in cui un difensore si sarebbe domandato “da dove è sbucato?”. E’ per questo che a certi massacri da ottanta minuti e più sul piano del gioco di quest’ anno ha spesso opposto nel post-partita quella singola occasione mancata: la visione della gara era rimasta la medesima, quella dell’ attimo inzaghiano che poteva essere decisivo. E’ per questo che nel descrivere la stagione nelle ultime settimane si è azzardato a piazzare come tre buone gare da esempio quelle con Lazio, Roma e Torino, scordandosi che tra la prima e le ultime due erano trascorsi quasi nove mesi.
Nella tenacia con cui è rimasto attaccato ad una barca che dalla fine di gennaio ha iniziato ad affondare in maniera ufficiale dopo numerosi scricchiolii già palesati pure nel da lui glorificato periodo di settembre-dicembre, c’era sia la determinazione di cui parlavo prima, ma pure lo sconfinamento della medesima in ostinazione, quell’ ostinazione che lo portava ad odiare un tecnico che lo teneva in tribuna a 38 anni e con gente come Ibra, Robinho, Pato e pure Maxi Lopez come concorrenti nel reparto, come se non fosse la biologia ma la cecità di Allegri a tenerlo ai margini, al punto di aver accusato il livornese di averlo costretto a smettere.
Gli Allegri perfidi di questa stagione assumevano le sembianze di “infortuni che non devono essere un alibi” subito seguiti da “con la squadra al completo però…”, di “affrontiamo tutte le squadre nel loro momento migliore”, “vincere in casa del Chievo non è facile” , “ho finalmente capito cosa devo fare per riportare il Milan in alto” (questa detta ad aprile), e via dicendo.
Nell’ Inzaghi che si alzava offeso per una delle poche domande cattive postegli da una stampa altrimenti adorante, in quello che a fronte di una domanda sui giovani del Milan scarsamente utilizzati quest’ anno rispondeva “io li conosco bene, ci ho vinto un Viareggio” – lui, non i ragazzi in campo – purtroppo c’ era quell’ Inzaghi che, soprattutto negli ultimi anni, vagheggiava di una sfida europea del gol della quale al buon Raul importava zero, anche a causa di quei due mostriciattoli di Messi e CR7 che avrebbero superato entrambi a breve, quello che ad un gol di Shevchenko esitava sempre quell’ attimo in più degli altri per correre ad esultare.
E’ palese che “questo Inzaghi” non abbia compreso minimamente le ragioni di un club che ha operato nei suoi confronti con una delicatezza ai limiti dell’ imbarazzante, quando un esonero avrebbe dovuto essere decretato per legge già a fine gennaio.La gratitudine per quanto fatto in campo non verrà mai meno, quanto fatto in panca spero metta una pietra tombale sull’ utilità della medesima gratitudine nel guidare nomine per lavori che toccherebbe anche essere in grado di fare.
Anche perché alla fine dei conti, gratitudine o non gratitudine, ognuno decide di andarsene come vuole. Anche di farlo come fatto da mister “tutto quel che il Milan mi chiede di fare io lo faccio”, ovvero sbattendo la porta con un silenzioso fanculo, anche se un fanculo munito di contratto.
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