Devo confessarvelo subito, lo spermatozoo di questo pezzo l’ ovulo l’ha fecondato ben due settimane fa, subito dopo la visita ad Arcore di Sinisa Mihajlovic, quando il mondo era ancora tutto diverso: la Juve poteva ancora vincere la Champions League, anche se tuttora per certi giornalisti non l’ha persa, il mondo Milan si interrogava su un possibile cuoco che potesse cavare il sangue dalle rape presenti e da quelle che sarebbero arrivate, e la rinuncia di Ancelotti non pareva foriera di segnali troppo positivi.
Poi ad Arcore, un paio di sere dopo, di visita ce n’è stata un’altra e forse, per ora limitiamoci al forse, la storia del Milanino degli ultimi anni è cambiata nel breve e lungo termine.
Piccola parentesi autocelebrativa di questo umile spazio del web: noi ci siamo limitati a quanto comunicato già il due di maggio da Thai Prime e Fininvest, altri hanno preferito dame rosse, schiamazzi su ristoranti etnici da dodici euro, crasse risate per quattro settimane. Solo un consiglio: se proprio inutile per tutto il resto, i bordi flessibili di un tesserino da giornalista, possono risultare utilissimi per raggiungere fastidiose emorroidi piazzate in scomode posizioni.
Il futuro, dunque. Soldi a quanto pare, clausole rescissorie del valore di quattro-cinque ultime campagne acquisti che vengono pagate senza battere ciglio, una situazione ancora in divenire ma che, per il mondo rossonero delle ultime stagioni, pare una pera di eroina nella storica descrizione fatta da Mark Renton nei primi minuti di Trainspotting.
Pensavamo a Mihajlovic come ideale allenatore “di lotta”, ora pare che il buon Sinisa debba invece esserlo “di governo”, non più un capo partigiano abile a ordire imboscate e tranelli ma un generale dotato di fanteria, mezzi corazzati e aviazione.
Beh, noi ancora navigavamo al buio, ma il serbo già aveva saputo tutto la sera del vertice, e dubitiamo che la cosa gli sia dispiaciuta.
Io tifavo per Emery, che ritengo insieme a Klopp e Simeone futuro membro di quel gruppetto che già comprende Carletto, Mou e il Pep, di gente che si passa le panchine dei top club continentali come mogli ad un club di scambisti, ma non sono scontento del nuovo arrivato.
Con lui si esaurisce la retorica stronza, inutile, del “Milan ai milanisti” che ha prodotto tre esordienti su quattro a partire dall’addio di Ancelotti piazzati sulla panchina di un club che dovrebbe essere università e non provinciale asilo. Proprio per tale motivo preferisco saltare a piè pari le stupidaggini sul suo passato interista.
Questo Milan necessita di leadership e disciplina, caratteristiche che calzano come Ray-Ban sul ruvido sguardo del serbo: una mentalità tutta da ricostruire, uno spogliatoio diviso tra gruppi e gruppetti, presunti senatori e capitani solo per un pezzo di stoffa sul braccio, giovinotti che si sono sentiti arrivati per qualche mese decente ormai perso nella notte dei tempi. Molti di costoro saranno qui anche l’ anno prossimo, possiamo pregare che i denari ci comprino una grande spina dorsale dalla difesa all’attacco, non possiamo certo illuderci che arrivino undici giocatori da trenta milioni l’ uno,ed ecco che il recupero di alcuni elementi dispersi nel grigiore che a Milanello pareva essere il colore dominante diventa un elemento fondamentale.
Guardando l’ultima stagione a Genova fatta da alcuni ragazzi che parevano già avere “un grande futuro alle spalle”, Obiang e Soriano su tutti, non si può che essere ottimisti sulla capacità del serbo di tirare fuori il meglio dal materiale di cui dispone, sia dal punto di vista motivazionale che da quello tecnico, un bel passo in avanti per un club che questa stagione, a causa della conclamata incapacità del tecnico in panca, ha lasciato un buon 40% del suo potenziale per strada.
Altro fattore da tenere in considerazione: il cambio di status del Milan, da cadavere derelitto a squadra con ambizioni “un pelino” più elevate, ha generato una sorta di isteria già evidenziata sulla nostra pagina FB; fiscalisti, fustigatori dei costumi, gente che ha “non so un cazzo” stampato nel genoma ma pontifica di Doyen e oscure manovre finanziaria, tutti incapaci di accettare che il Milan da pacche consolatorie possa diventare a breve un lontano ricordo, senza contare le vedove giornalistiche di Inzaghi, quelli che per un anno gli hanno retto amorevolmente il velo, impazienti di dire “vedete che squadra han dato al suo successore?”.
Un sergente, uno di quelli che in certi momenti sia in grado di essere allenatore, dirigente e addetto stampa in una sola persona per difendere il suo gruppo e compattarlo, è quello che ci vuole. E’ un compito che non sarebbe più stato in grado di fare Ancelotti per esempio: dopo anni da capo chef di un ristorante di lusso a far correre cuochi e camerieri, giusto verificando la qualità o dando il tocchetto in più, può anche darsi che tu sia in grado di cucinare un flan con le tue mani, ma lo troverai strano e tremendamente difficile.
Molte perplessità suscita il suo calcio: squadra compatta, attenzione difensiva al massimo, fase offensiva efficace ma essenziale, tutte cose che un po’ stridono con la berlusconiana convinzione di avere ancora un Barça tra le mani e la sua proverbiale capacità di intromettersi in questioni che già dimostrava di non comprendere sin da quando sognava Borghi trent’anni fa. Va detto di fronte a tali obiezioni che il serbo ha lavorato in base alle caratteristiche della squadra che aveva, la Doria e non il Bayern, che dunque al momento ha fatto il massimo con quel materiale, e che di esperienza con presidenti bizzarri –quello più serio è Crozza quando lo imita- dovrebbe averne già fatta con Ferrero.
Un solo consiglio, esimio presidente Berlusconi: qualora decidesse per una visita pastorale e motivazionale a Milanello, addirittura una di quelle con hip hip hurrà incluso nel pacchetto, si assicuri che in quel momento il suo dipendente si trovi alla toilette o quanto meno faccia togliere dalla stanza qualsiasi oggetto contundente.
Срећно, Sinisa!
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