Il crollo della perfida Albione

gerrrard

La stagione 2014/2015 è già passata alla storia, nonostante non sia ancora giunta al termine. Per la prima volta, dopo 22 anni, nessuna squadra rappresenterà l’Inghilterra nei quarti di finale delle coppe europee. Una débacle totale, che, considerando l’indubbio valore delle squadre della Premier, causa scalpore e domande, dubbi e perplessità. Oltremanica, ma non solo, è partita immediatamente l’inchiesta sulle cause di un tracollo di tali proporzioni, con motivazioni che, seppur valide, non sembrano convincere fino in fondo. Tutti puntano il dito contro il calendario, con troppi impegni ravvicinati, con la F.A. Cup che costringe al replay in caso di pareggio, rendendo ancor più ipertrofico un tabellone che prevede trentotto gare di campionato e una seconda coppa nazionale, la Capital One Cup, insieme agli impegni europei. L’obiezione potrebbe essere senz’altro valida, ma non regge. in quanto le due coppe nazionali si giocavano, con le stesse regole, anche quando le compagini britanniche dominavano l’Europa. Inoltre, dal 1995, la Premier ha subito una riduzione delle squadre partecipanti, da 22 alle 20 che attualmente disputano il campionato. E allora le ragioni vanno cercate altrove, in maniera più approfondita.

La premessa fondamentale da cui partire è che il calcio inglese, negli ultimi anni, ha sostanzialmente rinnegato le sue radici storiche. E’ mutata radicalmente la filosofia di calcio, passata dal pragmatismo estremo fatto di fisicità, intensità, contropiede ed attenzione difensiva, ad una spettacolarizzazione quasi forzata del gioco, che non sempre porta esiti positivi. Questo fattore si esplica sotto diversi aspetti. Innanzitutto, il crescente appeal mediatico della Premier, col conseguente fiume di soldi derivante da sponsor e diritti televisivi, ha consentito anche alle squadre di fascia medio-bassa di seguire la scia del modello poco virtuoso importato da Abramovich, in primis, e dagli sceicchi, poi. Non è un caso che in questi anni si assista ad uno Swansea che spende 12 milioni di sterline per Bony, o all’Everton che si assicura le prestazioni di Lukaku per il corrispondente di 35 milioni di Euro. Cifre impensabili, un tempo, per queste realtà, che oggi tuttavia contribuiscono, in tal modo, a rendere il campionato equilibrato ed estremamente logorante per le squadre di vertice, che poi sono quelle con realistiche velleità di successo in campo internazionale. Tuttavia, se da un lato troviamo un grosso numero di buoni giocatori, distribuiti tra tutte le squadre, anche quelle di media-bassa classifica, è innegabile che i fuoriclasse assoluti, che decidono proprio le gare ad eliminazione diretta da soli o quasi, non giocano più in Inghilterra. Messi e Cristiano Ronaldo sono in Spagna, nonostante la Premier sia il campionato più ricco d’Europa. E Aguero,Yaya Tourè, Rooney, Ramsey, Hazard o Diego Costa non sono al loro livello, pur essendo, indubbiamente, dei campioni. Tuttavia allo stato attuale (per motivi differenti) non sembrano avere la stessa decisività nelle gare che contano.

Alle considerazioni di indirizzo meramente “economico” si aggiungono, poi, quelle di campo, sia tecniche che tattiche. Innanzitutto vi è stato un pesante impoverimento di alcuni ruoli, in primis quello dei difensori centrali. Oggi sono pochi i centrali di alto livello in Premier League e soprattutto pochi sono inglesi, sia di nascita che di formazione calcistica. Se poi scendiamo nel particolare, probabilmente di leader difensivi ce ne sono soltanto due : John Terry, classe 1980, e Vincent Kompany. Un quadro abbastanza triste, eppure realistico : senza una buona difesa, difficilmente si ottengono grossi successi. Allo stesso modo si è perso, negli ultimi anni, il ruolo dell’ala tecnica e di costruzione a vantaggio di esterni di fisico e corsa. Non si può non andare con la mente a giocatori come David Beckham, Steve McManaman, Robert Pires, Marc Overmars, Freddy Ljungberg, Ryan Giggs : giocatori di fascia che facevano della tecnica, della classe, della visione di gioco, più che della velocità, i loro punti di forza : caratteristiche con le quali, spesso e volentieri, aiutavano le proprie squadre nelle sfide di cartello internazionali. Oggi invece, abbondano ali più veloci che tecniche, sottoposte ad un lavoro estenuante dal punto di vista fisico nel loro campionato, in ogni partita, e pertanto, spesso sono fuori condizione nel momento clou delle coppe, senza un bagaglio tecnico tale da compensare il deficit atletico. E, di conseguenza, raramente risultano determinanti.

Ancora, non si può ignorare l’aspetto tattico. Soprattutto da un particolare punto di vista : delle prime sette squadre del campionato, soltanto una, il Liverpool, è allenata da un britannico, Brendan Rodgers. Le altre squadre di vertice hanno allenatori stranieri, con concezioni di calcio abbastanza lontane dagli standard “british”, se si eccettua Josè Mourinho, probabilmente il più vicino alla concezione tradizionale del football inglese. Il trend non riguarda, ovviamente, soltanto la stagione attualmente in corso. L’invasione di mister stranieri in Inghilterra è ormai consuetudine, ma è chiaro che questo comporta il dover assorbire nuove idee tattiche e nuove filosofie. Basti pensare alla difesa a tre, un tempo impensabile nel campionato inglese, o alla presenza di trequartisti puri in alcune formazioni, o alla moda del 4-2-3-1. Tutti fattori che, probabilmente, hanno causato delle evidenti crisi di rigetto e che richiedono altro tempo per essere assorbiti. Senza considerare poi che la crisi dello United post-Ferguson influisce sul giudizio complessivo, dato che i Red Devils, in Europa, hanno sempre detto la loro. E quest’anno non erano ai nastri di partenza.

In conclusione, non si può discutere il fatto che il campionato inglese sia indubbiamente il più avvincente, il più combattuto, il più equilibrato. I valori tecnici complessivi sono medio-alti, con giocatori forti anche nelle squadre di bassa classifica, le quali sono in grado di impensierire le migliori e le più ricche, togliendo loro energie fisiche e mentali durante la stagione, che pesano quando le competizioni europee entrano nel vivo. Tuttavia, questo palese processo di “conformazione” al resto d’Europa, questo calcio meno inglese e, se vogliamo, più spagnolo, in generale più spettacolare, ricco di intensità ma con minor attenzione alla tattica e alla fase difensiva, da sempre capisaldi delle squadre britanniche, non sembra essere stato del tutto assorbito. E’ il prezzo da pagare nel percorso che sacrifica il pragmatismo in funzione dello spettacolo, sotto l’egida imperante del calcio “da televisione”, che i suoi danni li fa anche nella gloriosa e dorata Premier League. Ma un’annata del genere assomiglia più ad un incidente di percorso che ad una rotta irreversibile e chi ride della crisi inglese di quest’anno commette un enorme errore di valutazione.

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