Il trono di Pippogol

trono-di-pippoIn tanti ad oggi si chiedono come sia possibile che Inzaghi ricopra il ruolo di allenatore del Milan. Non del Sassuolo, non del Cesena, né della Pro Vercelli, ma proprio del Milan. Io un’idea ce l’avrei. Premesso che come ben sappiamo fare il calciatore e l’allenatore son due cose ben diverse, una cosa che Inzaghi ha dimostrato nella sua carriera è che mai si è dato per vinto, mai si è accontentato di piazzarsi secondo. Da ragazzino gli dicevano che era una “pippa” e allora lui restava fino a tarda notte ad allenarsi. Gli dicevano che non aveva abbastanza forza nelle gambe e allora passava il tempo libero a tirare cannonate al muro di destro e di sinistro. In qualsiasi squadra è andato a giocare si è dovuto misurare con compagni “scomodi”, più simpatici, tecnicamente mostruosi, più amati, più bravi, due su tutti Del Piero e Shevchenko (hai detto niente), ma lui si è sempre detto “tanto io sono Inzaghi e la metto sempre.” E la metteva sempre davvero. Si è infortunato sa Iddio quante volte ma è tornato sempre prima del previsto, sempre più determinato e più forte di prima. Sembrava anche più giovane.

Poi in un attimo ecco che tutto si è ribaltato e in un Milan tecnicamente non all’altezza di quello di Ancelotti, quello suo, si è ritrovato ad essere il vecchietto da panchinare, che c’era Ibra, c’era da ririririlanciare Pato, c’era Robinho, Boateng trequartista nuovo idolo della sud, poi è arrivato anche Cassano come se non bastasse, insomma Inzaghi in un modo o nell’altro non serviva più ed è stato accantonato. Quelle poche apparizioni in campo lo vedevano spesso affaticato, un passo indietro rispetto a compagni ed avversari. Memorabile il ritorno di semifinale di coppa Italia contro la Juve dove Inzaghi toccò il fondo. Qualcosa di inaccettabile per tutti e soprattutto per lui, anche perché il Milan vinceva lo stesso, nonostante il re di coppe fosse in panchina, una situazione nuova da digerire per il suo orgoglio.

Solo che quella volta il trentanovenne Inzaghi, invece che fare come sempre fatto e cioè lavorare sul fisico e sulle motivazioni per riemergere e farsi valere, vedendo che il fisico non rispondeva più ha cambiato mentalità e tutta quella rabbia che un tempo metteva per tornare grande, ha iniziato a riversarla sul nemico. Il nemico lo sappiamo tutti chi era e chi è tutt’ora, quell’allenatore che ebbe il coraggio di relegarlo a riserva di lusso, di tagliare fuori lui, Pippogol. E allora una volta mandato giù l’inevitabile ritiro che tocca prima o poi a tutti gli atleti, come poteva battere il suo nemico sul campo se non facendo l’allenatore? Ecco la nascita di mister Pippo che pur di raggiungere quella panchina e spodestare l’usurpatore, ha bruciato tutte le tappe con la complicità della dirigenza rossonera. È tornato subito in pista, proprio come quando tornava da un infortunio. Seedorf è stata solo una parentesi, una frettolosa toppa messa lì in attesa che Inzaghi venisse a sedersi sul suo trono di spade tanto bramato. Il trono di Pippogol. Perché il re di coppe doveva dimostrare al nemico e soprattutto a se stesso, che il mondo del calcio non poteva fare a meno di lui.

Ma Pippogol forse non ha ancora capito che, appunto, da calciatore queste cose possono anche dare risultati vincenti ma il mondo degli allenatori è tutt’altra cosa e non basta essere motivati, ripetersi di essere forti, bravi e belli come un mantra ogni giorno, scrivere una tesina zeppa di nozioni sulla psicologia sportiva ma avara di considerazioni tecniche, se poi a conti fatti si fa giocare la squadra in campo un po’ come capita. Inzaghi ad oggi non è un allenatore, è più un motivatore, scarso per altro. Siamo quasi ai livelli di Livio Sgarbi il personal coach di “Campioni Il Sogno”. Nel calcio servono anche condizione atletica, gioco, schemi, prontezza di riflessi per ribaltare situazioni spiacevoli, tutte cose che il suo Milan non ha e l’abbiamo capito fin troppo bene da agosto ad oggi. Forse un giorno lo capirà anche lui, alla fine non è mica stupido. Forse un giorno capirà anche che il nemico usurpatore del suo trono che si era permesso di tagliarlo fuori a 39 nove anni quando non si reggeva in piedi, come uno zombie di The Walking Dead, forse era alla fine solo un allenatore come tanti ce ne sono che faceva il suo mestiere per il bene della squadra e a conti fatti anche per il bene di Pippo.

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