Maghi e magoni

Inter-Milan allievi nazionaliDispiace vederlo in queste condizioni. Proprio lui icona del Milan europeo, con il suo sguardo fermo e determinato da supereroe, perennemente in forma e risorto mille volte dalle proprie ceneri, lui che faceva piangere Crudeli, lui con il suo infinito buco di culo insufflatogli non si sa da quale Dio. Adesso sta proprio invecchiando male, sembra che non dorma da settembre e probabilmente non lo fa. Peggio: SuperPippo fa umanamente pena, il che rende superfluo qualsiasi ulteriore commento.

Posso solo immaginare la costante e logorante frustrazione di vivere sulla propria pelle un campionato in cui ogni incontro potrebbe racchiudere l’occasione per riscattarsi mentre riserva l’ennesima mortificante batosta. E’ dura la vita del giovane mister. Tutta colpa sua? Certamente non ha meriti e d’altra parte i risultati non sono equivocabili: la squadra non ha equilibrio né una vaga parvenza di gioco, lasciata com’è in balia dell’ondivaga vena di Menez, la gestione della rosa evoca le liti con gli amici del calcetto e perfino quella delle conferenze stampa lascia piuttosto a desiderare nonostante una base di partenza indecorosamente favorevole. Un fallimento completo.

Per altri versi Pippo è colpevole vittima di una trappola difficilmente eludibile: la panchina rossonera è una tentazione irresistibile per chiunque abbia un briciolo di ambizione e fiducia nelle proprie capacità, un inganno affascinante quanto le luci di un’auto per un gatto di campagna.

Qualunque esordiente incaricato di gestire la Babilonia attuale rischia di bruciarsi, o quantomeno di vivere il suo annus horribilis. E’ quanto è successo a Mancini alla Fiorentina, Montella alla Roma, Ferrara alla Juventus e -come dovremmo ricordarci bene- Seedorf appena qualche mese fa, con un avvio condito di disequilibri e correzioni in corsa e un proseguo all’insegna di rapporti incrinati e inopportuno calpestio di piedi illustri.

Affidare panchine gloriose a tecnici esordienti noti per le imprese compiute con gli scarpini ai piedi risponde alla duplice necessità di spendere poco in stagioni prive di grandi ambizioni e offrire comunque all’opinione pubblica l’effimera parvenza di mantenerle. Un tecnico che ha trascorso tutta la sua carriera in provincia durerà più fatica a mantenere la situazione in pugno contro giocatori abituati al successo e nell’età più bruciante della loro testolina di cazzo. Meglio quindi orientarsi su un profilo dal gran pedigree sportivo. Tuttavia le recenti esperienze dovrebbero essere sufficienti ad appurare che i Guardiola non crescono sugli alberi, che il modello Barcellona non è semplice da replicare e –dulcis in fundo– che i grandi palcoscenici non sono fatti per gli esperimenti. E il nostro è un grande palcoscenico, anche quando siamo nella parte destra della classifica: la gente non può tollerare questo scempio.

Nessuno si inventa allenatore dalla sera alla mattina, serve una quantità variegata e interdisciplinare di doti e conoscenze che non possono essere improvvisate. Serve, soprattutto, il tempo di sperimentare, sbagliare, apprendere, crescere. Ci sono giocatori che sono già pronti per fare gli allenatori? Buon per loro, ma non deve essere un must. Che dimostrino quel che sanno fare prima di sedersi sulla nostra panchina, già rovente di suo per altri innumerevoli fattori.

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