Equilibrio

more-proof-that-rene-magritte-is-just-plain-awesomePerché alla fine, mai nascosto, il calcio per me è metafora di vita. Per estensione, dello sport, come metafora. Ma che ci posso fare, sono cresciuto a tirar calci a pallette fatte di scotch, giornali appallottolati, Super-tele e palloni di altri sport usati senza responsabilità e dignità alcuna; regali di magliette tarocche che nemmeno le strisce verticali assomigliano alla maglia originale, improbabili pupazzi con ogni svariato tipo di animale con la maglia rossonera (dai cani ai porci, dai coccodrilli alle galline etc etc), settimanali e mensili con più foto che contenuti (perché quanto cazzo puoi parlare di venti uomini che nella vita non hanno fatto altro che giocare a calcio?) e statistiche rispolverate e lucidate e aggiornate.

Dicevo, la metafora: le regole del campo applicate alla quotidianità, la sportività come principio di vita, il rispetto per l’avversario, e se lui è più forte l’unica cosa che posso fare è migliorare, perché mi hanno insegnato da piccolo che non è sminuendo qualcun altro che diventi più grosso tu (ma l’ho capito solo da poco).

Che puoi dire tutte le bugie che vuoi, agli altri e a te stesso, ma tanto è il campo che parla. La prestazione conta, non come ti atteggi sul rettangolo verde.

Le persone attorno che apprezzano l’impegno e la tenacia, perché non tutti si è fuoriclasse e il mediano è sempre l’eroe degli adulti.

L’irrazionale identificarsi nelle persone che condividono la tua stessa passione per quel colore e il labile senso di appartenenza, che puoi raccontare stupidaggini ma resti più credibile di un interista.

Gli amici come compagni della stessa squadra, spogliatoio perpetuo e ciò che succede nello spogliatoio resta nello spogliatoio, i panni sporchi li laviamo in casa.

La fiducia, che fin quando siamo sullo stesso prato e con la stessa maglia so chi sei.

Le piccole vittorie che fanno morale, le grandi vittorie che formano il carattere.

Il palo. Che sei stato incredibile, magari ne hai superato quattro prima di esplodere – letteralmente – quel destro, e no. Ritenta e ritenta ancora: prima o poi sarai più fortunato.

Il gol sbagliato, il rigore che forse dovevi tirare più angolato, o magari rasoterra, e tu sai di non averlo tirato male, hai solo visto troppo tardi il portiere che è partito in anticipo e ha fatto anche qualche passo in avanti (non si può!) e con un salto allucinante ti ha tolto la palla dallo specchio, ma il succo è che hai sbagliato, e probabilmente hanno ragione loro.

E in tutto questo, tutto quanto questo, la ricerca costante dell’equilibrio.

L’equilibrio tuo, intimo e personale, che non sia mai che per qualche panchina di troppo ti scoraggi e non dai quanto puoi.

L’equilibrio tuo con gli altri, che la prima regola è il rispetto e a volte non è facile, perché io avrei fatto diversamente, e stai attento a come parli.

L’equilibrio del gruppo, che ognuno dà quello che può, qualunque cosa possa dare, e non puoi chiedere ad un capitano di essere uno tra tanti, e non puoi chiedere ad uno tra tanti di prendere in mano la squadra.

L’equilibrio, ma quanto è facile precipitare.

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