Uno vorrebbe trovare un titolo breve e incisivo ma finisce per dare un titolo che potrebbe essere quello di un film della Wertmuller.

imageIl giovane Piero cercava di non battere i denti mentre con passo svelto percorreva la strada che portava alla magnifica Stazione Centrale di Milano.

Il freddo quella sera era più pungente che mai e il giovane Piero malediva l’aver dovuto sgattaiolare fuori di casa di nascosto e prendendo al volo il primo indumento pescato dall’armadio.
Ma non poteva correre rischi.
Non poteva rischiare che il padre G.B., l’illustre padre, lo scoprisse e gli impedisse di uscire quella sera.
Sì perché Piero se lo sentiva nel sangue che quella sera avrebbe significato qualcosa.

La città sembrava non curarsi di un diciottenne che, trafelato, attraversava il selciato davanti all’Hotel du Nord et des Anglais.
E il giovane non poteva che essere grato alla città di questo privilegio. Non era facile portare quel cognome a Milano a quei tempi. Non dopo quanto successo l’anno prima.

Piero si apprestava quindi ad affrontare la scalinata che portava all’Hotel.
Sentiva che era una serata speciale.
Era entusiasta ma anche timoroso. Non c’era nessuno ancora. Si aspettava come minimo di incontrare qualcuno lì fuori. Non se la sentiva di entrar da solo. Quelli erano uomini. Erano operai. Erano dei fantastici bevitori.
Piero era sicuro di esser fuori posto. Ma la passione ti prende così, puoi farci poco.

Proprio quando l’idea di una mesta ritirata non sembrava poi così una brutta idea, Piero vide una carrozza arrestarsi in un turbinio di nitriti e rumori di ferraglia vari.
Piero non poteva essere più felice! Finalmente! Eccolo arrivare il suo punto di riferimento! Si fece subito incontro all’omone britannico che percorreva a grandi passi la scalinata dell’Hotel.
Avrebbe quasi voluto buttargli le braccia al collo tanto era felice di rivederlo.

– “Sir ma che piacere riveder..”
– “Su Piero! Non perder tempo! Siamo in ritardo! Muovi quel culo e entriamo che il tempo è denaro e il demonio è boero!”

Piero, attonito e preso per un braccio dal vice console di Sua Maestà, si avviò verso l’ingresso dell’Hotel du Nord et des Anglais.

La saletta riservata per il vice console sembrava agli occhi di Piero, una fumeria d’oppio di Beirut. Anche se Piero non aveva mai messo piede in una fumeria d’oppio e men che meno a Beirut.
I tavoli, elegantemente disposti, erano pieni di bottiglie di vino vuote, di bottiglie di whisky vuote e di boccali di birra, guarda caso, vuoti. Le uniche cose che sembravano esser pieni erano i posacenere e la cinquantina di persone presente sul posto.

All’ingresso di Alfred Edwards, seguito passo passo da Piero, tutti si lasciarono andare ad un’ovazione con conseguente brindisi lanciato nell’aere.
Erano tutte facce che Piero aveva già visto. Le aveva incontrate all’American Bar (se G.B. avesse saputo!), le aveva intraviste al campo del Trotter, alcuni li aveva visti alla Fiaschetteria Toscana.
Lavoratori, operai, rampolli, vice consoli, c’era di tutto. Uno spaccato quasi completo della società.

Mentre Edwards iniziava il suo giro di saluti e Piero timidamente salutava con impercettibili segni del capo alcuni tra i presenti, un trambusto sotto forma di una mezza dozzina di donne accompagnate da due uomini baffuti fece il suo rumorosissimo ingresso in sala.

Herbert lo si sarebbe riconosciuto tra mille persone. Solitamente bastava cercare whisky, belle donne e un pallone di cuoio per trovarlo.

I due baffuti gentlemen si fermarono poco dopo l’ingresso della sala e iniziarono a discutere tra loro.
Sembrava che Herbert stesse cercando di convincere l’altro a rimanere, almeno a bere qualcosa visto che il conto era tutto a carico di Sua Maestà.
Il dialogo era indefinibile. Se non fosse che ad un certo punto l’amico di Herbert, con un vocione tonante che zittii il chiacchiericcio della sala, se ne uscì con

– “Ti ringrazio Herbie, ma sai che non sono interessato a questi vostri sport. E poi, di questi tempi, come si può già solo rimanere nella stessa sala di un Pirelli?”

Piero si sentii gelare il sangue nelle vene. Il fatto che tutti gli occhi presenti in sala, compresi quelli dello sconosciuto, si fossero voltati verso di lui nello stesso istante, fece tremare le ginocchia al giovane Piero Pirelli.

– “Gaetano! -intervenne Herbert- ma ti sembra il caso?! Il giovane non ha mai fatto male ad una mosca! Ma poi lo vedi? È appena stato svezzato! E poi ci serviranno pure le sue lire no?!” aggiunse, facendo un occhiolino a Piero che capii il tentativo di sdrammatizzare.

La sala intera scoppiò in una fragorosa e alcolica risata e nessuno ci fece più caso. Nemmeno lo sconosciuto, il quale salutò calorosamente Herbert e se ne andò, come dicono fosse abituato, con un paio di dame e maledicendo canticchiando il nome Bava Baccaris.

La serata proseguii senza intoppi e con molto, forse troppo alcol.
Piero, frastornato e brillo, aveva sperato fino all’ultimo di potersi sedere al tavolo di Herbert, ma questi si era buttato barcollando in un angolo, a intrattenere con battute e facezie le sue giovani dame.

Giunse infine il momento.
Il momento per cui quella cinquantina di lavoratori, operai, rampolli, vice consoli, uniti tutti da una grande passione, si era ritrovata, a spese di Sua Maestà, in quella Sala dell’Hotel du Nord et des Anglais in Milano, vicino alla Stazione Centrale.

Si alzò Herbert.
Caracollando si avvicinò al centro della sala dove quel discreto rompicoglioni di Giovanni Camperio stava parlando dell’importanza di avere italiani in squadra e delle divise con la croce ambrosiana sopra.
– “Tu! Coso, Camperio, com’è che ti chiami ragazzo?” disse Herbert
– “Camperio Giovanni!”
– “posso chiamarti Giannino?”
– “no! Chiamami Giovanni!”
– “va bene Giannino. Ora però, da bravo, siediti e lascia a me.”

Camperio si sedette furente mentre tutta la platea pendeva dalle labbra di Herbert.
Con l’immancabile fiaschetta di whisky Herbert prese parola e disse: “Ho un conto aperto con della gente giù a Genova. Io gli ho giurato che arrivato a Milano mi sarei fatto una mia squadra. E quella squadra di diavoli avrebbe spaccato il culo a quegli anglo genovesi. Basta con queste stronzate di italiani, croci e quant’altro” prese fiato, tirò un lungo sorso dalla fiaschetta e continuò..

“Saremo una squadra di diavoli.
I nostri colori saranno il rosso come il fuoco e il nero come la paura che incuteremo agli avversari!”

La platea esplose.
I calici si alzarono e brindarono all’unisono.
“Nasce qui il Milan Football and Cricket Club! Forza Milan! E God save the King!”
Milano, 16 dicembre 1899.

Grazie Herb.
Grazie Mr. Edwards, grazie Piero, grazie Giannino.
Grazie a tutti.

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