Il Ménezismo: uno stile di vita rischioso

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Certi Ménez fanno dei giri immensi e poi ritornano, non si sa bene dove.
Pochi sono i mesi del parigino vissuti fino ad ora con la maglia rossonera, lunghissima la sua passeggiata attorno al Milan dal punto di vista della sua rilevanza in squadra e del suo ruolo in campo.
Arrivato insieme ad Alex come primo ingaggio della nascente estate di mercato, si pensava a lui come innesto nella batteria degli esterni in una squadra che avrebbe praticato il 4-3-3, anche alla luce della mancata conferma di Taarabt. L’ idea era quella di un rinforzo per la rotazione tra l’ altro visto che, se ricordate bene, all’ epoca si vociferava di cifrone pronte da stanziare per un esterno d’ attacco, rimaste poi nel cassetto come al solito.
Poi le scoppole prese nella tournée americana ed un buon trofeo Tim, hanno fatto nascere l’ idea di una squadra più di fiammate pungenti che di possesso palla, di rimessa rapida più che di gioco imposto all’ avversario, e le prime gare di campionato hanno messo Jeremy prepotentemente al centro del Milan, non come esterno ma come prima punta, anche alla luce di un Torres arrivato gli ultimi giorni di mercato ed alla ricerca di una condizione che, ahinoi, risulta tuttora dispersa.
Inutile dire che, dopo mesi in cui pochi avevano evidenziato una qualche importanza nel suo acquisto, i vari rami del ministero della propaganda rossonera hanno provveduto a sottolineare la genialità dell’ operazione. E’ dello stesso presidente in una recente visita pastorale a Milanello la consueta acquisizione dei meriti nell’ arrivo del francese, in una confusa ricostruzione che attribuisce ai suo consigli di stare in area un gol contro l’ Udinese realizzato partendo trenta metri dietro la medesima, nonché l’ arrivo per merito suo di Ménez gli ultimi giorni di mercato. E’ arrivato a maggio, ma nessuno dei leoni presenti a Milanello col tesserino da giornalista ha avuto il coraggio di farglielo notare.
Ma soprattutto , dopo ogni buona gara di Ménez, è stata sottolineato il colpo di genio di Inzaghi che l’ ha piazzato lì, e si è abusato di un termine orrendo: il falso nueve, il giocatore più avanzato teoricamente, ma che grazie al suo talento ed al suo svariare non fornisce riferimenti alla difesa avversaria.
Se ci limitasse ad informarsi sul Milan leggendo certi pezzi, verrebbe da pensare quale potentissimo sortilegio abbia portato gli sceicchi del PSG , gente che con il bilancio si fa i filtrini, a lasciar andare a zero cotanto talento.
In realtà la risposta ad un simile pensiero giunge direttamente da quella che è stata sinora la sua carriera: Ménez è un incostante, umorale, mestruato talento che nelle varie tappe della sua vita calcistica ha giocato campionati in cui da una gara all’altra portava i suoi tifosi dall’ adorazione all’ odio puro.
Sul falso nove ci sarebbero poi da dire un paio di cosette
E’ concepibile in una squadra dotata di manovra armonica, esterni che allarghino costantemente il gioco, centrocampisti completi e dotati in entrambe le fasi, in grado in ogni caso di sfruttare l’anomalo spazio creato dal vertice del gioco. Se questa cosa si è vista nell’ attuale Milan, si è vista soltanto a sprazzi, mentre per la gran parte dei minuti di gioco rimanenti la sensazione è spesso stata quella della squadra assediata, rintanata nella propria metà campo con l’ opzione “palla a Ibra e speriamo si inventi qualcosa” come unica scelta decisa.
Purtroppo al mondo c’è un unico sublime, dominante ed efficace accentratore totale del tuo gioco offensivo: per l’appunto la “mancia” per l’ acquisto di Thiago Silva da parte del PSG, il ragazzone di Rosengard.
Non può di certo esserlo un Ménez innamorato del pallone, del tutto privo del concetto di gioco di squadra, ineducato calcisticamente, lui stesso inconsapevole di quale sia la sua condizione mentale al momento di mettere piede in campo.

E’ assolutamente folle affidare ad un simile giocatore chiavi e fortune di un attacco, e non sono certo tre gol bellissimi su azione sui sette segnati a poter modificare le cose, contando che la fase volenterosa e disciplinata, vista per esempio a Parma ma offuscata in positivo da quel gol fantascientifico, già risultava sparita ad Empoli, con mille uomini saltati soltanto per andarsene a cercare altri da saltare.
Io di similitudini con Balotelli ne vedo molte: la tendenza ad apparire corpi estranei, il gusto per la scelta palesemente errata di fronte al bivio tiro-passaggio, la costante oscillazione tra stupore e bestemmia di chi lo guarda .Sono entrambi giocatori di colpi, colpi a volte straordinari, colpi che spesso paiono del tutto scollegati dal resto di quel che fanno vedere in campo, pericolosamente simile a ciò che si potrebbe vedere in una partitella al campetto.
Rischi, scommesse, terni al lotto da pescare proprio là, in quel settore in cui per quasi vent’ anni regolarità ed intelligenza calcistica hanno viaggiato a braccetto con smisurati talenti o comunque ottimi giocatori, si chiamassero Van Basten, Shevchenko, Weah, o anche solamente Bierhoff.
E’ il prezzo da pagare, sotto forma di cambiali dai nomi quali Ronaldinho, Cassano, Balotelli , Ménez (e ne mancano diversi alla lista), da parte di un club che il talento può permetterselo solo se in rotta col proprio club, solo se in declino, solo se acquistabile a poco o nulla di cartellino, solo se problematico, con quell’ eterna convinzione, simile a quella di certe sciagurate donne innamorate, che sarà il Milan la squadra che li cambierà, che farà sbocciare definitivamente un talento che avvizzisce tra inedia e sbalzi d’ umore.
Si aggiunga il fatto che questo club da anni non “vede” la diretta proporzione tra forza del centrocampo e le sorti tecniche della squadra, manovra e qualità della medesima, preferendo arrabattarsi tra quel che passa il convento, preferibilmente a zero, e ci si renderà conto di quanto la scommessa sul talento a qualsiasi costo, a prescindere da un corretto collegamento tra lo stesso ed il cervello di chi lo possiede, sia una scommessa rischiosa e deleteria.
Di Ibra, è bene ribadirlo, ce n’è soltanto uno, di squadre con manovre offensive efficaci e meno talento ma miglior assemblaggio finale, molte di più.
Ah: tra queste non c’è il Milan, ovviamente.

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