Andriy

imageEra il maggio dell’Anno Domini 1999.

Non so bene come, ma ricordo esattamente cosa stavo facendo e dov’ero quando un mio amico (gobbo, tra l’altro) mi disse che il Milan aveva comprato Andriy Shevchenko dalla Dynamo Kiev.

Mi ricordo che pensai che sì, poteva essere un buon acquisto. Alla fine davanti avevamo Oliver, King George e Leo e quindi sì, ci poteva stare, ma magari era un di più, ecco.

Quanto mi sbagliavo, stolto pischello.

Praticamente fu amore a prima vista.
Era arrivato a Milano sulla sponda giusta del Naviglio un cyborg sovietico con gli occhi da cerbiatto disposto a tutto pur di vendicare l’uccisione della mamma del suo socio Bambi.
Non lo si sapeva ancora. Cioè sì, si erano viste le reti in Champion’s League con la maglia della Dynamo, ma parliamo di un tempo in cui i video delle gesta dei calciatori stranieri erano racchiusi in qualche VHS e a disposizione solamente di qualche fortunato operatore del settore.

E quindi ci ritrovammo Shevchenko in rossonero. Ricordo uscirono gli immancabili articoli sui record nei test atletici..ecco, a posteriori, in questo caso, non dubito nemmeno per un istante che i precedenti record li abbia demoliti per davvero.
Questo perché il Milan aveva appena acquistato una macchina da guerra.
Prima partita di campionato. Rete. Bene direi.
Prime dichiarazioni, con quella sua espressione così timida fuori dal campo: “Io sono molto felice di fare gol per populo rossonero”. Quell’espressione, “populo rossonero”, con quell’inclinazione e quell’accezione così soviet, non me la dimenticherò mai.

In quei frangenti si iniziava ad intuire cosa potesse essere Sheva. Era un giocatore totale. Semplicemente totale.
Aveva tutto.
Potenza, classe, destro, sinistro, colpo di testa, velocità, intelligenza calcistica, freddezza sotto porta, fiuto del gol, un brevettatissimo stop di petto a seguire che ha fatto scuola (riguardatevi in loop il Roma – Milan dell’albero di Natale Ancelottiano giocata in gennaio..ecco, quello stop di petto a seguire).
Cosa si poteva voler di più?! Probabilmente, al tempo, nulla. E infatti noi tutti eravamo innamorati come probabilmente non capitava dall’inizio degli anni novanta.
Era una sentenza il nostro Sheva.
Tu guardavi la partita e sapevi che sarebbe bastato che la palla arrivasse a lui affinché ogni difensore avversario mentalmente tirasse giù tutti i santi perché marcare quello lì, era veramente un’impresa. O iniziavi a prenderlo a calci, o era un’impresa. E anche prendendolo a calci, il risultato non cambiava (vero Materazzi?).
Prendeva palla, magari a decine di metri dalla porta e partiva, determinato, feroce, fiero, verso l’area avversaria.
Non era la più elegante delle corse, ma era la più famelica.
Leggevi nei suoi occhi il desiderio animale di aprire in due le difese avversarie e di scaraventare il pallone in rete.
Una belva, letteralmente.

Ripercorrere la carriera di Andriy, oggi, giorno del suo trentottesimo compleanno, sarebbe probabilmente un esercizio di scrittura superfluo.
Ognuno di noi si ricorda i gol e le azioni di Sheva.
Ognuno di noi ha in mente la sua rete preferita, che sia una qualche rete mirabolante (contro la Juve), un qualche frangente di onnipotenza ultraterrena (contro l’Inter) o un qualche rigore che aveva un determinato peso specifico immancabilmente tirato in basso alla sinistra del portiere (contro la Juve).
Ognuno di noi, chi più chi meno, chi più consapevolmente e chi in maniera più inconscia, ha deciso nel profondo del suo cuore che Andriy Shevchenko va ricordato fino al 2006.
Perché solo fino al 2006 il buon Andriy da Kiev, Vento di Passione, lo Zar, l’Usignolo di Kiev, è stato ciò che tutti noi vogliamo ricordare.

Sheva.
Alla fine, basta la parola.

14 comments for “Andriy

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *