C’è chi pensa che il Milan dovrebbe sempre praticare un bel giuoco, schierare almeno due punte, che il gioco spumeggiante appaghi il pubblico ben oltre il risultato. Lungi da me cadere in questi luoghi comuni: è assodato che i trofei si vincono -in primis- aggiustando la fase difensiva. Tuttavia, tra una squadra arrembante intenzionata solo a segnare più dell’avversario e la trincea difensiva appostata ieri sera a San Siro esistono infinite vie intermedie.
Se affrontare una formazione tonica e compatta come la Juventus richiede contromisure ad hoc, la semplicità dell’analisi condotta col senno di poi suggerisce che non lo si è fatto nel modo giusto. Il tabellino parla infatti di una sconfitta di misura, patita per mano della formazione che da anni uccide il campionato, ma tace di una ferita nel profondo dell’orgoglio che il giorno dopo lascia una cicatrice dalle dimensioni equiparabili a quella sul petto di Sagat. Ieri il Milan non è mai stato in partita. Peggio: non è mai uscito dalla propria metà campo, arroccato ed asfissiato dall’incessante pressing alto avversario.
La Juventus ha sterminato sul nascere ogni timido tentativo di ripartenza, basato goffamente su tocchi corti tra i vari Rami e Zapata -la cui mente è troppo operaia e i cui piedi sono troppo spigolosi per architettare azioni offensive- e il guerriero De Jong, l’unico a venire in appoggio, che quanto a geometria non se la cava tanto meglio. A sua volta e suo malgrado, l’olandese non ha potuto che dar vita ad un dialogo tra sordi con Muntari, stante l’eclissi di Poli e la distanza siderale che lo ha separato dal tridente offensivo, le cui caratteristiche erano tali da non poter essere raggiunto nemmeno con il classico ignorante lancio lungo.
La mediana bianconera, pur disposta in maniera quasi speculare, ha beneficiato di una solidità tripla garantita dal supporto degli esterni -svincolati da alcuni compiti difensivi grazie alla difesa a tre- e dal tanto lavoro sporco dell’apache. Risultato: chiavi del centrocampo costantemente in mano ai gobbi. Il nostro schieramento a maglie laschissime ha trasmesso la stessa sconfortante sensazione che si prova nel risiko quando il tuo obiettivo è conquistare un continente interamente posseduto da un avversario, il quale ad ogni turno ne ricava nuove armate con cui consolidare la propria presenza, e che magari ha come obiettivo quello di annientarti.
La legge dello sport è crudele: solo i risultati stabiliscono chi ha ragione e chi torto. Ieri sera, purtroppo, Inzaghi ha avuto torto marcio. A bocce ferme è fin troppo facile individuare le cose da migliorare, quel che è difficile è capire perché a metà gara, quando era palese che in quelle condizioni non avremmo creato situazioni di pericolo che per la nostra porta, il mister non abbia provato a muovere nemmeno una pedina, ad esempio inserendo un elemento capace di impostare nella linea difensiva o mediana, o arretrando il raggio d’azione di Honda o Bonaventura in appoggio ai ruvidi centrocampisti. O magari sostituendo prima i desaparecidos Poli ed El Shaarawy. A dirlo dopo siamo bravi tutti, certo, e d’altra parte in Italia siamo tutti allenatori, certo, ma assistere dal tavolo di una pizzeria a novanta minuti di dominio schiacciante senza vedere l’ombra del minimo cambiamento scatena il demonio.
Un Milan così brutto è una sconfitta che va ben oltre il risultato. Nel giorno che segna la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, i colori carichi e intensi delle prime giornate di campionato sono nettamente sbiaditi e una fastidiosa nebbiolina trasmette la desolante sensazione di dirigersi verso un inverno lungo e freddo.
Anche nelle prime uscite, nonostante i risultati rocamboleschi ed a tratti esaltanti, era chiaro che la squadra non avrebbe potuto affrontare ogni avversario lasciando l’iniziativa alle sole invenzioni del geniale Menez -ieri di gran lunga migliore dei nostri- ma bisognerà piuttosto predisporre delle alternative che consentano di avere una quadratura che prescinda dalle invenzioni dei singoli e che consenta alla squadra di tenere il campo anche contro avversari superiori.
Personalmente ho piena fiducia in Inzaghi e non gli chiedo di dare al Milan un bel gioco, ma di sicuro mi aspetto che un uomo della sua determinazione tragga dalla lezione di ieri gli spunti per rendere la squadra molto più efficace.
7 comments for “Il Bel giuoco”