Il De Clava – di come il Milan attuale non possa prescindere dalle maniere forti.

Ammiraglio De Jong

Come tutte le persone normali o, perlomeno, quelle che hanno avuto la fortuna di aver ricevuto il dono della vista, mi sono innamorato del pallone guardando artisti e prestigiatori riuscire a fare con i piedi determinate cose che il sottoscritto troverebbe arduo fare con le mani.

Da questo punto di vista l’essere nato rossonero sul finire degli anni 80 ha agevolato il processo di innamoramento nei confronti del pallone a spicchi, crescendo con la fortuna di poter vedere Savicevic fare quel che voleva con la palla tra i piedi.
È normale rimanere estasiati davanti a ciò. Un illustre pensatore moderno in tempi non sospetti andava affermando che “un calciatore offre un’emozione pari a quella di un artista”. Tralasciando poi il fatto che Picasso sia uno stronzo e Raffaello una merda (cit. testuale), niente di più vero.

Ad un certo punto, forse inasprito dalla durezza della vita, il tifoso, o meglio, ciò vale per il sottoscritto, inizia ad apprezzare altro. Inizia ad apprezzare l’agone, la passione, la voglia di riscatto insita in chi non ha avuto in dono dalla Provvidenza il poter dipingere pezzi unici con i piedi.

Si inizia a capire e ad amare l’essenza del mediano.

Non starò qui a farvi un’enciclica sulle metafore a cui si presta il ruolo del rubapalloni. Non starò a parlarvi del working-class hero e di come uno nella vita stia lì, lì nel mezzo come Oriali (anche perché non è che mi si possa definire propriamente definire un fan di Luciano da Correggio).

No, in questa dozzina di righe buttate lì a casaccio voglio solo evidenziare come per il Milan attuale, quello che Inzaghi sta piano piano plasmando a propria immagine e somiglianza (a parte il paradosso del Nove per eccellenza che ne schiera uno falso..ma vedendo questo Menez, oh, ha ragione lui), le figure di Nigel De Jong e Sulley Ali Muntari siano imprescindibili e irrinunciabili.

Su De Jong, l’Ammiraglio De Jong, c’è poco da aggiungere. È un frangiflutti. Ma è anche uno che nella tempesta riesce a mantenere la calma, uno che è riuscito in sole due stagioni a entrare nei cuori di ogni tifoso di stanza nella parte giusta del Naviglio e che è punto di riferimento per ogni compagno che può essere in difficoltà (e di compagni in difficoltà ce ne sono sempre). È essenziale. Sia dal punto di vista tattico che dal punto di vista emotivo.
Ovvio. Il Milan ancelottiano vedeva un artista come vertice basso ma i paragoni, oltre che errati e privi di senso, mi fanno moderatamente perdere le staffe in quanto “quel coso là” lo detesto profondamente ora come ora. Però l’apporto geometrico portato dal frangiflutti di Amsterdam non è da sottovalutare: non ti farà mai l’apertura di 65 metri dritta sul malleolo del compagno in corsa, però la combinazione difesa del pallone + apertura intelligente è nel patrimonio genetico del buon vecchio Nigel.

Ma veniamo a Muntari.
Muntari è, per me, vittima di una cattiva fama che lo precede e ne condiziona il giudizio. Io stesso credo di averlo insultato negli anni talmente tante volte come feci solo con Jankulovski e Matri.
Il mediano ghanese paga nell’ordine:
– l’essere sgraziato
– l’essere portato all’entrata assassina immotivata
– l’essersi fondamentalmente mostrato più volte scemo come un mattone
– l’essere il cocco di Allegri, cosa divenuta (giustamente, cazzarola) una sorta di marchio maledetto.
Bene, di queste, sempre a modesto avviso di chi scrive, tre sono sacrosante mentre una invece deve essere confutata.
Muntari, è preziosissimo per questo Milan (ci terrei a sottolineare il “questo”); a dispetto di quel che si possa pensare, il mediano di corsa nativo di Konongo, ha doti uniche nella batteria di centrocampisti a disposizione di Inzaghi. In primis corre, e questo è bene; poi ha dei tempi di inserimento offensivi che nessun altra mezzala ha in dote, ha dei piedi che, ve lo garantisco, non prendetemi per un ubriacone, non sono poi così male e, infine, ed è la cosa che mi lascia più stranito (e, per certi versi, quasi inorridito ma amen) in questi inizi di stagione, è divenuto quello che viene utilizzato dai compagni come “uomo da palla in cassaforte”. Mi spiego, sei in uscita e devi far ripartire l’azione spezzando il pressing? palla a Muntari, tanto sai che non la perde e che, nella malaugurata ipotesi in cui la perda, sarà sempre pronto a cercare di far saltare la tibia a colui che rubandogliela si è macchiato di “ὕβϱις”.

Per questi motivi (anche se, a onor del vero, bisognerebbe affrontare e approfondire tutto un discorso sull’equilibrio tattico che, per essere raggiunto, non può far meno della compresenza di più mediani in campo) il Milan attuale non può prescindere dai suoi lottatori, da chi per mestiere ruba i palloni e spezza tibie e gioco avversario e che pazienza se magari non sa mettertela a giro sul secondo, la cosa che conta è che stia lì, lì nel mezzo. Finché ne ha.

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