High & dry

ubriacoLo scenario che ci abbraccia ha improvvisamente inscenato una danza sinistra e diabolica. Con andatura incerta e flessuosa la strada dinanzi a noi si sposta a destra e manca senza pace ad ogni passo insicuro che tentiamo di completare. L’ultima volta ci eravamo proposti di non rifarlo mai più, per l’ennesima volta. E per l’ennesima volta non è bastato: nonostante fossimo usciti con i migliori propositi, abbiamo finito per avvinazzarci.

“E lontano, oltre, nel tempo, una folla misteriosa è scattata tutta in piedi, grida: Bravo, bene, ancora!”. Le caotiche offuscate diapositive non ci consentono di mettere a fuoco le persone o le ragioni che ci hanno accompagnato verso una bendola infernale. D’improvviso, per motivazioni ignote e inintelligibili, l’allenatore ha preso ad incitarci, convincendoci che tutto stesse andando per il meglio, che stessimo facendo la cosa giusta, che quanto accadeva fosse addirittura auspicabile. La co-amministratrice -che siamo abituati a vedere in veste “grillo parlante”- non ha fatto nulla per risvegliare il nostro senso di responsabilità; distratta, assente, indecisa. Le persone attorno a noi ridevano di gusto.

Il resto l’ha fatto Bacco disarmando ogni freno inibitorio, spalancando le porte alla celebre mezz’ora d’invincibilità durante la quale tutto sembra possibile, i colori sono più vivi, le musiche più soavi, le abilità migliori, la paura di esporsi o di sbagliare svanisce nel nulla.

Abbiamo stretto decine di amicizie, filosofato su nobili principi di etica e giustizia, ruttato, fatto grandi progetti che sono già diventati vaghe reminiscenze. Qualcuno domani ci rammenterà tutto questo, prendendoci per il culo. Magari uscirà fuori qualche foto compromettente. Ci penseremo domani mattina, nel tempo dell’inutile pentimento, quando ci risveglieremo con un mattone in testa e realizzeremo che gli acquisti di Diego Lopez, Alex, Menez e Torres ci avevano permesso di innalzare temporaneamente il livello qualitativo della rosa ma alla fine della giostra ci hanno lasciato con il culo per terra e senza un soldo in tasca.

Ci ritroveremo con una squadra composta da calciatori le cui prestazioni atletiche -in netta parabola discendente- non rispecchiano gli emolumenti da top player, che ne precluderanno la cessione e, di riflesso, qualsiasi potenziale operazione di acquisto. Già, perché come da spiacevole consuetudine, le operazioni di acquisto vengono concluse a numeri magici che spingono l’ambiente a gridare euforico all’affare del millennio, salvo poi accorgersi appena qualche anno dopo che quelle medesime cifre sono cresciute come fagioli magici tramutandosi prodigiosamente in dei macigni che trascinano il bilancio verso l’abisso; meraviglie del giornalismo.

La sbronza di nomi e skills non ci consente di realizzare che nell’arco di un anno o poco più questi acquisti saranno dei costosissimi pensionati, come ne abbiamo mantenuti e mal tollerati a bizzeffe nell’ultimo decennio. Quando ce ne renderemo conto ci prometteremo di non rifarlo mai più, promessa tanto vana in passato quanto per l’avvenire. E rimarremo ancora senza emozioni e senza risorse.

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