Presidente noi la preghiamo…la smetta!!!

 

silvio ridicolo

Giugno-Luglio 2009, 2010, 2011, 2012, 2013 o 2014, poco cambia per il tifoso milanista a parte capelli che cadono, donne che arrivano o partono, bebè o nuovi lavori. Lo strazio condito da frasi fatte, inutili da elencare un’altra volta, è sempre il medesimo.

Direi che il buon Fini dell’estate 2010, accortosi dopo appena diciassette anni di chi fosse il suo azionista di maggioranza in politica con contorno di crollo del consenso ed il rischio di elezioni anticipate, è ancora da ringraziare: almeno i giorni del condor – animale tra l’altro ghiotto di carogne – portarono in dote Ibra e le basi per l’ultimo scudetto invece di un Matri o un Aquilani qualsiasi.

Su Galliani e su quanto scritto qui dentro su di lui potremo fare una pratica enciclopedia del peso pari a quello di Cassano ai tempi del Real, e certo il sostegno incondizionato ad un settantenne democristiano e poltronista di ferro per “rinnovare il calcio italiano” sarebbe fenomeno da studiare, ma oggi non è il caso.

 

Oggi facciamo una breve escursione turistica nelle colpe di colui che ogni tanto riferiscono indignato, furioso, contrariato per risultati e gioco del Milan, sempre facendo attenzione il giornalista di turno nel descriverlo come entità esterna, superiore alle terrene vicende di una banale squadra di calcio, in ogni caso contornato da un alone di non responsabilità.

 

L’avrete capito, oggi elenchiamo le colpe nel gravissimo sfascio incontro a cui è andato questo club – cloeb, scusate – di Silvio Berlusconi.

 

-Galliani è un pessimo amministratore delegato con movenze e abitudini da dinosauro della prima repubblica in un mondo che si sta evolvendo? Galliani in quel ruolo non lo tengo io e non lo tengono i tifosi tastieristi o giapponesi che dir si voglia. L’incontro a Palazzo Grazioli con Moggi, poco prima che scoppiasse Calciopoli, è storia e non gossip, segno che un certo tipo di gestione non piace e non da ora, ma da oltre otto anni. Certo i recenti risultati sull’assegnazione dei diritti TV per il calcio in Italia, assegnazione che ha evitato che la torre di Cologno venisse riconvertita ad attrazione adrenalinica in stile Mirabilandia, potrebbero far intuire che serva a cose più importanti di un Muntari allocato su zolle un tempo calcate da Pirlo. Sarebbe però il caso di comunicarlo alla figlia: oltre a nuovi abbinamenti cromatici per Casa Milan da far spiegare all’architetto col cappello fucsia, non sarà possibile andare quanto a competenze.

 

-La chiusura dei rubinetti è stata più o meno repentina ma del tutto priva di una nuova linea programmatica da dettare alla dirigenza: monetizzare i campioni del ciclo di Ancelotti nell’arco del quadriennio 2005-2009, quando ancora avevano mercato, avrebbe consentito una graduale ricostruzione di una base per la rosa, un po’ come avvenne nel triennio 1999-2002. Invece l’unica imposizione che è arrivata con cadenza triennale era quella di rientrare della voragine in bilancio cedendo il migliore o i migliori in rosa per l’esatta cifra che consentiva a Fininvest di non mettere un picco per il buco. Di qui le visite a Real o PSG col cappello in mano a scongiurare le rispettive dirigenze invece di fare il prezzo: Ibra e Thiago sono stati venduti al PSG per tre milioni meno del solo Cavani, uno che allo svedese può portare la borsa o le merendine. Insomma: dei possibili benefici di una maxi cessione importava ben poco, quel che contava era non gravare sulle casse della casa madre.

 

-I soldi extra-budget, a parte la folle operazione Zambrotta del 2008, sono sempre stati destinati a punte, seconde punte, mezze punte o similari. Per operazioni relativamente semplici come il Vrsaljko di quest’estate o il Nainngolan dello scorso inverno si susseguivano vertici e summit che si concludevano in nulla di fatto perché “non è convinto”, “non vuole spendere per un mediano/terzino/centrocampista/portiere”… L’allegro giro dei soliti noti, procuratori e presidenti, devastante alla lunga per le casse del Milan, è iniziato anche per l’esigenza, da parte di un club raso a zero come capacità di scouting e valorizzazione del vivaio, di sostituire una difesa ed un centrocampo tra i più forti dello scorso decennio con due spiccioli a disposizione. Metti Galliani a capo di un’impresa simile, fregatene per un bel po’ e vedrai Muntari e Traorè spuntare sui prati di Milanello come funghi nei boschi di questa piovosissima estate.

 

-Bravissimo a presentarsi le rare volte in cui l’associazione mentale Milan-Berlusconi poteva evocare pensieri positivi, rapido a sparire quanto un Matacena o un Dell’Utri quando molto frequentemente non era il caso. Credo che nell’estate 2012, nelle settimane successive alla doppia cessione, circolassero segretissime veline negli uffici della comunicazione rossonera con sopra il divieto tassativo anche solo di inserire l’ onorato cognome in un qualsiasi pezzo in cui ci fosse pure la parola Milan. Inutile sottolineare quanto siano state strumentali, in vista delle elezioni del 2013, le visite pastorali a Milanello nell’autunno del 2012 al claudicante Milan di Allegri di quel periodo.

 

-Le frecciate agli allenatori. A volte prive di fondamenta tecniche accettabili, spesso fuori da un contesto consono – “avrebbe riferito ad alcuni senatori”, “a margine del vertice tenutosi a…”- sempre squassanti per l’ ambiente data la centralità mediatica del personaggio. Ancelotti a fine ciclo tecnico e sportivo, ma comunque con due Champions League portate per allungare la mensola dei trofei, invece di un grazie si sente dire che con la medesima squadra lui avrebbe vinto con facilità lo scudetto. E’ una roba che poi il karma pensa bene di sistemarti rendendo il medesimo tondeggiante tecnico quello con più Champions vinte tra quelli in vita, non malissimo dai.                                L’altro lato di questa medaglia dimostra però che del boss decisionista che affascinò gente come Sacchi, Capello e parecchi tra i più grandi giocatori degli anni 80-90, convincendoli ad accumulare denari e trofei per questi colori, non rimane che un’ ombra chiacchierona. Allegri che non ha mai amato non lo caccia nel maggio del 2013 per una questione di buonuscita. Seedorf, personaggio i cui pregi e difetti si conoscono da una vita ma comunque voluto fortemente da lui, se lo fa sfilare letteralmente da sotto i piedi dopo appena due mesi di guida tecnica con un bagno economico da dieci milioni, e ci perdoni Montolivo, ma nella sua versione aggiornata di Van Basten (“o Sacchi o me”) risulta credibile quanto Panariello al posto di Brando in una riedizione del Padrino.

 

-La bizzarra idea che qualche arabo o russo debba sborsare 250-300 milioni di euro in un club da rifondare tecnicamente, senza uno stadio di proprietà e col gallianesco brand che quest’anno registra circa un centinaio di milioni in meno di valore rispetto a stime di dodici mesi fa, solamente per detenere il 30% o giù di lì delle quote. Chi entra in un top club con grandi mezzi lo fa per il medesimo motivo per cui lo fece lui trent’anni fa: per avere visibilità a livello mondiale comandare ed essere quello che si indica e si ringrazia quando si solleva qualche trofeo, non certo per un cartonato col nome della sua ditta alle spalle di uno Zaccardo nel post-partita.

 

L’ancora più folle concezione, a fronte di tutte queste colpe, che basti la sua presenza e quattro frasette ripetute all’infinito per essere vicino al Milan.

 

 

Quindi, caro re dei party di Cesano Boscone, la prossima volta in cui dirà “mi piacerebbe tornare ad occuparmi del mio Milan”, e purtroppo lo dirà ancora molte volte, oltre il capannello dei consueti giornalisti annuenti potrebbe udire un suono indistinto e lontano, ideale tweet da parte dei tifosi non ancora divenuti ebeti.

 

Nulla di dannoso, non si preoccupi, sostanzialmente una pernacchia.

 

 

 

 

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