Scorrono le immagini dell’addio al calcio di Javier, fiero avversario. Occhi lucidi sugli spalti e in campo, dal televisore si proiettano fotogrammi colmi di una nostalgia che se passerà, lo farà molto lentamente.
Mi ritorna subito in mente 13 Maggio del 2012: Gattuso che all’uscita del tunnel degli spogliatoi divora per l’ultima volta, con quella sua inimitabile corsa, la strada verso la curva. Il pensiero che non succederà più è un pugno allo stomaco. Poi il match: partita di fine campionato che ha poco da dare, a livello sportivo. Si è allo stadio per altro. Entra Inzaghi, e gonfia la rete per il 2 a 1. Altro pugno, stesso punto di prima. Le urla tutto attorno sono strozzate, nessuno riesce a festeggiare troppo. Non c’è bisogno di aspettar la fine della partita, per sentirsi un po’ più soli. Sandro, Pippo, Clarence, Gennaro si prendono gli applausi del mondo con quei giri di campo, mi volto e vedo un signore sulla cinquantina che piange. Il petto è caldo, e anche i miei occhi sono lucidi, gonfi della stessa nostalgia palpabile per tutto il pomeriggio, questa volta manifestata e presente in modo tangibile e corporeo.
Avrei voluto dare un addio come quello anche a Massimo. Lo avrei fatto, se solo me ne avessero dato la possibilità. Penso a Andrij, a Carletto, Manuel, un bel po’ prima il Grande Franco, ancor prima Marco. Forse è proprio l’amore, che manca. La società e le sue politiche mi hanno reso più freddo. I giovani in campo, che avrebbero avuto un accesso privilegiato per entrar nel mio cuore, hanno scelto vie tortuose e pericolose pur di tenersi lontani dal mio affetto. Non è principalmente il talento: forse è proprio l’amore, che manca. San Siro è sempre più freddo, le immagini in tv sempre più lontane, i volti dei giocatori che indossano la nostra maglia sempre meno riconoscibili, il nostro tifo sempre meno empatico. Il calcio è e sempre resterà una buffa rappresentazione della vita, e questo vuoto dentro ha un po’ il sapore di un amore non ricambiato, di un sentimento che non sboccia, di una scintilla che non scocca.
Mi accendo una sigaretta, guardo fuori dalla finestra e invidio da morire i tifosi interisti che hanno pianto per Javier.
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