I moti rivoluzionari sono durati poco. Il famigerato C.D.A., primo svoltosi nella nuova sede, ha ricordato più che altro uno sbrigativo Congresso di Vienna con relativi principi di restaurazione.
Ci eravamo sbagliati, vi chiediamo scusa.
Questa volta non c’era un Leonardo da piazzare in ruolo diverso per essere depotenziato, non c’era un Maldini fuori dal calcio da cinque anni con le sue cicliche interviste e relative frecciatine.
Questa volta di mezzo c’era la figlia del proprietario di ACM, c’erano controlli sui conti in corso da ben due anni, c’era uno staff già preallertato da tempo (chi vi scrive può riferirvi con tranquillità e per fonti dirette che a dicembre Sogliano era più che convinto di piazzare le tende a Milano dal maggio del 2014). Questa volta l’attacco era partito con coordinazione, l’imbeccata del babbo a far parlare la figlia nel preciso momento in cui la gestione sportiva del Milan risultava maggiormente esposta a causa dei risultati, era stata tempestiva e spietata.
Nulla.
Chi crede che veramente Berlusconi, nel vertice di fine anno ad Arcore si sia sognato di scongiurare la partenza del cravatta gialla per stima o affetto, fa chiaramente un torto alla sua intelligenza. C’erano di mezzo una minaccia di dimissioni per giusta causa, una richiesta di liquidazione che non si sognerebbe di domandare nessun manager di Eni o Trenitalia, c’erano di mezzo tante cose sul tavolo, cose presumibilmente “normali” quando si è partiti insieme per costruire un impero di quelle dimensioni.
Non sono bastati conti portati alla luce, non sono bastate domande dirette sugli affari col suo presidente preferito, Preziosi, non è bastata insomma una scomunica giuta direttamente dalla proprietà.
Chi si avvicina all’enclave del novello colonnello Kurtz, muore o viene reso inoffensivo.
La reazione rabbiosa di dicembre che l’ha mantenuto in sella, viaggia di pari passo a ciò che è toccato a Seedorf, tecnico non scelto da lui e da lui mai amato quando era calciatore negli ultimi anni al Milan. Le sue perplessità sulla rosa, uscite tramite mille spifferi dopo la sconfitta contro il Parma, hanno portato in due giorni l’olandese alla gogna.
Due frasette, una sulla talpa nello spogliatoio per il caso Montolivo, una –bellissima– sul fatto che manco a lui dispiacerebbe avere Cafu e Serginho per giocare meglio sulle fasce, chiara frecciata alla rosa attuale, l’hanno ributtato sulla piastra accesa nonostante 13 punti nelle ultime cinque partite e un Milan che attualmente nella classifica parziale, quelle classifiche solitamente adorate da Galliani, nel girone di ritorno sia terzo dietro a Juve e Roma.
Molti dicono che si tratta di semplice attacco mediatico. A cosa? Ad un Milan ottavo e del tutto inoffensivo per i posti che contano in classifica? E se si trattasse di attacco mediatico, perché il sito ufficiale del club non ha fatto uscire mezza riga in questi giorni per smentire tutto ciò che si dice sui giornali? Perché il responsabile della parte sportiva della gestione ieri all’uscita dalla sede, alle domande su Clarenzio si è trincerato dietro un muro di silenzio? Proprio lui che smentiva le cessioni di Thiago o Ibra nel medesimo momento in cui li stava spedendo a Malpensa.
Seedorf, forse il giocatore maggiormente stimato dal capo. Barbara, la figlia del capo.
Niente da fare: se uno lo si sta provando a logorare, l’altra viene destinata a inaugurazione della sede, viaggi fantomatici che si concludono in due giorni, paroline su modelli tedeschi o inglesi da seguire, su top player da formare in casa, su tante formulette che altro non sono che melina intellettuale.
Durante l’assemblea degli azionisti, sulle domande relative al futuro del club, Galliani stoppa tutto invitando gli azionisti ad attenersi all’ordine del giorno.
Esatto: un piccolo azionista, uno che ha anche solo un miserrimo tocchetto di Milan, non ha diritto a sapere quali siano le future ambizioni sportive del club.
Proposta di legare i compensi del consiglio ai risultati. Respinta.
I risultati sportivi? Ma figuriamoci! La bacheca basta lucidarla di tanto in tanto, anche se la media di un trofeo all’anno è destinata a finire da questa stagione, e non a caso ieri venivano celebrati anche i secondi posti.
Il Milan è Cosa Sua. Se persino Berlusconi ha preferito lavarsene la mani, depotenziare la figlia e non spendere mezza parola su Seedorf, una volta sarebbe corso davanti ad un microfono dopo quattro vittorie di fila a rivendicare la paternità della scelta, vuol dire che il Milan rimarrà questo fino a quando il mandarino deciderà di andarsene in pensione.
Già si parla di una cessione eccellente, di misteriose strategie per non pagare quanto concordato per i riscatti di Rami e Taarabt, dell’ennesima estate di patimenti di mercato, perché per il Milan manco conta se si qualifica o meno alla Champions, tanto i costi di gestione rendono sempre impossibile far sbucare mezzo picco da investire.
Dopo ben cinque anni, dai tempi della cessione di Kakà, a parlare di progetto giovani, sarei curioso di sentire la motivazione di una cessione di De Sciglio al Real, perché sapete che potrebbe accadere.
Sono curioso di vedere il prosieguo della vicenda relativa a Seedorf. Nella corsa a due tra lui e Inzaghi per la panchina, confesso di aver fatto il tifo per Pippo. Ora come ora mi auguro che la sua ambizione non lo spinga a farsi usare in questo vomitevole grande gioco che è diventata la quotidianità del secondo club al mondo per Coppe dei Campioni vinte.
Poi magari sfoltiscono mezza rosa, iniziano a comprare giocatori utili e senza ingaggi mostruosi, ascoltano le richieste del tecnico. Ma se non lo fanno da quasi dieci anni, perché iniziare proprio adesso?
Come detto ieri da un mio amico, non resta che la fede incrollabile nei nostri colori, e quella non morirà mai.
Tanto qualche imbecille che vi ricorderà quanto vinto con questo club e quanto siate ingrati, riuscireste a trovarlo anche tra dieci anni, tra dieci CDA, con Galliani che si è appena vantato di aver tenuto la squadra nelle prime quindici per cinque anni di fila.
8 comments for “La restaurazione”