Destinazione Lisbona

23_de_Abril_Lisbon_PortugalManca soltanto la Juventus di Conte? Si tranquillizzino Caressa, Mauro e il resto della curva Scirea di Sky. La Juventus non manca per un cazzo a queste semifinali di Champions, raramente di livello così elevato per forza e blasone.

Le due grandi favorite sin da settembre, Bayern e Real, l’armata del generale più carismatico nonchè abbonato alle semifinali di Champions, il Chelsea, la miglior squadra d’Europa di questa stagione nel rapporto forze a disposizione-rendimento, l’Atletico Madrid.

Non vi basta? Il Real è la regina storica del calcio europeo, da dodici anni alla ricerca di una decima coppa che pare inevitabile e che non arriva mai, il Bayern è la squadra che nel nuovo millennio, dal 2001 in poi, ha disputato più finali, quattro, il Chelsea quella che nell’ultimo decennio ha avuto più continuità di rendimento in Champions, e quando è uscita ai gironi ha ritenuto cosa buona e giusta vincere pure l’Europa League, l’Atletico Madrid  ha fatto apprendistato con due coppe minori, premurandosi però di prendere a pallate a Montecarlo in Supercoppa i campioni d’Europa, Inter nel 2010 e Chelsea nel 2012.

Poi ci sono quei tre: Ancelotti, Guardiola e Mourinho. Negli ultimi undici anni sei coppe sono finite sulle mensole dei loro club, due per ciascuno. Uno di loro potrebbe affiancare Bob Paisley a quota tre vittorie, mentre Simeone potrebbe aver imparato da Klopp come si rovinano certe feste patinate dell’alta società.

Vediamole allora queste invitate al ballo di fine anno.

Atletico Madrid.

Il Vicente Calderon ieri sera ha preso idealmente il posto, nel cuore di chi ama il calcio, del muro giallonero di Dortmund dell’anno scorso. Vedere idee, organizzazione e cuore trionfare su un titano , per di più quel titano cosi amato dalla UEFA, quello che schiera in campo il marchio più vezzeggiato e tutelato dal circo commerciale di Nyon, Leo Messi, è sempre confortante. E’ una squadra figlia del suo allenatore, molto poco “nazionale” nell’anima. Britannica nel tremendismo fisico, italiana nell’abilità tattica, olandese nell’organizzazione, spagnola nella cura della bellezza del gioco. D’altra parte Simeone la serie A l’ha frequentata quando era il miglior campionato al mondo, la vittoria a San Siro dopo settanta minuti di patimenti,è stata la dimostrazione che all’Atletico non fa affatto schifo soffrire e giocar male se alla fine si porta a casa il risultato pieno.

Un portiere, Courtois, in prestito dal Chelsea e destinato a dare al Belgio l’erede di una leggenda chiamata Preud’Homme, un centravanti, Diego Costa, che quest’estate è stato ad un passo dal trasferimento in Turchia ed ora è il prototipo della prima punta agognata da qualsiasi tecnico. Arda Turan col suo barbone da mullah, il gioiellino Koke, una super riserva come David Villa, ma soprattutto una squadra. La squadra più squadra di tutte le quattro, ancora in corsa per la Liga più emozionante degli ultimi anni.

Una volta tanto il bimbo madrileno non porterà rancore al papà, ponendogli quella domanda scomoda a cadenza stagionale: “Papà, perché noi siamo dell’Atletico?”

Real Madrid.

Ancelottiano nella serenità del gruppo dopo anni di mourinhismo praticato nello spogliatoio e sotto lo stemma sbagliato; molto, troppo ancelottiano nello scialacquare situazioni comode e vantaggiose, da un potenziale più sette ad inseguire nella Liga nel giro di pochi giorni per una banale caduta a Siviglia, messo alle corde a Dortmund e graziato da Mkhitarian in una gara che, fosse finita 5-0 per il Dortmund, non avrebbe destato scandalo alcuno. Ora si trova un po’ come col Milan della primavera 2005: di fronte la possibilità di vincere tutto o quella di un’estate di lazzi e prese per il culo dall’intero mondo che non sia quello madridista. Quel Milan era più forte nel complesso, migliore difensivamente. Questo Real dalla metà campo in su è fortissimo, con un Cristiano Ronaldo al top. A proposito: il lusitano a bordo campo al Westfalenstadion che indicava all’arbitro l’orologio per invitarlo a fischiare la fine, manco fosse un Thereau qualsiasi durante uno scontro salvezza, mi ha fatto tenerezza ma mi ha fatto capire anche l’umiltà del ragazzo sotto tutto quel gel…lacrime, sudore e semifinale da portare a casa anche sgolandosi dalla panchina. Bravo.

Chelsea.

Dopo il miracolo di esser riusciti a far suonare Liquidator all’Allianz Arena nel 2012 in faccia ai padroni di casa, pareva che almeno a livello internazionale dovesse servire del tempo per ricostruire il giocattolino di Roman. Invece, grazie ai due amici del cuore Benitez e Mou, due che relativizzerebbero il concetto di striscie pedonali se fossero al volante ed incontrassero l’altro a spasso, dopo l’Europa League dell’anno scorso ecco un’altra semifinale di Champions. Due trofei ed una semifinale in tre anni. Non oso immaginare Galliani e i suoi slogan dopo un triennio così…si sentirebbe perfino autorizzato a comprare Dario Hubner e Cleto Polonia, invitandoci a tacere di fronte ad un simile score.

Mou è rientrato nella sua dimensione ideale: quella di outsider fortissimo in realtà, ma che non parte favorito in assoluto. Una cosa che non ha potuto fare a Madrid, una storia troppo pesante quella bianca. Lui preferisce essere più grande dei club che allena, vedi la selezione amatoriale milanese che guidò anni addietro. Va detto che spesso e volentieri questi club li fa vincere.

Ribaltare il quarto contro il PSG non era cosa semplice, ha pure perso Hazard dopo pochi minuti, e il trottolino belga è al momento uno dei giocatori più decisivi nelle giocate dell’intero continente. Eppure ha incartato Blanc e l’ha rispedito dagli emiri, che saranno felicissimi di un altro anno a trionfare spezzando reni a Evian e Ajaccio. Vecchi leoni del primo ciclo portoghese a Stamford Bridge quali Terry , Lampard e Cech, il re della distrazione clamorosa e decisiva come David Luiz, uno che con un cervello funzionante potrebbe essere a scelta il miglior centrale difensivo o il miglior volante di centrocampo al mondo, un manipolo di beata gioventù sulla trequarti creativa, Oscar, Willian e Schurrle, oltre al migliore e già citato Hazard, un Torres che può far gioire o bestemmiare senza margini di previsione, Samuel Eto’o, che forse avrà 78 anni come si dice in giro, ma che in queste partite è stato decisivo parecchie volte..

Delle quattro è forse quella meno appariscente a livello di gioco, quella che pare arrivata qui con maggior fatica, ma Mourinho è lo sfavorito più pericoloso e “favorito” da incontrare in una campagna europea primaverile.

Tra Lisbona e Setubal sono cinquanta chilometri, arrivasse la terza nello stadio del club in cui durò nove partite, molto tempo prima di diventare Mourinho, si sentirebbe autorizzato a domandare di affiancare al bandierone portoghese che campeggia su Parque Eduardo VII, un vessillo di egual misura col suo faccione cucito sopra.

Bayern Monaco.

Che palle. Beckenbauer si annoia. Chissà nel triennio 1973-1976: tra tre Coppe dei Campioni e il Mondiale vinto in casa , il buon Franz doveva trascorrere tutto il tempo tra una gara e l’altra trascinando apposita carriola per ospitare i suoi marroni. Caro Kaiser, unico a poter sghignazzare insieme a Baresi quando indicano questo o quello come miglior centrale difensivo del mondo,  recuperati un bel dvd con sopra un Chievo-Catania 0 a 0 e riuscirai a definire meglio il concetto di noia, magari fatti illuminare da Hoeness mentre spacca pietre per il glorioso Reich di Angela Merkel con addosso la classica divisa della Juve…

Sette giornate in anticipo per vincere una Bundesliga che è finita nel momento in cui , quest’autunno, il Borussia Dortmund ha rubato con destrezza i segreti di MilanLab per radere al suolo un’intera squadra, da Hummel e Subotic, passando per il turco ed il codice fiscale polacco che non imparo mai a scrivere. Il Bayern dell’anno scorso è stata la squadra che più mi ha ricordato il Milan di Sacchi e del primo anno di Capello: seta nei piedi, cemento nel fisico, acciaio nell’anima.

Questo, dopo qualche minima difficoltà ad ingranare all’inizio del campionato, è andato avanti a vincere per inerzia e manifesta superiorità. Simile il cammino in Coppa, dove pare arrivato qui perché era inevitabile Questa non è una critica al Pep filosofeggiante, anzi, un complimentone. Mantenere gli stimoli non è mai semplice: il fatto che Guardiola abbia modificato un gioco che ora è meno tonante e più ragionato, come nel suo bagaglio storico di tecnico, non ha spostato di una virgola il rendimento economico, vedi punti fatti, in questa stagione. Restano i più forti. Robben, Ribery, Lahm, Schweinsteiger, vanno tutti per i trenta o li hanno scollinati già, e dalla loro hanno un’arma non da ridere: sono un gruppo che si è formato sulle delusioni europee, Madrid 2010 e Monaco 2012. Hanno iniziato ora a vincere, e ci si fa la bocca a certe notti meravigliose.

Poi il buon Franck non ha preso per nulla bene il fatto di non essere stato considerato di striscio per il Pallone d’oro la scorsa stagione. Si consoli: oltre alla bellezza radiosa indiscutibile, gli rimane il fatto di militare in un club talmente forte da rendere difficile per un singolo emergere.

Un po’ come quando si tiravano i bussolotti tra tre giocatori del Milan per decretare vincitore e podio del premio. Molti, moltissimi anni fa. Bei tempi quelli, signori miei.

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