Il Milan esce dal tritacarne messo in azione dopo la gara al Vicente Calderon, con quattro punti tra Roma e Firenze.
Meglio di quanto si potesse sperare alla luce del macello che è andato in onda dal 15 marzo, giorno in cui è stata preannunciata la contestazione per la gara interna col Parma.
Gli avvenimenti di questo periodo sono stati una dimostrazione di quanto sia fragile la società Milan in questo momento, lontanissima parente di quella roccaforte da cui non usciva uno spiffero e in cui veniva esercitata un’arte odiosa in tutti gli altri campi, ma efficacissima in quello calcistico: la censura.
Accuse e controaccuse si sono susseguite senza soluzione di continuità, in parte da alcuni –pochi- in buonafede e da molti palesemente imbeccati dalle fazioni che incendiano la guerra civile in corso.
La preannunciata contestazione della curva, schierata contro Galliani dopo anni trascorsi a braccetto verso il declino, che nel comunicato evitava accuratamente di nominare la proprietà tra i responsabili dell’attuale sfascio, l’indiscrezione di un Berlusconi che riteneva costruito male questo Milan, individuavano il bersaglio senza troppe possibilità d’errore.
I siti ed i giornalisti solitamente e storicamente schierati dalla parte della società cominciavano a sottolineare la folle politica dei parametri zero dagli ingaggi principeschi, rispuntava Maldini con un tempismo degno di un suo tackle sulla fascia, da più parti insomma traspariva l’idea di un Galliani che avesse fatto il suo tempo e in bilico.
Nel giro di una notte, e presumibilmente di numerose telefonate, ecco spuntare come d’incanto dossier contro Seedorf e accuse di ogni genere: l’ardire di farsi portare delle uova strapazzate, snobismo, dilungarsi eccessivamente per spiegare ai giocatori la sua idea di calcio (il DAIDAIDAI in effetti era più sintetico come concetto..), aver eccepito sulla qualità di buona parte della rosa.
Addirittura Bonera e Abbiati inviati come autorevoli senatori ad eccepire sulle metodiche clarenziane ad Arcore, che è un po’ come avere Razzi e Scilipoti come uniche voci da mandare a parlare all’assemblea generale dell’ONU…
Il possesso palla mediatico passa saldamente nelle mani di Galliani.
Seedorf diventa un morto che cammina, uno dalle idee calcistiche assurde e folli, avanzano nomi di ogni genere per sostituirlo, si preannuncia per lui un finale di stagione da semplice traghettatore.
Galliani per il fatto di accompagnare la squadra nella doppia trasferta, diventa tutor di Seedorf nelle ricostruzioni giornalistiche allineate.
Un’ invenzione geniale, che pone l’AD in una posizione di vittoria certa: infatti, per certi giornalisti e fortunatamente non per tutti, il Milan timido e sparagnino di Roma è colpa di un Seedorf impaurito, quello di Firenze merito del pelato che ha ricompattato l’ambiente e, sempre secondo alcuni, dettato le linee guida della formazione.
Quello visto a Firenze è stato un buon Milan, un Milan in cui il 4-2-3-1 ha funzionato bene, anche grazie al ritorno di Taarabt e ad un Honda finalmente positivo e non spaesato, che hanno costretto gli esterni della Fiorentina a sprecare notevoli energie in fase di contenimento. I meriti, doverosi, vanno anche individuati nella miglior prestazione stagionale per il Milan di un nostro difensore centrale, implacabile nel soffocare qualsiasi iniziativa offensiva della Viola: grazie Alessandro Matri.
Che dire? Seedorf è stato ingannato: gli avevano promesso che questi primi cinque mesi sarebbero serviti a lui per valutare la rosa, impostare una filosofia di gioco, mettere mattoncini per il futuro. E poi, da un giorno all’altro, gli è stato chiesto di far punti a prescindere da schemi, lavoro in allenamento, bel gioco. Si è trovato in mezzo ad una guerra carsica nel suo manifestarsi, ma che quando emerge, come già era successo a dicembre, fa danni notevoli.
Ora a Seedorf tocca un calendario favorevole e un potenziale gruzzolo di punti da fare.
Se continuasse il trend di questa settimana, sempre con quel modulo che tutti i giornalai si erano già affrettati a bocciare, e se magari riuscisse a vincere “quella partita là” che non si vince dal 2011, potrebbe sedersi ad un tavolo a fine stagione tenendo saldamente il manico del coltello.
O la fiducia totale per aver rivitalizzato un gruppo che quest’anno pareva morto e sepolto, con relativo potere d’opinione sulle limitate scelte che si faranno sul mercato, oppure un addio che, conoscendo il personaggio, sarebbe pirotecnico e non farebbe prigionieri, urlando al mondo che il re è nudo, e pure il suo ciambellano con le pudenda all’aria fa alquanto schifo.
Non ho problemi ad ammettere che ero scettico -eufemismo- sulle sue capacità di essere allenatore, ma lo schifo cui ho assistito in questi dieci giorni e la reazione sul campo, dove tutti già vaticinavano di gente che sicuramente gli avrebbe giocato contro, hanno aumentato non poco la simpatia ed il sostegno del sottoscritto verso uno che al momento deve essere tecnico, addetto stampa e cavallo di Frisia a difesa della trincea, tutto in una volta sola.
Un Milan ben più forte, si è trovato di fronte ad un baratro sportivo in questi anni per due volte: all’Allianz Arena nel 2007, e a San Siro prima di un derby nella primavera del 2011.
Andate a rivedervi chi fu il migliore in campo in quelle due partite, prendendo per mano gente ben più giovane e più forte di lui sin dal tunnel che portava al campo. Ora il baratro è molto più brutto, ma uscirne potrebbe portarsi via tanta spazzatura che si è accumulata in questi anni, piantando un paio di viti supplementari nella panchina e svitandone altrettante da certe poltrone apparentemente intoccabili.
Insomma, tocca a lei mister.
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