Neppure le peggiori aspettative erano tanto infelici da non venir tremendamente deluse dai risultati di questa stagione da dimenticare. Saltato -giustamente- Allegri ed esauritasi l’iniziale spinta motivazionale connessa al cambio di allenatore, i risultati conseguiti sono complessivamente tragicomici ed il popolo rossonero si sta tristemente dedicando al secondo sport più amato dagli italiani dopo il calcio: la caccia al capro espiatorio.
Qual è la causa di tutti i mali questa volta? Dunque, Ancelotti non c’è più, Pato nemmeno, Seedorf c’è ancora. E chi altro? Berlusconi? Galliani? Balotelli? Tutte le tesi hanno un fondamento di verità e tutti i candidati hanno fatto veramente del loro meglio (o del loro peggio), ma i nomi più gettonati sono quelli di Seedorf e Galliani. Curioso, in primo luogo perché il giudizio sui malcapitati è stato oggetto di un generalizzato e repentino revirement anche di loro accaniti sostenitori, ed in secondo luogo perché non sono altro che pedine di uno scacchiere in cui si sta consumando una lotta intestina che si gioca a ben altri livelli.
Il coro di protesta che si è improvvisamente scatenato contro Galliani è talmente anomalo ed anacronistico da insinuare più di qualche dubbio sulla sua genuinità. Passino le -fondatissime- critiche piovutegli addosso da chi vuol fargli le scarpe e dai papabili membri del suo futuro entourage, ma quelle del Presidente e di quella tifoseria da sempre docilmente ammaestrata, giungono veramente inaspettate come un fulmine a ciel sereno.
Già, perché non si può che rimanere basiti dall’ingiustificabile disarmante ritardo con cui tali opinioni vengono palesate da parte di chi, per lunghi anni, ha tacitamente condiviso e sottoscritto tutto quanto fatto dall’AD. Infatti, le colpe di Galliani non vanno ricercate (come la bieca ricerca del capro espiatorio indurrebbe a fare) nella singola mossa o sessione di mercato, bensì nell’impostazione complessiva delle strategie del club, ammesso che di strategie si possa parlare. Il punto di flesso va cercato anni addietro, almeno al 2007, quando il diavolo, forte di uno zoccolo duro tra i più duri della recente storia calcistica, non ha saputo improntare un adeguato ricambio generazionale dei calciatori e un aggiornamento dell’organigramma del club.
E’ quindi singolare che persone così vicine all’ambiente escano dal letargo solamente oggi. O forse no. Perché, nel bene o nel male, Galliani ha tenuto il Milan a galla. E in quel mentre, vittorie di Pirro come quella del primo Milan di Ibrahimovic hanno distolto l’attenzione dalle gravi lacune strutturali di squadra e società. Ha tenuto il Milan a galla anche quando scelte non condivisibili si sono rivelate delle autentiche botte di culo, o quando acquisti potenzialmente azzeccati non hanno mantenuto le promesse. E infatti sono e resto convinto che la squadra attuale abbia ben altro potenziale rispetto a quanto espresso, probabilmente non da primi posti, ma verosimilmente poco sotto.
Quindi sbaglia chi giustifica i risultati di questo diavolo moribondo attribuendo alla squadra il valore di un panino ammuffito, senza prima domandarsi se quella stessa squadra non possa dare di più ed eventualmente perché né Allegri né Seedorf siano riusciti a tirare fuori dai calciatori quanto è certamente nelle loro potenzialità. Già ad una prima sommaria analisi è possibile individuare un paio di macro differenze rispetto ad appena poche stagioni fa.
Innanzitutto una volta il Milan era contraddistinto da valori quali la coesione del gruppo ed il grande professionismo. Mentre in questa stagione abbiamo sentito affermare a più riprese che lo spogliatoio è spaccato in due e che una delle parti se ne frega altamente dei risultati della squadra, allenandosi e giocando di malavoglia. Dalle descrizioni -si spera iperboliche- si ricava uno scenario di sbando ed anarchia simile a quello delle città medioevali durante la peste.
Inoltre, anni fa il Milan si distingueva per l’ineguagliabile abilità nel gestire le pubbliche relazioni ed i rapporti coi media. L’immagine che veniva trasmessa all’esterno era sempre e solo quella che si voleva trasmettere. I problemi erano protetti ermeticamente dalle grinfie dei giornalisti. Oggi è sufficiente che un raccattapalle guardi in cagnesco un giardiniere per far blablare l’intera stampa sportiva per giorni, con tanto di intervista ai testimoni, attribuendo ovviamente la colpa a Balotelli, che dall’alto della sua sapienza nel mentre twitta frasi a cazzo.
Queste proprietà erano la manifestazione della solidità e compattezza a livello societario, un plusvalore assoluto che oggi è venuto meno. Gli uomini sono rimasti gli stessi. O meglio l’uomo è rimasto lo stesso, visto che parlare di dirigenza in casa Milan è metonimico. Berlusconi ha delegato tutto, Galliani ha accentrato tutto. La società è Galliani. Togliendo il supporto a Galliani il Milan è una società senza società. E’ il caos.
Il disastro stagionale trae origine dalla mancanza di determinazione nel perseguire una scelta, o forse il timore di rompere bruscamente un legame pluridecennale. Scelta che non è semplice: Galliani non si è dimostrato efficace in questo mutato scenario storico/economico, ma Barbara offre poche garanzie: non per l’età o per il sesso, bensì perché non ha ancora dimostrato che cosa sa o non sa fare. E’ ora che Berlusconi decida, perché il Milan deve guardare avanti. Se vuole sostituire o ridimensionare Galliani per affidare l’amministrazione alla figlia è ora di farlo. Se non vuole appiedare un manager navigato per fomentare i giochi di potere in atto tra figli di diversi matrimoni, che affronti la questione. Inutile guardare al futuro parlando di allenatori, schemi, mercato, quando manca polso fermo al timone. Il primo passo è decidere “chi comanda”. Sperando di scegliere quello/a giusto/a.
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