Defenestrazione assistita

 

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Milan –Galliani, titoli di coda?

Questa volta pare di sì. E’ un addio che parte da lontano: già il giorno dopo Siena-Milan, quando tutti erano concentrati sulla falsa-verissima lettera che Biscardi (un giorno il vecchio dovrà spiegarci perché, dopo anni trascorsi in politica accanto ai più importanti personaggi della terra, ami ancora affidarsi al rosso di Larino che a 136 anni ancora va in onda da qualche cascina televisiva locale) rivelò, e che svelava la scarsa soddisfazione del boss verso la guida tecnica di Allegri, si dimenticavano che nella medesima si faceva anche riferimento a nuove rivoluzioni all’orizzonte anche a livello societario.

Quel che ne è seguito, purtroppo, lo sappiamo: allenatore totalmente delegittimato, squadra che ha perso del tutto la coesione che la aveva caratterizzata nella rincorsa al terzo posto, prima schermaglia tra famiglia B e Galliani a novembre-dicembre, primo capro espiatorio, un Allegri con parecchie colpe comunque, saltato a gennaio, fino all’inevitabile resa dei conti di questi giorni.

La successione degli eventi di questi giorni, da venerdì in poi, è tale da renderne impensabile qualsiasi tipo di spontaneità.

Una curva timida da anni, buona giusto a far cene di Natale con Galliani, che alza la testa con un comunicato in cui attacca l’intero mondo Milan senza citare manco di striscio la proprietà.

I siti più vicini al mondo Milan, quelli che per anni hanno belato di “re del mercato”, “mago degli ultimi minuti del 31 agosto”, “ennesimo colpaccio a zero”, che improvvisamente vengono a renderci edotti sul fatto che vecchi bolliti con ingaggi milionari e mercati fatti improvvisando non portano da nessuna parte.

La solita frasetta che “esce” da ambienti vicini a Berlusconi sulla sua insoddisfazione relativa alla gestione del club, questa volta peraltro senza alcuna smentita ufficiale.

Maldini che per anni ha rilasciato interviste non molto tenere sulla società, sempre però rimanendo sul vago, che questa volta non ha problema alcuno a fare il nome e il cognome di chi per lui è responsabile di tutto ciò.

E’ partita la defenestrazione insomma: c’è chi parla perché non molto tardi entrerà in sala comandi o nei pressi delle medesima, chi perché deve orientare l’attrezzo lappatorio in direzione delle natiche di chi potrà in futuro aprirgli o meno i cancelli di Milanello, chi non  ha problemi a dire qualsiasi cosa, basta che non gli si dia fastidio nel gestire come un’area tribale un intero settore dello stadio.

Riguardo a questi ultimi soggetti citati, vorrei ricordare che il portavoce e capo dei medesimi, quello che indegnamente usurpa un soprannome che per il Milan significa Nils Liedholm, un paio di giorni prima della finale di Champions League del 2007 diventava ospite delle patrie galere per estorsione reiterata ai danni del Milan. Vergognoso che uno così comendi un settore che una volta era territorio della Fossa dei Leoni, vergognoso che possa essere utilizzato come portavoce o ambasciatore dei tifosi.

La mia personalissima opinione è che si tratti di un gioco delle parti già messo in piedi dai medesimi protagonisti a dicembre. Data l’amicizia pluritrentennale, è presumibile che una sinecura molto ben pagata in Mediaset o un posto in politica sia già bell’e  pronto per Galliani . La dose di letame in arrivo, forse, gli era già stata preventivata. Anche perché in questo modo, i Berlusconi, vecchio o Barbara, emergerebbero come liberatori del club e riguadagnebbero, almeno in parte, un credito che al momento è vicino allo zero.

A prescindere dalle modalità in atto, squalliducce e molto italiane nell’affondare nella giugulare del potente in difficoltà o preferibilmente morto, era ora.

Io l’ho giustificato molti anni fa, quando i rubinetti per le spese sui cartellini hanno iniziato a chiudersi, ma si parla del 2006, otto anni trascorsi.

Il tempo per riorganizzare il club in maniera diversa c’è stato mentre il Milan passava, economicamente parlando, da grande a medio-grande in campo europeo.

In Italia il fatturato, fino al sorpasso bianconero di quest’anno, è sempre stato il primo, eppure dal 2006 il Milan può vantare un primo ed un secondo posto in totale, poco se rapportato alle classifiche gallianesche che vanno a stanare in Europa le squadre che hanno un fatturato maggiore del Milan ma tacciono sulla situazione al di qua delle Alpi.

Un club che arrivò al canto del cigno nel maggio del 2007, come riconosciuto da molti degli stessi protagonisti in campo ad Atene quella notte, e che per anni si è trascinato tra ingaggi “alla memoria” che hanno devastato il bilancio, portandolo nel 2012 al quasi default che ha costretto il club a privarsi dei due migliori giocatori dell’intera serie A di quel momento: Ibra e Thiago Silva.

In tutto ciò ci sono colpe della proprietà: rubinetti chiusi da un momento all’altro, disinteresse, utilizzo del Milan giusto per fini di sporadica necessità.

Ma da chi gestisce il budget di una club che fattura tra i primi dieci al mondo, ci si aspetta ben altro che continui bilanci in rosso con conseguenti iniezioni da 60-70 milioni all’anno solamente per andare in pari e non per rinforzare la squadra.

Il totale accentramento da parte di Galliani come deus ex machina del club, che ha portato all’emarginazione di uno come Braida, uno che ha scoperto Kakà, ha portato relazioni su Strootman e Lamela quando ancora non costavano una cifra, ha creato un impero nell’impero, in cui spesso esigenze tecniche venivano sacrificate in nome di pratiche che è meglio non definire. Bastino nomi quali Matri a 11 milioni, Vilà, Salamon, Mattioni, Constant pagato in totale quasi 8 milioni, Cardacio e Viudez pagati cinque milioni e rescissi a zero l’anno successivo.

L’anno prossimo con i rientri dei vari Nocerino, Matri, Traorè, Vilà, al raduno di una squadra presumibilmente senza coppe, ci sarà una rosa da 35-36 giocatori, un monte ingaggi secondo in Italia ad una Juve che la sopravanza di 40 punti, una pletora di invendibili che, in molti casi si accontenteranno di un sereno parassitismo a Milanello, piuttosto che ritornare calciatori almeno presentabili altrove.

Insomma. Si defenestri pure: il fine giustifica i mezzi un po’ tristarelli di questi giorni di fuoco.

Ma si tenga conto che la risalita sarà lunga, tra organigramma da ricostruire, questione stadio, situazione contrattuale di gran parte della rosa che non consente margini eccessivi di manovra.

Il medesimo Balotelli, con mille difetti già elencati, indicato quasi come unico bersaglio dalla contestazione ai giocatori, è un emblema di quanto sia eterodiretta la protesta, e di come si stia già preparando la digestione di una sua eventuale cessione.

Taarabt e Rami, naufraghi a Madrid ma comunque unici a giocare bene in quest’ultimo periodo, panchinati da un giorno all’altro? Temo non sia un caso.

Due-tre anni con un’adeguata riorganizzazione dell’organigramma per tornare ai vertici in Italia, sono per me la previsione più ottimistica possibile senza iniezioni di capitali da parte della proprietà.

L’alternativa, peraltro, è quella di continuare a suonare l’orchestrina da Giannino per accogliere mummie di varia datazione da tutta Europa (visti Kakà ed Essien? Tutti scemi al Real e al Chelsea, vero re del mercato?) e sciropparci statistiche che valutano strisce di punti valide se guardiamo gli ultimi tre mesi, solo le gare giocate di notte, solo le partite giocate quando la Luna e Urano si trovano nel Leone. Quindi può andare eccome.

Attenzione però: in una stagione in cui cadono prima il tecnico, poi l’amministratore delegato, le responsabilità future salgono immediatamente ai vertici.

Quindi, da adesso in poi, i consigli a chiunque, tranne che ai portieri, di giocare più vicino alla porta, si spera non vengano più considerati quali interventi salvifici dalla stampa adorante, ma per quel che sono. Puttanate insomma.

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