Milan in vendita? Un’altra volta?

sede milan

 

E’ di questi giorni, puntuale nei periodi di magra calcistica esattamente come Studio Aperto quando la Canalis decide di dimenticarsi dei vestiti, la notizia su una possibile vendita del Milan.

Questa volta la fonte è autorevole: Bloomberg è il canale di riferimento riguardo alle indiscrezioni finanziarie di alto profilo.

Immediata la smentita da parte di Fininvest; immadiata ma non troppo indicativa: il gruppo è quotato in borsa, Milan compreso, e qualsiasi voce relativa alla cessione di un ramo deve essere sempre smentita, soprattutto se si tratta di fasi embrionali dell’operazione.

 

In questo caso poi, si tratterebbe di un mandato esplorativo affidato alla Lazard, banca d’affari specializzata in fusioni e acquisizioni di grossi gruppi, che si starebbe occupando di tastare il polso in giro per capire se ci siano soggetti interessati alla cosa. Da notare che è la medesima banca che si è occupata di trovare un compratore per l’Inter. Quindi, trattandosi di sondaggi esplorativi, la smentita non è di fatto falsa, riferendosi alle voci di una vendita effettiva, e le “promesse” del vecchio valgono quanto il suo no alla cessione di Thiago Silva al PSG.

 

Sarebbe poi opportuno capire quale sia il tipo di operazione che intendono imbastire, perché il Milan ha un problemino bello grosso.

Senza stare a guardare il valore della rosa, valutazione sempre secondaria in questo tipo di operazioni, il Milan ha un valore del marchio del tutto sproporzionato rispetto a ciò che si  un compratore andrebbe ad acquistare: si parla di 690 milioni di euro di valore per un club che non dispone attualmente di uno stadio, da ricostruire tecnicamente per renderlo competitivo, ma il cui “nome”, tra i marchi italiani, ha un appeal internazionale, come risulta da un’indagine di sei mesi addietro, secondo solamente a quello della Ferrari, merito del periodo 1986-2007 e dei tanti campioni che hanno vestito questa maglia in quei due decenni.

 

Nessun oligarca o sceicco è mai arrivato a scalare una big storica del calcio europeo, molto meglio prendere un Chelsea, un City, un PSG o un Monaco dai palmares modesti e dalle vittorie ormai disperse lustri addietro, pagare pochissimo dunque per l’”avviamento”, poter investire gran parte dei capitali per il rafforzamento della squadra da subito.

Il caso dei Glazer a Manchester è diverso: sin dalla metà degli anni ’90, quando ancora in Italia i tifosi non sapevano cosa fosse un fatturato, lo United era una macchina da soldi tra merchandising mondiale e posti esauriti all’Old Trafford per ogni partita. Gli americani se lo sono comprati pagandolo anno dopo anno con gli utili che il club produceva, un’operazione puramente finanziaria, possibile grazie alle basi già solide e floride dei Red Devils, che peraltro non è mai piaciuta ai tifosi.

 

E comunque, per un City o un Chelsea, ci sono anche casi come Malaga o Anzhi che dimostrano come sia opportuno valutare l’effettiva serietà del progetto, per evitare che allo sceicco passi la voglia, nel caso del Malaga, o al russo sopraggiungano seri problemi di salute e con la giustizia, nel caso di Kerimov, tali da smantellare interi club nell’arco di una stagione e mezza, lasciando i tifosi, che già sognavano grandi sfide in Champions, nel timore di non vedere i loro colori su nessun campo in nessuna categoria.

 

Secondo me la partita qui si gioca attorno ad un tavolo fondamentale per il futuro dei nostri colori, molto più che sostituire quel paracarro di Abbiati o trovare un terzino che non abbia il cervello di Emanuelson: il nuovo stadio.

La ricerca sottotraccia qua verte proprio sul reperire una o più partnership importanti per un’operazione immobiliare che non si preannuncia certo lieve a livello finanziario.

Non ci saranno  troppi sconti sui terreni che ospiteranno l’Expo, a questo saranno da aggiungere la costruzione dell’impianto e gli oneri dell’urbanizzazione dell’area, solitamente a carico del costruttore per opere di tale portata.

Dunque un ingresso di capitali, magari tramite la concessione del nome dello stadio a quello sponsor per alcuni anni, potrebbe essere il primo passo verso un ingresso futuro dei medesimi gruppi che immettono tali capitali nella quotidianità economica del Milan, un po’ come Allianz e Adidas che non sono semplici sponsor del Bayern.

Questo peraltro consentirebbe in un futuro, quando il vecchio non ci sarà più, di avere ben altro prodotto da vendere, visto che i figli di primo letto, quelli che comandano per davvero, prima o poi del Milan se ne libereranno. L’Inter è passata in mano straniera perché il gruppo che la possedeva era in un momento di enorme sofferenza economica, e i Moratti si sono accontentati di una cifra relativamente basa a fronte di una liberazione totale da un’esposizione bancaria pesantissima, il gruppo Mediaset, nonostante il Lodo Mondadori e la crisi dei media tradizionali, è in condizioni di relativa buona salute, l’interesse degli arabi per Premium lo dimostra, quindi la fretta di vendere non c’è.

D’altro canto, le cifre che chiederebbero al momento per un guscio vuoto, allontanerebbero qualsiasi emiro o russo o Squinzi che alzassero il telefono per domandare.

Piaccia o no, e non sono qui per riaprire discorsi detti e ridetti, non è semplice “vendere” il Milan, di certo non lo è per un valore del marchio che nasce in anni ben diversi della serie A, non si arrabbi Conte. Una serie A che è rimasta indietro come movimento nella sua totalità, con stadi obsoleti, comuni che non vogliono rinunciare agli affitti dei vecchi catini di cemento e si mettono in mezzo in tutte le maniere, presidenti arrestati e magicamente scarcerati quando si arrendono definitivamente sulla questione del nuovo impianto.

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