4-2-3-1

mathematics-chalkboards_00310458Nuovo corso, nuova linfa, nuove idee. Questa è l’aria che si respira in quel di Milanello, da quando Clarence Seedorf vi ha messo piede. Oltre alla ben conclamata onda d’entusiasmo, il neo-tecnico olandese si è presentato ai nostri occhi con una piccola ma consistente rivoluzione tattica: il 4-2-3-1.

Tale modulo fa parte della storia recente del calcio internazionale, e passa sotto le luci della ribalta quando il Real Madrid, dopo estati su estati di spese folli, si ritrova a dover schierare contemporaneamente, per motivi sportivi e non, il trittico composto da Zinedine Zidane, Luis Figo e Raul, alle spalle di Luis Nazario da Lima Ronaldo. Fin da subito il modulo si dimostra spregiudicato, spettacolare e avvolgente, e lascia sfogare l’enorme potenziale di palleggio dei quattro terminali offensivi del Madrid. Carlos Queiroz sgrava i quattro da compiti di ripiegamento, lasciando sulle spalle di Guti, non proprio un interditore, e Beckham, fino a un mese prima ala dai piedi buoni, la fase riconquista del pallone e della copertura della linea difensiva. Il piano funziona, ma solo a metà: il Real terminerà la stagione come miglior attacco della Liga, con tutti i giocatori da copertina sulla cresta dell’onda, ma sarà altresì l’emblema del momentaneo fallimento del modulo, con il quarto posto in Liga e i 54 gol subiti nel solo torneo nazionale. Troppo poco solida, la squadra spagnola, per pensare di puntare a qualche titolo.

Il modulo resta per un po’ accantonato, fino a quando Luciano Spalletti, che deve fare di necessità virtù, rispolvera con la sua Roma i tre trequartisti dietro l’unica punta, apportando però modifiche assolutamente sostanziali: il famoso finto 9, con il compito di spezzare la coppia difensiva e portare almeno uno dei due centrali fuori dall’area di rigore; il ruolo di trequartista centrale, occupato da Perrotta, che agirà per tutta la stagione come ottimo incursore con compiti e offensivi, e di supporto in fase difensiva; i due trequartisti esterni che, a tutti gli effetti, diventano attaccanti in fase di ripartenza, con il compito principale di attaccare la profondità alle spalle della linea difensiva avversaria e di Francesco Totti. Il gioco del tecnico toscano è piacevole e spumeggiante, e la Roma rischia persino, o forse no, di intaccare lo strapotere che calciopoli aveva regalato poco tempo prima all’Inter di Mancini. Essendo però un modulo molto “umorale”, adatto a squadre con caratteristiche mentali importanti, la Roma non porta a casa nulla di diverso da un filotto di secondi posti. Poco male, a livello visivo lascia comunque un buon ricordo, e si accoda solo all’Inter di Mancini che si pone su un livello, sul piano qualitativo, troppo distante da qualsiasi altra contendente del tempo.

Passano gli anni, il modulo cresce, cambia, si adatta: Josè Mourinho imposterà i propri successi con l’Inter sulla base del 4-2-3-1, invero molto diverso filosoficamente e tatticamente dal modulo di Spalletti. Il portoghese dispone i propri uomini in maniera rigida e composta, adattando la spregiudicatezza dei trequartisti di partita in partita. Capita quindi di vedere un Wesley Snejder basso, a lanciare il primo pressing agli avversari, o molto alto, a totale supporto dell’unica punta. Capita di vedere Samuel Eto’o muoversi da seconda punta a turno con Gorand Pandev, chiamando il compagno al lato opposto del campo comporre un’ideale e lunghissima diagonale offensiva, o basso, sulla linea della trequarti difensiva, con compiti non dissimili da quelli di un terzino. Aggiungiamoci un Cambiasso, fino a quel momento intelligente e abile incursore, ancorato alla linea difensiva, un Thiago Motta a dirigere l’orchestra (in realtà in maniera un po’ lenta) e un terzino destro dalla corsa perpetua, e il disegno è fatto; il tecnico è rinomato per le sue doti di motivatore, i giocatori sono maturi e affamati, la rosa è ben composta: arrivano le vittorie. Si, perché Mou riesce a risolvere l’equivoco tattico del 4-2-3-1 offensivo, dovuto al difficile riciclaggio in corso di partita, dei giocatori in campo, con una mossa semplicissima: chiedendo sacrificio.

Ecco quindi che è il modulo stesso ad assumere maturità ed efficacia agli occhi tutti, proprio per merito di quello spirito guerriero che l’Inter dimostra in campo nazionale e in campo internazionale. Con questa detta maturità acquisita, lo schieramento vive una nuova giovinezza: ad oggi possiamo ammirare prototipi più o meno spettacolari e spregiudicati del modulo a Napoli, Londra, Dortmund, Roma, Monaco, Torino. Unica variazione rispetto al modello interista: l’adattabilità dei componenti. Praticamente nessuna squadra, ad oggi, gioca con un 4-2-3-1 dall’inizio della partita sino al termine, indipendentemente dal risultato e dallo svolgimento del match; questo semplicemente perché, essendo uno schieramento “al limite”, il dispendio energetico sarebbe troppo alto per chiunque, soprattutto per grandi squadre che devono giocare ogni 3 giorni. Perciò, sempre più spesso due dei tre trequartisti sono centrocampisti con doti offensive, ma non attaccanti puri, e la fluidità nello scambio dei ruoli durante l’incontro è pressoché costante.

Dopo questa lunghissima digressione, veniamo a noi: il 4-2-3-1 nel Milan. Seedorf per ora ha lasciato intendere di volere una continua corsa sulle fasce da parte dei terzini, due centrali di difesa a giocare alti verso la linea del centrocampo, protetti da due interditori ancorati alla difesa stessa, a comporre un’ideale quadrato a protezione della porta (e qui si spiegherebbe l’ingaggio di Essien, ma ci torniamo a breve), primo pressing chiamato e portato avanti dai tre trequartisti, che devono ben guardarsi dall’occupare le fasce (compito del terzini) e un finto/vero 9, a fasi: finto 9 in fase di possesso palla, a cercare lo scambio con i trequartisti; vero 9 in fase di non possesso, con ricerca della profondità. A parer mio, i principali difetti della tattica che Clarence sta portando avanti, sono 3:

1 – La mancanza di giocatori adatti: i giocatori del Milan, ad oggi, non possono definirsi dei gran corridori e, in qualche caso, non lo sono mai stati in tutta la loro carriera. Se è vero che un Binho può essere “indirizzato” a coprire in maniera continuativa, pur non facendolo da parecchio tempo, Kakà non ha proprio nelle sue corde il ripiegamento difensivo (che si è visto per la prima volta , con risultati alterni, quest’anno), così come Honda e Montolivo. Se Balotelli è chiamato al dialogo e i trequartisti cercano di sfruttare principalmente la zona centrale (per motivi di attitudine personale), gli unici giocatori che hanno licenza di attaccare la profondità sono i due terzini, che però devono sopportare un logorio fisico decisamente importante. Se il centrocampista che scherma la difesa non è reattivo in tutte le giocate, come un de Jong, per esempio (fase di interdizione e di appoggio – elementare – molto veloci), la fase di riconquista del pallone diventa difficile o quasi impossibile, una volta che gli avversari hanno saltato il primo pressing dei trequartisti. Sono convinto che più che accorgimenti tattici, per la risoluzione del problema e onde evitare figuracce leonardesche, ci sia necessità di giocatori diversi; concordo in tal senso, se l’intento è questo, con l’acquisto di Essien, che porterà spessore fisico, muscolare e atletico al centrocampo (sempre che la condizione fisica lo assista) e diverse soluzioni sul posizionamento dei giocatori nello scacchiere, con un Montolivo ipoteticamente abile in tutti i ruoli di centrocampo e trequarti. La buona notizia è che il mercato sembra indirizzato nella direzione indicata dal mister, a dimostrazione del fatto che lo stesso Seedorf deve essersi accorto di non avere a disposizione propriamente i giocatori giusti per far girare in maniera conforme gli anelli della catena. Si spiega probabilmente così la scelta di non far occupare le fasce dai due trequartisti esterni, lasciando campo aperto alle sgroppate dei terzini, e quelli che il bollettino del mercato sta indicando quali obiettivi, Cerci, Biabany e Armero su tutti.

2 – La mancanza di preparazione tattica al modulo: anche se è facile pensare che con quattro terminali pressoché offensivi, si abbia a disposizione una vasta gamma di scelte di gioco, la verità è che senza un’adeguata preparazione tattica, i giocatori stessi finiscono per pestarsi i piedi o, ancor peggio, sono portati a cercar palla fuori fuori dalla zona di pressing difensivo, lasciando completamente vuota l’area di rigore (come successo, per esempio, a Cagliari). I risultati è possibile, non certo, che si vedranno dalla prossima stagione, quando con una preparazione tattica mirata alle spalle i giocatori mostreranno movimenti oliati e perfezionati; ad oggi, è tutto congelato nella speranza della giocata di uno dei fantasisti (non dimentichiamo che i tre gol segnati in campionato sotto la guida di Seedorf vengono tutti da calcio da fermo).

3 – La mancanza di alternative: questa motivazione assume, per effetto delle altre due motivazione pocanzi elencate, valenza ancor maggiore; le soluzioni tattiche nelle tre partite giocate fino ad ora hanno visto il tecnico cambiare uomini, ma non modulo. Fin tanto che questo immobilismo dispositivo è stato visto contro il Cagliari, con la squadra che dava comunque l’impressione di non essere all’orlo di un collasso polmonare, il quadro è risultato accettabile. Contro l’Udinese, però, l’assenza di accorgimenti tattici volti a coprire e compattare maggiormente la squadra, ha pesato e, stando a i fatti, è possibile peserà. Sono convinto che questo modulo debba obbligatoriamente affiancarsi ad almeno un’ulteriore schieramento assimilato, in modo da dare ai giocatori in campo respiro all’interno di una stessa partita.

Per concludere, ad oggi non apprezzo il tentativo, per quanto riconosca a Clarence il coraggio di portare avanti un’idea. Tuttavia, parere assolutamente personale, con le fisse si fa poca strada, nel calcio così come nella vita. La fiducia e il rispetto restano immutate e congelate fino a quando potrò vedere il mister con una preparazione estiva alle spalle e magari, perché no, con qualche giocatore di suo gradimento a dar vita all’idea di gioco che gli frulla in testa. Ad maiora.

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