Squadra che vince non si cambia. Quindi, di riflesso, squadra che non vince si cambia. E forse non vince proprio perché cambiata troppo spesso.
Nelle ultime stagioni, ed in quest’ultima in particolare, abbiamo avuto reparti sovraffollati da numerose alternative nessuna delle quali veramente soddisfacente. Abbiamo cambiato ripetutamente il portiere, il terzino sinistro, la coppia centrale, le due mezze ali, la disposizione offensiva. Avere a disposizione tanti giocatori dalle caratteristiche diverse, in linea di massima, è positivo: tanti più strumenti ha a disposizione un allenatore tanti più problemi può risolvere. Tuttavia, se questi sono mezzi-campioni dalle discrete potenzialità ma dal rendimento discontinuo, il tecnico rischia di cadere nella trappola di cambiare uomini e schemi dopo ogni risultato deludente. La mancanza di continuità e di certezze ha minato il precario equilibrio psico-fisico deteriorando i risultati sportivi. Quanto ottenuto nell’avvio di stagione porta ad affermare che la squadra è composta quasi per intero da mezze calzette, ma in realtà è difficile individuare l’effettivo potenziale dell’organico.
A conferma di ciò, negli ultimi anni diversi giocatori di cui la tifoseria ha caldeggiato la cessione hanno fatto molto bene altrove. L’elenco avvolge le tipologie più svariate di calciatori: giovani accreditati di scarso potenziale (come Papastathopoulos), nel fiore dell’età ma considerati poco utili (come Flamini che guarda la Premier dall’alto), senatori dati per bolliti (come Ambrosini che lotta per un posto in Champions o come Kaladze che ha vissuto una seconda giovinezza al Genoa). E’ affrettato esprimersi su Matri dopo una sola presenza, ma nel suo splendido esordio in viola sicuramente l’aspetto psicologico ha giocato un ruolo fondamentale. Di certo non rimpiango la partenza di nessuno dei nomi citati, ma forse prima di augurarci la cessione indiscriminata dei giocatori che non stanno facendo bene occorrerebbe domandarsi se invece non varrebbe più la pena di dare continuità al progetto e cercare di trarre da loro il meglio che possono offrire.
I giocatori che possono offrire un contributo concreto sono diversi: Silvestre ha fatto bene a Catania e Palermo, Nocerino era insostituibile appena un anno e mezzo fa, Robinho erede di Pelè e improvvisato usurpatore della maglia che fu di Shevchenko può certamente rivelarsi utile alla causa, il caso di Gabriel poi meriterebbe un capitolo apposito. Forse varrebbe la pena di valutare il loro operato individuando i centri di potere, ripristinando un clima di serenità e fiducia e stabilendo chiaramente schemi e gerarchie. Io non credo che l’organico del Milan sia inferiore a quello di numerosi altri club che occupano posizioni migliori, occorre quindi domandarsi perché non si sia riusciti a conseguire risultati che sulla carta erano alla nostra portata. A mio giudizio una delle cause risiede sicuramente nella mancanza di certezze.
Decidere a chi spetta la governance societaria anziché perdersi per mesi tra zone d’ombra e giochi di potere. Decidere di confermare un allenatore, farlo e sostenerlo, anziché metterlo alla berlina a mezzo stampa e poi confermarlo dopo che né a lui né a noi si sono prospettate soluzioni appetibili. Decidere chi deve fare o non fare parte del progetto, anziché mettere e togliere i giocatori dal mercato ad minchiam e magari finire per rinnovargli il contratto. Decidere quale modulo e quali interpreti ti danno maggiori garanzie e sostenerli anche dopo una brutta debacle, anziché mischiare le carte dopo ogni singola sconfitta.
Ogni non decisione è un passo indietro che ci allontana da un futuro all’altezza delle nostre ambizioni. A questo Milan non servono rinforzi, o meglio non solo: servono prima certezze. A quanto si apprende pare che Berlusconi intenda puntare forte su Seedorf. Speriamo che quest’ultimo riesca a trovare un equilibrio duraturo e che si riveli un valido elemento di un progetto di ampio respiro mirato allo sviluppo di medio lungo termine.
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