Riconoscenza sostenibile

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La fobia del cambiamento è tipicamente italiana: si chiede a gran voce la rivoluzione, salvo poi spaventarsi nel momento in cui essa si verifica, o sta per verificarsi, con conseguente nostalgia dei tempi e degli uomini soppiantati.

In questi ultimi giorni Barbara Berlusconi ha avuto modo di sperimentare tale contraddizione sulla propria pelle. Del resto, è risaputo che l’Italia non è neanche un paese per giovani, e in questo la bionda figlia del presidente onorario parte già spacciata: troppa differenza d’età e d’esperienza, oltre che di appeal mediatico, rispetto ad Adriano Galliani. Uomo navigato ed esperto, che in quasi trent’anni di governo del Milan e per larghi tratti dell’intero calcio italiano, non poteva restare indifferente di fronte alla forzatura messa in atto per scalzarlo.

La minaccia di dimissioni, comunicata all’Ansa, l’accusa di scarsa eleganza con la contemporanea ammissione di accordo con l’intento di attuare un ricambio generazionale, seppur in maniera più graduale, ha sortito l’effetto sperato, facendo scattare nella maggioranza dei tifosi rossoneri (e degli addetti ai lavori) quel sentimento di riconoscenza verso chi, nell’immaginario collettivo, è il principale artefice di tanti successi.
Tuttavia, fin dove può spingersi la riconoscenza nello sport? Questa domanda mi attanaglia, sinceramente, da tanti anni. La riconoscenza è stata alla base di tante scelte discutibili del signor Galliani in questi ultimi anni, quelli nei quali il Milan è passato dall’essere una società vincente, all’avanguardia, con ambizione, all’essere una squadra che partecipa al campionato di Serie A soltanto per provare a piazzarsi nei primi tre posti, e per superare, a fatica, gironi di Champions tutt’altro che complicati. Uno Scudetto e una Super Coppa italiana in 6 anni sono una parentesi veramente minuscola quando ti chiami A.C. Milan. Come se non bastasse, al tempo stesso saltano agli occhi diversi errori nella gestione del club, piuttosto palesi, imputati, forse tardivamente, al manager brianzolo da Barbara Berlusconi, circoscritti agli ultimi due anni di gestione. Eppure sembra evidente che la mancata oculatezza nella gestione sia ben più risalente nel tempo, se solo si pensa a tutti i rinnovi faraonici ai senatori e ai pilastri, ormai bolliti da tempo, del ciclo di Ancelotti e ai risicati successi delle ultime 6 stagioni.

E se la riconoscenza era stata, tra le altre cose, alla base anche delle scelte di aver trattenuto Pirlo a fronte dell’offerta del Real Madrid e Gattuso a fronte dell’offerta del Bayern Monaco, rinunciando a diversi milioni per calciatori che avevano già dato e vinto tanto, il tutto stride con l’aver poi lasciato andare via lo stesso Pirlo alla Juventus, per giunta da zero-parametrato, con le conseguenze che tutti ben conosciamo, e con il trattamento ben poco riconoscente riservato ad altri senatori e giocatori storici, tra cui Ambrosini e Maldini. Difficile credere che Adriano Galliani non avrebbe potuto (nonché dovuto) far qualcosa per evitare queste sgradevoli cadute di stile.
Ancora, non si può certamente ignorare il modus operandi in sede di calciomercato. E’ palese lo spreco di risorse che ha caratterizzato le ultime stagioni, a fronte di quasi 200 milioni di Euro spesi e quasi altrettanti incassati dalle cessioni dei migliori giocatori della squadra, che hanno portato all’attuale impoverimento tecnico della rosa. Considerando poi che il fatturato rossonero è uno dei primi in Europa, è consequenziale pensare che a queste dolorose partenze si sia arrivati a causa di un monte ingaggi divenuto insostenibile, incrementato a dismisura da emolumenti troppo spesso spropositati rispetto al valore dei calciatori, piuttosto che per la risicata disponibilità economica concessa dalla società o per questioni di fiscalità, tanto care all’A.D. rossonero.

Restano poi sulla bilancia della riconoscenza altre questioni, certo non meno importanti. Senza scomodare la notte di Marsiglia, non si può dimenticare il coinvolgimento in Calciopoli a causa del maldestro e goffo tentativo di imitare le “gesta” di Luciano Moggi. Una scelta che, oltre a danneggiare la reputazione rossonera in Italia e in Europa, ha dato il via a tutta una serie di sconcertanti prestazioni in campionato, con distacchi imbarazzanti dalle prime posizioni.
Restando in tema di connivenze, non meno dannose sono state quelle con la cerchia di procuratori e intermediari “di fiducia”, unici interlocutori in sede di mercato, a prescindere dal valore dei calciatori da questi rappresentati. E’ innegabile che il Milan, nelle recenti campagne acquisti, abbia fatto la fortuna di personaggi come Bronzetti, Raiola, Oscar Damiani, Enrico Preziosi, diventandone addirittura dipendente in sede di campagna acquisti. Se si considera che per ottenere Ibrahimovic si è passati per Mattioni e Grimi, per ottenere Ronaldinho da Ricardo Oliveira, per avere Pato da Emerson, e via dicendo, sarebbe forse stato più consono condurre il mercato in maniera meno vincolata sempre e solo a determinati procuratori. Magari anche solo dando ascolto ad Ariedo Braida, che da competente uomo di campo, in tempi non sospetti, aveva saggiamente consigliato gente come Lamela, Chiriches e Strootman. 

Il quadro si può completare con il conflitto di interessi, foriero di palesi danni per la squadra rossonera, negli anni di presidenza della Lega Calcio. Probabilmente, in nome del tanto ventilato amore per il Milan, sarebbe stato più saggio e consono tenere separate le due cariche, ed evitare di dover spesso anteporre gli interessi di Lega a quelli del Milan.

E’ evidente, pertanto, che la riconoscenza non dovrebbe mai travalicare il fine ultimo del bene della squadra, che deve essere finalizzato all’ottenimento dei risultati sportivi. E’ altrettanto evidente che la gestione di Galliani (e di Berlusconi) ha portato il Milan a fare qualcosa di straordinario, di irripetibile a prescindere da chi possano essere i prossimi dirigenti e/o proprietari. Ma è esattamente con questa consapevolezza e con questo doveroso riconoscimento che bisognerebbe, a mio avviso, accogliere il necessario cambiamento, da attuare per tempo, prima che la situazione diventi irreversibile. Nel calcio, purtroppo o per fortuna, l’unica cosa che conta è il prossimo trofeo, la prossima vittoria. Non il ranking, né i ricordi del passato. Occorre quindi guardare al futuro senza accuse ridicole e ignobili a Barbara Berlusconi, senza eccessivi patemi d’animo. Chi lascia è stato bravissimo, svolgendo un lavoro straordinario, ma ha collezionato anche parecchi errori. E del resto, come ha ricordato lo stesso Adriano Galliani, i dirigenti passano, ma il Milan rimane. E tutti dovrebbero augurarsi una gestione oculata e lungimirante, esattamente il contrario di quello che si è visto negli ultimi sei anni e che, di questo passo, finirebbe per condurre il Milan nel baratro in poco tempo.

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