Orgoglio e pregiudizio

adriano_galliani_gettyE’ dall’inizio della stagione che mi sento sempre più infastidito da quello che mi appare un crescente isterismo, da parte di moltissimi tifosi e commentatori rossoneri (almeno quella fetta che scrive e partecipa sui social, blog e forum).
Tutte quanto accade a società e squadra, e segnatamente i pessimi risultati sportivi di questa stagione, viene vissuto e commentato, con allarmante frequenza, in toni apocalittici o, più banalmente, eccessivi.
Ormai da tempo penso che la tifoseria milanista, qualcosa di cui alla fine degli anni ’70 del secolo scorso ero assolutamente orgoglioso, sia rimasta vittima nel corso degli ultimi vent’anni di una grave forma di assuefazione al successo, che ne ha deteriorato (credo e spero non irrimediabilmente) alcune delle caratteristiche fondamentali, che la distinguevano da molte altre, e in primo luogo da quelle dell’altra sponda del Naviglio, e gobbe.
Questo parossismo incoerente, che bestemmia il nano maledetto per aver distrutto la gloria del Milan e si offende mortalmente se qualcuno si permette di ricordare che, prima del suo avvento, il Milan aveva lo stesso numero di Coppe dei Campioni del Nottingham Forest e che solo un pazzo avrebbe potuto prevederne un aumento, sta trovando la sua apoteosi, da ieri sera, in occasione dell’addio lacrimevole del Geometra brianzolo.

Sono molto contento dell’uscita di scena di Galliani.
Lo sono perché lo ritengo il principale responsabile, più di Berlusconi, di scelte degli ultimi anni che non condivido e che, a mio avviso, sono state (molto) controproducenti per il Milan.
Da parte di molti si sostiene, più o meno apertamente, che quelle scelte (l’acquisto di giocatori quasi esclusivamente attraverso un gruppo ristretto di procuratori, e il riconoscimento ai medesimi giocatori di emolumenti spesso, o sempre, assolutamente eccessivi rispetto al loro valore sportivo) siano motivate da interessi personali, condivisi appunto con quei procuratori.
Non è ai miei occhi rilevante se ciò possa essere vero, o se si tratti più semplicemente di una scelta ragionata, che ha puntato (dopo la sparizione dei grandi finanziamenti della proprietà che hanno caratterizzato la prima parte della parabola berlusconiana) a garantirsi la possibilità di acquisire in via preferenziale gli Ibra o i Balotelli, distribuendo favori.
Non mi interessa perché è stata una scelta comunque sbagliata, a mio avviso, in quanto il peso insostenibile del monte stipendi monstre nato da quella scelta, insieme a quella di favorire in modo eccessivo un largo gruppo di giocatori storici ben oltre i limiti della loro vitalità sportiva, ha provocato la necessità di cedere i Kakà, gli Ibra e soprattutto i Thiago Silva (mio vero unico immenso rimpianto), oltre a riempire la rosa di giocatori mediocri che ora, nell’inevitabile assenza di veri grandi giocatori, sono la zavorra (economica e tecnica) che sta tirando verso il basso il Milan.

Tanto chiarito, trovo però indecente, e indecente per un tifoso milanista in particolare, il tono e il modo con cui l’AD dalla cravatta gialla viene salutato nel giorno del suo addio.

Il tifoso di calcio o è irrazionale, o non è: sarebbe altrimenti impossibile soffrire e appassionarsi così tanto alle vicende di 22 tizi in mutande che inseguono un pallone. Per chi vuole comunque commentare dovrebbe, però, esserci un limite, e un minimo di sforzo di riflessione, razionalità e obiettività.
Si sprecano, tra social e blog, gli elenchi sarcastici delle bufale, delle figuracce, di tutto quanto di negativo (in particolare le creative giustificazioni con cui lo stesso Galliani ha caratterizzato il suo eloquio negli ultimi anni) è accaduto durante la lunghissima permanenza di Galliani al vertice di ACM.

Si pongono in dubbio le paternità di molte scelte, attribuite anche al magazziniere di Milanello piuttosto che all’AD tarantolante in tribuna, e si ascrive ai soli soldi berlusconiani ogni successo.

Tutto ciò è ridicolo e offensivo, non per Galliani ma per il buon senso e per la logica.
Galliani ha, con ogni probabilità (e senz’altro a mio avviso), fatto il suo tempo. Questo concetto è spiegato, in modo meravigliosamente milanista, in questo stesso blog da un corvo che percorre una lunga strada con un Dottore.
Ma per chi sia milanista e razionale non può che essere, nello stesso momento, terribilmente preoccupante.
Perché quello che è stato fatto da Berlusconi e Galliani in questo quarto di secolo abbondante è qualcosa di assolutamente straordinario, magico e irripetibile.

Nessuno ha vinto quello che ha vinto il Milan in questo arco temporale. Nessuno ha vinto più scudetti e nessuno ha vinto più Champions, per tacere delle minuzie di contorno. Mentre il Milan ne vinceva 5, è stato necessario un Barcellona che si piazzava ai vertici della classifica delle squadre più forti di ogni epoca per vincerne 4, il Real ne ha faticosamente raggranellate 3, il Manchester storico dello storico Sir Alex Ferguson riusciva a portarne a casa 2, squadre buffe a strisce nerazzurre pescavano il jolly di una e altri si impasticcavano fino alle unghie dei piedi per strapparne un’altra.

E’ una cosa unica nella storia milanista: per 25 anni, siamo stati la squadra più forte d’Italia e del mondo.

Non “una delle”, non “una grande squadra con una grande storia”, siamo stati il meglio del meglio, e abbiamo vinto tutto, più volte, e poi ancora.

Rendere compatibile tutto questo con il sarcasmo e la rabbia con il quale vengono trattati ora gli stessi Galliani e Berlusconi è impossibile.

I soldi, perfino più di quelli del povero Silvio, li stanno mettendo e li hanno messi in tanti, dal City al PSG. Abbiamo visto cosa han fatto, e lo vedremo ancora.
Perché non bastano i soldi, per costruire una magia fuori dalla logica come quella che c’è stata al Milan in questi 27 anni: servono anche una immensa competenza, una immensa capacità di scegliere le persone e una immensa passione.
E bus del cul, come diceva il grande Arrigo.
Ma non è ancora tutto.
Perchè una società calcistica non è solo calciomercato: è anche e anzi prima di tutto gestione di uomini, è vita quotidiana, è costruzione di un ambiente adatto a mettere in condizioni un gruppo di persone di lottare per il successo, e addirittura raggiungerlo. E questa è una delle cose più difficili del mondo, per chi ne ha mai provato l’esperienza, in qualsiasi ambito lavorativo.
Al Milan, in questi 27 anni, ciò è stato fatto magnificamente e al più alto livello.
Nesta, Ancelotti, Papin, Van Bommel sono solo alcuni dei grandissimi giocatori che stanno spendendo in queste ore parole di elogio per Galliani e per quello che ha fatto nel Milan.
Ce ne saranno altri. Semplicemente perché è vero, e perché è parte essenziale della magia (ne ha parlato anche quel Maldini che pure non è certo in buoni rapporti con Galliani) che ha caratterizzato questo lungo scorcio della storia rossonera.

Ora quella magia non c’è più, o si è comunque molto attenuata.
E’ il tempo, o la strada che finisce, come dice quel corvo. Un nemico imbattibile, il tempo, come la stanchezza sua compagna.
E’ perciò giusto così: addio cravatta gialla.
Ma per la miseria, siamo milanisti.
Siamo quelli che sapevano esultare per una sgroppata di Pasinato, per una incornata di Jordan, che hanno urlato come pazzi per un gol di Hateley, in mezzo al nulla.
E’ il momento, il momento in cui è giusto che se ne vada: ma vorrei sentire solo l’orgoglio e la gratitudine per quel che è stato fatto, in questo momento, e non il becero lamentio che risuona stridulo, a fronte di ciò che è stato, e che nessuno potrà replicare.

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