La strada

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Un uomo maturo, vestito molto elegantemente ma con una brutta cravatta gialla, chiamato Dottore, e un corvo percorrono una strada. Guardando verso l’orizzonte si nota che la pavimentazione a tratti è rovinata e a tratti distrutta. Il alcuni punti però brilla tanto da riflettere la luce del sole, rendendo impossibile focalizzare lo sguardo.

La strada è ancora molto lunga, e il passo dei due è svelto e deciso. Il primo strappo è un breve pendio.
– Qui ci sono già passato. Anzi, è qui che ho iniziato a camminare.
– Lo so.
– A volte ho come idea che tu sappia troppe cose, corvo.
– I miei genitori sono il signor dubbio e la signora coscienza, Dottore.
– Non capisco.
– Non eri solo al tempo, giusto?
– Giusto. Pochi ma buoni. In quegli anni si sarebbe spaccato il mondo, se solo avessimo battuto i piedi insieme abbastanza forte.
– Quanto è passato?
– Probabilmente troppo. Quando due linee iniziano a distanziarsi gradualmente in maniera naturale, per tornare vicine spesso devono distorcersi in maniera innaturale. Non dico che sia un male, eh. Però si era una bella squadra.
– Dopo il breve pezzo iniziale in salita, l’asfalto è cambiato. La strada scivola sotto le zampe che è una delizia.
– Eh, qui le cose filavano lisce. Non sempre tutto era perfetto. Come vedi però la lieve discesa non affatica ma, al contrario, appaga i passi.

Ai lati della strada si vedono grandi palchi di rose e papaveri e margherite e, soprattutto, tulipani. Il profumo di incenso rilassa gli animi dei due compagni, che camminano guardandosi intorno soddisfatti.

– Hai visto quanti capolavori presenti in questo tratto?
– Si, ho notato.
– Ho fatto tutto da me.
– Non è importante quante persone ci abbiano lavorato, Dottore, ma la bellezza del risultato.
– Il risultato è davvero splendido.
– Si, concordo.

L’aria si oscura leggermente, i fiori lasciano spazio ad arbusti più bassi e spigolosi, dal forte aroma di mirto. Dura solo un paio di minuti: in poco tempo la luce si rischiara. La natura circostante non è rigogliosa come nel meraviglioso pezzo precedente, ma il clima è mite e si sente una brezza dal sentore marino.

– E di questo pezzo di strada, cosa mi dici?
– Sicuramente è fatto bene. Hai visto anche tu, veniamo da qualche centinaio di metro d’ombra. Non è facile lavorare con luce fioca.
– Ho visto. Qua si nota fin da subito un tuo tocco più deciso. Molto più di prima. Come mai?
– E’ il periodo in cui le due linee si sono distanziate tanto da potersi ricongiungere solo in maniera innaturale, come ti ho anticipato poco fa.
– E quanto amore ci hai messo? Nella causa, intendo.

Dottore non sa cosa rispondere. E’ quantificabile l’amore? Probabilmente si, ma con quale termine di misura?

– Ti vorrei raccontare una storiella, se permetti…
– Dimmi corvo, ti prego.
– C’era un tale che aveva ricevuto in regalo da una persona oltremodo stimata uno splendido anello, di fattura antica, con graziose e sottili incisioni, tanti rubini rossi come il fuoco, e tante pietre d’onice nere come la paura, incastonati. Quell’anello era da subito divenuto vanto e attirava attenzioni ogni qual volta veniva indossato. Il tale, con l’anello indosso, si sentiva forte e a sua volta prezioso, e avrebbe voluto essere lui stesso l’anello, oggetto del desiderio di così tanti individui. Cominciò a dubitare delle persone delle quali si era circondato, anche le più valorose, poiché vedeva in loro sguardi maliziosi e invidiosi. Dapprima si isolò, sentendosi al sicuro nella propria solitudine. Ma più il tempo passava più nella sua testa quegli sguardi si moltiplicavano. Persino sfoggiare l’anello nel buio della propria stanza era diventato gesto gravido d’ansia, e così il tale scelse l’unica azione ritenuta sicura: nascondere il prezioso in un piccolo vaso di more, proprio accanto al suo cuscino, sotto un soffice strato di terriccio, dissotterrandolo di tanto in tanto per godere del suo possesso, e nulla più. Con il tempo però i riflessi dorati del gioiello si fecero opachi, macchiati dalla terra. Le sue pietre erano buie e spente. Spesso nel tirarlo fuori con imperizia veniva strisciato contro i piccoli sassolini presenti nel terriccio e altre volte finiva graffiato dai rovi del gelso…”
– Fermati.
– La storia non è poi ancora molto lunga. Permettimi di finirla.
– Ho capito benissimo dove vuoi arrivare.
– Hai capito dove voglio arrivare, o hai capito qual è, o qual è stato, il problema?
– Ho stretto troppo, per troppo amore. Ma può essere considerato un errore?
– Hai soffocato.

La strada via via si sfalda. Sembra ormai una via di campagna. Qui e lì qualche toppa malriuscita, molto più spesso assi di legno a coprire le buche. Dottore appare rammaricato.
Lui e il corvo proseguono per un breve tratto, stando in completo silenzio. Poi Dottore si ferma, e indirizza uno sguardo fiero e spavaldo verso il corvo:

– Sai corvo, chiusa una porta, talvolta, si apre un portone.
– Non credo tu stia centrando appieno il punto della questione.
– E quale sarebbe, questo punto?
– Che a furia di camminare, la strada è quasi finita.

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