Siamo allo sfascio?

foto-galliani-barbara-277758_tn[1]12 punti in 11 partite, di cui 6 in casa. 2 soli punti in 5 trasferte, acciuffati in modo rocambolesco, in quanto frutto di due pari raccolti con la pura forza della disperazione, durante i minuti di recupero in partite in cui all’85esimo il Milan era sotto di due reti. 5 sconfitte e 19 goal subiti, con il Milan che ha la quarta peggior difesa del campionato Solo Sassuolo, Bologna e Samp hanno fatto peggio. Bilancio negli scontri diretti effettuati finora imbarazzante: sconfitte interne contro Napoli ed una Fiorentina rimaneggiata, pari interno contro quella che è in teoria la più debole tra le “grandi” e sconfitta contro i gobbi. In poche parole, il peggior inizio di stagione nella storia del Milan berlusconiano.

Non ci sono alibi per nessuno: dirigenza, allenatore e giocatori sono tutti responsabili per questo pessimo rendimento che nemmeno il più pessimista dei tifosi si sarebbe aspettato ad inizio stagione.

A me non fa tanta specie l’undicesimo posto a pari di corazzate come Torino o Livorno, due punti sotto la nostra squadra B capitanata da Preziosi, od il trovarsi nettamente sotto al Verona rivelazione che poi si sgonfierà. Sono infastidito decisamente di più dai 10 punti che ci separano dai cugini, che sono partiti con i nostri stessi obiettivi (quindi “costretti” a giocare all’attacco quasi tutte le partite) e con una rosa sicuramente inferiore. E’ bastato prendere un buon allenatore, dargli fiducia, lasciarlo lavorare in pace e non stravolgergli la squadra il 2 settembre.

Al Milan non è stato così. Già prima della partita decisiva della scorsa stagione, uscirono le dichiarazioni destabilizzatrici di Berlusconi, che voleva cacciare un allenatore reduce da una stagione difficilissima, ma in cui stava per centrare l’obiettivo minimo. In qualche modo, dopo una brutta prestazione, la squadra vinse a Siena e raggiunse i tanto sognati preliminari di Champions. Aggiungiamoci l’esonero da Biscardi durante la settimana successiva e lascio immaginare l’autorità che può avere un allenatore già di per sè discreto, ma anni luce dall’essere un grande, su un gruppo in cui i più talentuosi sono quasi tutti anche delle gran teste di minchia.

Allegri ebbe solo l’appoggio fortissimo di Galliani, che la spuntò, come fu qualche mese prima su un Balotelli che non convinceva il presidente. Il tecnico livornese rifiutò Roma (cosa che, ad oggi, sembra essere stata un colpo di fortuna per i capitolini) ed accettò di rimanere a Milano in scadenza di contratto, con un accordo di un progetto tecnico più gradito a Berlusconi e da dead man walking, visto che il 30 giugno successivo gli avrebbero detto sicuramente: “Grazie ed arrivederci”.

Raggiunto l’obiettivo salva-bilancio, oltre all’esplosione di tutta la tensione accumulata da Allegri in uno sfogo davanti alle telecamere, arrivarono Kakà ed un Matri fortemente voluto dal tecnico (“In difesa pochi migliori dei nostri, a meno di riprenderci Thiago; mi serve un centravanti”) e dall’AD (“Il mercato non lo fanno i tifosi”). Pensare ai 12 milioni dati ai gobbi ed al contratto quadriennale a quelle cifre per il 29enne Matri mi fa ancora cristonare. La partenza in campionato è quella descritta sopra, perfino peggiore di quella dello scorso anno dopo lo stravolgimento della rosa ed è figlia anche dell’ennesima sfilza di infortuni, dell’ennesima preparazione che imballa la squadra, dell’ennesimo avvio di stagione da incubo di Abbiati, degli ennesimi, enormi, errori difensivi che costano reti. Oltre che di una circolazione di palla ed una manovra offensiva prevedibili quanto una commedia romantica americana. La ricerca sistematica del possesso palla non la prescrive il dottore e può essere deleteria se i maggiori azionisti si chiamano Mexes, Zapata e De Jong.

Normale che l’amaro in bocca di un Berlusconi che, in sei mesi, è stato contraddetto per due volte dal suo sottoposto, si sia riversato con violenza su Galliani. E sua figlia, che da mesi vuole ridimensionare il ruolo dell’attuale AD, cambiando politica aziendale, coglie al volo l’occasione. Certo, se le parole venissero seguite dai fatti, non mi dispiacerebbe la visione del Milan di Barbara Berlusconi: valorizzazione del vivaio, creazione di una forte rete di osservatori per prendere i giocatori validi quando non costano già troppo; basta con il mercato fatto sfruttando solo relazioni con i procuratori o presidenti amici, con Braida ai margini. La politica del campione a fine carriera è stata un fallimento, che ha portato a risultati sportivi mediocri con bilanci sempre in rosso pesante (a meno di vendite dei migliori in rosa). Il motto “Meno Raiola, Bronzetti e Preziosi, più talent scout” potrebbe esercitare un certo fascino.

Insomma, allo stato attuale non c’è chiarezza nè a livello societario (chi comanda veramente?) nè dal punto di vista tenico-tattico ed ipotizzare piazzamenti più in linea con gli obiettivi dirigenziali è utopia.

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