Il consueto infausto avvio di campionato abbatte l’umore del casciavit, illuso dalla speranza che anni di cinghie tirate potessero consentire qualche buon acquisto e disilluso della convinzione che il tempo della collezione di figurine fosse alle spalle.
Amarezza esacerbata dalla mancanza di valvole di sfogo, avendo già avidamente tracannato il bicchiere mezzo pieno e vedendo perfino i cugini davanti in classifica. In queste situazioni non resta che cercare parziale conforto pensando a sventure peggiori. Si, mi riferisco proprio a loro, gli abitanti dei vostri incubi peggiori: i Grimis.
La famiglia dei Grimis prende il nome dal capostipite, tale Leandro Damian Grimi, passato alle cronache esclusivamente per essersi autoproclamato il nuovo Maldini. Trattasi di calciatori noti, nella migliore delle ipotesi, tra una ristretta cerchia di parenti e amici. In altri casi, nessuno è in grado di attribuire loro un volto, lasciando tuttora il dubbio che non siano mai realmente esistiti.
Arrivati dal totale anonimato con proclami altisonanti e fregiandosi con i titoli più improbabili, hanno spesso avuto l’arduo compito di colmare particolari lacune dell’organico, con risultati inverecondi.
Quando Grimi arriva al Milan, è un giovane difensore argentino dalla -presunta- classe cristallina. Il Milan lo ingaggia per la risibile cifra di 2 mln per dare nuova linfa ad una corsia esterna gerontocraticamente governata da Favalli e Serginho. Leandro collezionerà ben 110 minuti spalmati in tre presenze (due volte entrato in corsa, una volta sostituito, tre punti raccolti) che gli varranno una meritata Champions League da raccontare ai nipoti. Dopo qualche apparizione in prestito al Siena salperà rispettivamente per Portogallo, Belgio e Argentina a bordo di una nave da crociera su cui tuttora fa il croupier.
Raccomandato quanto antifotogenico, Rodrigo Izecson Dos Santo Leite, in arte Digao (arte si fa per dire..) sembrava l’uomo ideale per dare il cambio a Nesta e Maldini. La dura legge del calcio vuole che la coppia centrale non faccia turnover praticamente mai, soprattutto se la riserva è lui. Disputerà solo 45 minuti, ma in compenso siederà per ben tre volte in panchina. Ceduto troppo in fretta, in seguito collezionerà altre 19 apparizioni. Di recente è stato schierato dal Real Madrid con la pettorina di Kaka, creando grave nocumento alla reputazione del fratello ignaro.
Felipe Mattioni Rohde, era un terzino destro di belle speranze, tutt’ora rimaste tali. Più volte accostato alla Juventus in un’epoca in cui il colpo “esotico” andava di moda. Il suo procuratore Mino Raiola lo conobbe fuori da un night club e decise di portarlo al Milan. Per lui due minuti intensi ed emozionanti, ma il diritto di riscatto fissato a 6,5 mln sarebbe stato una sciocchezza troppo grossa anche per la nostra dirigenza, le cui braccine avevano già iniziato la fase di accorciamento.
Mathias Cardacio e Tabaré Viudez sono arrivati insieme ed insieme se ne sono andati. Non avendoli mai visti nemmeno in foto, chi scrive è tuttora pervaso dal dubbio che potesse trattarsi della stessa persona. Cardacio capita a Milanello seguendo il Tom Tom, e già i vari blog e forum pullulano di tuttologi che lo vedono bene come vice-Pirlo e si strappano le vesti per il suo mancato inserimento in lista Champions. 68 ottimi minuti spalmati su tre presenze, per poi tornare a fare ciò che gli riesce meglio: sabotare i bancomat. L’acquisto del socio è una mossa ancora più geniale poiché occlude l’ultimo posto per tesserare extracomunitari. Ne è valsa la pena: un intero appassionante minuto. Successivamente è stato assoldato dal socio per fargli da palo.
Oguchi Onyewu era un mastodontico difensore statunitense di origini centrafricane. Approdato a Milano dopo una Confederations Cup giocata su livelli strepitosi, pareva destinato a colmare la storica lacuna della nostra difesa sul gioco aereo. In campionato non vede il campo. Grazie al cielo, perché in compenso lo vede in Champions League e si rende protagonista di una imbarazzante sconfitta per mano dello Zurigo. Somministra una fatality ad Ibrahimovic prima di passare il resto della stagione ai box causa rottura del tendine di Achille. Attualmente pianta grane fuori dagli uffici di collocamento richiedendo spesso l’intervento dei carabinieri.
Dominic Adiyiah è il figlio non riconosciuto di Mister T. Un po’ per paura del padre, un po’ grazie ad una strepitosa Coppa d’Africa Under 20, Galliani lo acquistò per comporre, assieme a Pato e Paloschi, un attacco di astri nascenti. Non riuscì a disputare neppure un minuto, nemmeno il tempo di fare un giro di campo per accomiatarsi tra la commozione generale. Galliani cercò di appiopparlo un po’ a chiunque tentando di convincere i vari interlocutori che trattasi del nuovo Pelé, in vendita solo per bontà del club rossonero e facendogli perfino frequentare un breve corso di apprendistato come manovale al porto di Genova finanziato con fondi comunitari. Nulla da fare. In Ucraina ha trovato la sua vera dimensione lavorando in una fabbrica di vodka e allenandosi con Ivan Drago.
Didac Vilà era un terzino sinistro giovane e molto promettente, identikit perfetta del calciatore che ci serviva. Il procuratore Mino Raiola lo conobbe fuori da un night club e lo portò a Milano, dove i rossoneri investirono quasi 5 mln tra prestito e riscatto. Cifra esorbitante in un’epoca in cui il CdA pranzava già stabilmente alla Caritas, ammortizzata in maniera opinabile in una sola presenza, nell’ultima giornata di campionato. Il talento spagnolo si lanciò all’attacco della loggia massonica che monopolizzava immotivatamente la fascia sinistra rimediando un brutto infortunio al ginocchio. Lasciò il Milan con uno scudetto in saccoccia, senza di lui il club di Via Turati non riuscirà più a ripetersi nella vittoria del titolo.
Bruno Montelongo, polivalente esterno uruguagio, era la risposta ad una delle principali carenze dell’organico. Ma solo numericamente -termine caro a Galliani- perché il ragazzo vide il campo solo dalla panchina. In una circostanza abbozzò un timido tentativo di riscaldamento ed il mister lo spedì in prestito a Bologna. Nemmeno qui vide il prato, ma in compenso imparò a fare la pasta all’uovo e a commentare il meteo in dialetto bolognese. L’arrivo della crisi costrinse Giovanni Rana a metterlo in cassa integrazione.
La rivoluzione dell’estate successiva fa strage di centrocampisti e per colmare il vuoto ci si affida al ventisettenne Bakaye Traorè, ruvido mediano centrale di origini Maliane. Il Milan lo preleva dall’anonimato e gli permette di collezionare ben nove presenze in cui totalizzerà 151 minuti con rischio di segnare un golazo alla Giuventus. Bakaye si rivela un giocatore difficile da vendere, anche gratis come era stato acquistato. Per lui viene addirittura prospettata l’ipotesi di uno scambio con Birsa, rampollo della dinastia. Emigrato in terra turca, gestisce una fiorente attività commerciale di orci e tappeti.
Quanto sopra potrebbe anche non essere realmente accaduto, ma visto che l’indecorosa posizione in classifica è realmente accaduta, meglio farsi una risata. E in fondo siamo pur sempre il club che ha messo a segno più rimonte nella prima parte del girone di andata.
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