Cristoforo Galliani

Il consueto teatrino sul ritorno del figliol prodigo Kakà, con tanto di tempestivi voli a Madrid, pranzi a quattordici portate, dichiarazioni non richieste di Bronzetti, interminabili live e via dicendo, mi ha rovinato tutti i giorni conclusivi dei mesi di agosto e gennaio da quattro anni a questa parte.
Sono arrivato al punto di prendere solo il bus 17 e di farmi tatuare 13 gatti neri nel sotto chiappa, per toccarmi invece le palle alla vista di un 31!
Vi lascio immaginare il mio stato d’animo ora che l’inderogabile farsa di fine calciomercato è andata addirittura a buon, si fa per dire, fine.

Vedendo in tv le scene di giubilo in stile visita papale alle bidonville di Kampala non può non saltare all’occhio il percorso ad onde del nostro prode bimbo d’oro, prima adorato incondizionanatamente da tifoseria e stampa, poi venduto dalla società per risanare le casse societarie e immediatamente sputtanato come traditore e giocatore finito dalla pletora di giornalisti servi e leccaculo che si occupano degli affari rossoneri, per tornare ora ad essere acclamato dai medesimi pupazzi come salvatore della patria e grande cuore rossonero.
A voler essere malvagi si potrebbe pensare che i suddetti pupazzi abbiano stretta tra i maroni la mano di un ventriloquo, magari pelato, ma dai, sicuramente sono un malfidato, ci devono essere motivazioni più plausibili!

Ma veniamo al buon Ricky e vediamo come potrà essere utile alla nostra causa.
Lasciata Milano nell’estate del 2009 in veste di formidabile giocatore offensivo, valutato la bellezza di 67 milioni di euro, torna dall’esperienza spagnola forte delle nuove robuste amicizie col massaggiatore madridista e la bordocampista di Canal+, rinsaldate dalle mai banali chiacchiere scambiate nei lunghi pomeriggi passati ad imprimere le forme dello scarno ma nobile deretano sulle poltroncine delle panchine iberiche.
Fisicamente magari non sarà più sulla cresta dell’onda, ma sappiamo che lo stato psicologico è la cosa più importante, e cosa meglio di alcuni buoni amici per corroborare l’animo?
Perbacco, allora sognare in grande non è vietato!

Tre allenatori diversi hanno trovato posto di fianco a Kakà a Madrid, ed evidentemente tutti lo hanno ritenuto particolarmente simpatico e competente, dato che non uno ha considerato l’ipotesi di non poterlo più consultare per l’analisi tattica o abbracciare per i gol dei compagni forti, non uno l’ha reputato un titolare, non uno un’alternativa ai primi undici.
Torme di ragazzini della cantera madridista gli sono balzati avanti nelle gerarchie come kenyani di fronte ad una siepe olimpica, o Bronzetti di fronte ad una commissione, tanto per restare in tema.

E proprio il mister che l’ha fatto esplodere ora ce lo rimanda come pacco postale, avallandone la cessione gratuita, dopo averlo bocciato nel lungo precampionato.
Nessuno sembra valutare questo fatto, anzi, ipotesi tra le più accreditate è che Carletto ce lo restituisca come grande favore, dato che anche lui è un fenomenale cuore rossonero.
Che bella cosa l’amore!

Si diceva dei tifosi in estasi.
“Siam venuti fin qua, siam venuti fin qua”, foto col pallone d’oro, “che emozioni per Ricardino”, “grazie Galliani”, “bentornato a casa”, questo è il tenore dei messaggi diffusi in rete.
Il popolo milanista, salvo rare eccezioni, è felice.

Lo stesso popolo milanista che, invaghitosi di El Shaarawy a Udine in un pomeriggio settembrino e innamoratosene durante il magico autunno costellato di gol e prestazioni da capogiro, lo ha già scaricato per un girone di ritorno che non ha rispettato le attese, e poco importa se il Faraone è classe ’92 e si sa che prerogativa dei ragazzini alle prime armi in serie A è spesso la scarsa costanza; questo stesso popolo ora si sta stracciando le vesti per un trentunenne con alle spalle seri problemi di pubalgia, che ha vissuto l’ultimo periodo di forma travolgente non nello scorso girone d’andata, ma nel lontanissimo 2007.

Sfido chiunque a citarmi un esempio di un calciatore riemerso ad alti livelli dopo 6 anni di buio.
Purtroppo temo che l’elenco non cominci nemmeno.

L’affaire Kakà è stato comunque solo la succosa ciliegina sulla torta della mia disaffezione verso i nostri colori.

Sabato nel prepartita di Juventus-Lazio Marotta, tanto sbertucciato dai tifosi milanisti, ad una domanda sulla protesta di Conte per la cessione di Matri, ha dato la risposta che ogni direttore generale sarebbe orgoglioso di dare, constatando che è più che normale che l’allenatore e magari anche i tifosi si facciano trasportare dai legami affettivi ed emozionali con i giocatori che sono stati protagonisti di vittorie importanti, ma che il management della Juve non deve farsi distogliere per nessun motivo dall’obiettivo primario del raggiungimento dell’optimum sportivo, e che per questo è necessario operare tutte le manovre ritenute funzionali alla causa, in modo tale da poter, parole sue, vincere tutte le competizioni cui la squadra prende parte.

Qualche giorno prima il nostro stimato amministratore delegato aveva dichiarato che la posizione in campionato non è importante, dato che tale manifestazione è utile solo per centrare il piazzamento utile per la Champions League (altra competizione la cui vittoria lui si guarda bene dal mettere tra gli obiettivi, ci mancherebbe).
Niente affatto pago, ieri ha sfoderato il capolavoro, portandosi a casa quello che al momento è definibile solo come ex campione e concedendogli un ingaggio (almeno quello dichiarato) di 4 milioni di euro annui, dopo aver pianto miseria per anni, con l’unico evidente motivo di riscaldare i cuori dei tifosi.
(Forse anche il suo, ma ne dubito).

Naturalmente il messia di Brasilia si è subito premurato di far pesare a tutti la riduzione dell’ingaggio per amore dei colori, ricordando che i soldi per lui non sono mai stati una priorità.
A stretto giro di posta un kamikaze giapponese ha definito l’interesse bellico dell’impero del Sol Levante l’ultimo dei suoi patemi.

Dunque sulla sponda bianconera del Po ci sono ambizioni, progetti ad ampio respiro, voglia di vincere; sui Navigli rossoneri solo ricerca del pareggio di bilancio, nulla che riguardi obiettivi sportivi, navigazione a vista e manovre di stampo emozionale per i tifosi meno attenti.

Non so come mai, ma non sono particolarmente stupito dal fatto che da una parte si vinca, e dall’altra no. Senza provarci nemmeno dicono che sia dura…

L’unica speranza che ci rimane è che Galliani, novello Colombo, seppur partito alla ricerca dei ritorni economici nelle Indie trovi in America inaspettate e immeritate vittorie.

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