«Fino a quando a capo degli arbitri ci sarà il signor Campanati, per noi del Milan le cose andranno sempre in questo modo: saremo costantemente presi in giro. Questo non è più calcio.
A parte la nostra comprensibile e incontenibile amarezza, mi spiace per gli sportivi… credono che il calcio sia ancora una cosa seria. Quello che abbiamo subito oggi è una vera vergogna. Credevo che ci avessero fregato già a Torino contro la Juventus, invece ci presero in giro a metà con l’autocritica di Lo Bello in televisione. Purtroppo per il Milan avere certi arbitri è diventata ormai una tradizione. La logica è che dovevamo perdere il campionato. D’altronde, finche dura Campanati non c’è niente da fare: scudetti non ne vinciamo.
Io sono disposto ad andare davanti alla magistratura ordinaria, perché ciò che dico è vero: sino alla Corte Costituzionale.
Mi hanno rotto le palle. Ha cominciato anni fa un certo Sbardella; sono cose che tutti sanno: è dunque ora che si dicano. Per vincere lo scudetto dovremmo avere almeno nove punti di vantaggio nel girone di andata. In caso contrario davvero non ce lo lasciano vincere, e se lo avessimo saputo non avremmo giocato.
È il terzo campionato che ci fregano in questo modo. Sta scritto da qualche parte che il Milan non debba assolutamente raggiungere la Juventus. Fino a questo momento abbiamo trovato tre arbitri che hanno fatto tutto perché restasse sola in testa alla classifica.
Se ho raccontato delle storie mi dovrebbero squalificare a vita, ma devono dimostrare che sono state storie. Così non si può più andare avanti; io ho parlato chiaro, non mi sono inventato nulla, ho detto solo cosa si verifica in campo…
I casi sono due: o io mi sono inventato tutto e allora mi squalificano a vita, oppure riconoscono di avere sbagliato e bisogna cambiare, sostituire chi non è all’altezza del compito».
All’esito di quelle dichiarazioni rese da Gianni Rivera il 12 marzo 1972 nel postpartita Cagliari Milan, decisa da un rigore inesistente fischiato a favore dei sardi, il capitano del Milan venne squalificato fino al successivo 30 giugno. Sono anni in cui la storica rivalità tra Milan e Juve è probabilmente al culmine.
Negli anni successivi allo scudetto della stella, la rivalità tra le due società, ma non tra le tifoserie, si affievolì in virtù dei saliscendi del Milan tra A e B. Con l’acquisizione del Milan, Berlusconi dimostrò subito di non nutrire alcun timore riverenziale nei confronti della Juventus e della sua illustre proprietà, andando a pescare da quella che dagli addetti ai lavori era stata sino ad allora considerata una riserva di caccia esclusiva dei gobbi, l’Atalanta, un gioiello preziosissimo, Roberto Donadoni. In quei primi anni berlusconiani il Milan soppiantò nel ruolo la Vecchia Signora, diventando il padrone assoluto del mercato ed il modello a cui tutti si ispiravano, compresa la stessa Juventus che cercherà di copiarci ingaggiando Maifredi. Il via libera concesso da Berlusconi a Giovanni Agnelli su Baggio costituì un mero atto di cortesia regale, un omaggio per non indispettire un potente d’Italia. Ma fu solo un lampo, e il Milan si rifece poco dopo acquistando dal Torino l’astro nascente del calcio italiano, Gigi Lentini, sul quale la stessa Juve aveva posato gli occhi.
Con l’entrata in politica di Berlusconi cambiò tutto. Il Presidente cominciò ad allontanarsi dal Milan, diventato non più uno straordinario mezzo pubblicitario ma una squadra che, per le ambizioni politiche di Berlusconi, non era più conveniente che si mostrasse invincibile agli occhi degli italiani, tifosi di calcio prima ancora che cittadini . Le redini della conduzione tecnica, amministrativa, perfino del calciomercato, vennero affidate ad un unico personaggio, Adriano Galliani. Analogamente, anche alla Juventus si concluse un’era quando a maggio del ’94 allo storico Presidente Boniperti subentrò la Triade Moggi-Giraudo-Bettega. Compreso che il dominio assoluto sul mercato del Milan stava finendo, Galliani decise, anche per ambizioni personali, di farsi amico e alleato l’antico e storico avversario.
Vennero dunque contrattualizzati scambi commerciali, scambiate esperienze sugli sponsor e tecniche di marketing, stretti patti di non belligeranza sui comuni obiettivi in sede di calciomercato. Con il potente alleato al fianco, la scalata di Galliani alla Lega calcio divenne inarrestabile: l’alleanza di ferro inizialmente economico-sportiva, poi anche politica, condusse all’elezione di Carraro in FIGC e di Galliani in Lega Calcio, nel 2002.
Dopo un solo scudetto in sette anni, peraltro non programmato e vinto in maniera casuale da Zaccheroni, in casa Milan ripresero gli investimenti sul mercato e nacque il ciclo ancelottiano. Per un quinquennio il Milan dominò o quasi in Europa, raggiungendo tre finali in CL (di cui due vinte), una semifinale e un quarto di finale. In Italia restarono le briciole, uno scudetto vinto avendo la Roma come competitor, ma ogni volta che l’avversario era la Juventus, cenerentola in Europa, erano schiaffi in faccia e secondi posti. Ma conveniva così, sia a Galliani che alla proprietà.
18 dicembre 2004: il Milan distanziato di quattro punti dalla vetta, affrontò a Torino la Juventus, arbitro Bertini. La partita, dominata dal Milan, si concluse sullo 0 a 0. Gli errori di Bertini e dell’intera terna arbitrale non si contano: un rigore non fischiato a Crespo, trattenuto in area da Zebina quando si accingeva a segnare a porta vuota, altro rigore su Kaladze affossato da Zebina, tre fuorigiochi inesistenti fischiati agli attaccanti rossoneri, di cui uno a Sheva lanciato in corsa solitaria verso Buffon, Kakà fermato, senza applicare la regola del vantaggio, in una situazione di tre contro due, una gestione dei cartellini a favore dei bianconeri quantomeno discutibile. A fine partita, corsa dei rossoneri verso il pullmann, frasi a mezza bocca, sorrisi amari, il solo Kaladze, non il capitano, si soffermò ai microfoni per sparare ad alzo zero contro l’arbitraggio e la Juventus: “Contro la Juve è sempre così”. Silenzio imbarazzato di Galliani, d’altronde una poltrona alla presidenza della Lega valeva bene uno scudetto. Con una curiosa coincidenza, sul finire della stagione, si diffuse sui media la notizia che Kaladze sarebbe stato messo in vendita. Alla fine del mercato Kaladze restò, ma… uomo avvisato, mezzo salvato.
Nell’agosto del 2005 la realtà superò la fantasia. In occasione di uno scontro con Kakà, durante il trofeo Berlusconi, Buffon riportò un grave infortunio alla spalla che l’avrebbe tenuto fuori per metà stagione. Venendo incontro ai compagni di merende, Galliani decise di prestare ai bianconeri Abbiati, riserva al Milan di Dida e secondo della Nazionale italiana dietro lo stesso Buffon. In quel campionato, che la Juve terminò davanti al Milan, Abbiati si rivelò decisivo per i primi sei mesi della stagione, subendo 9 gol in 19 partite. Se non avessero avuto il grazioso cadeau di Galliani, i gobbi avrebbero giocato più di metà campionato con zucchina Chimenti in porta.
Il resto è storia recente. ll post-Calciopoli è dell’Inter, sua prima rivale la Roma, Milan e Juve ridotte a poco più che comparse, Galliani si è dimesso dalla presidenza di Lega nel giugno 2006 dopo il deferimento ricevuto da Palazzi per Calciopoli. Dopo lo scudetto vinto contro Inter e Napoli, nel 2011-2012 il Milan ritrova come avversario per lo scudetto la Juve di Conte. Galliani strepita dopo il famoso Milan-Juve di Muntari, ma tempo un paio di giorni, fatti due conti, chiama i ladri chiedendo scusa per averli definiti tali. Il tutto paga: poco più di sei mesi dopo, il 18 gennaio 2013, Galliani viene eletto vicepresidente della Lega serie A. La corsa alla seconda…presidenza (pensavate stella?) continua: la gratuita e sicura pubblicità fornita da Galliani in occasione del colpo Tevez (finto interessamento per solleticare l’orgoglio di tifoseria gobba e ambiente per aver strappato al Milan un obiettivo che, se paragonato ai nomi fatti quali Higuain e Jovetic, aveva un appeal e un costo minore), è forse un’ulteriore genuflessione per l’obiettivo finale.
E, come dice Suma(ro), tenetevi stretti, che ne vedremo delle belle…
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