Dopo Ronaldinho, Ibrahimovic, Robinho, Cassano e Balotelli, pare che sia il turno di Carlitos Tevez, detto l’Apache, volto noto al tifoso rossonero per il fascino discutibile che ricorda Norma Bates appena sveglia e per la militanza nel Boca Juniors.
La società rossonera mantiene l’infelice tradizione di inseguire grandi attaccanti voltando lo sguardo rispetto alle necessità prioritarie della rosa -la quale ha nell’attacco l’unico reparto relativamente ben fornito-. Ciò che cambia rispetto al passato, invece, è l’improvvisa scomparsa della storica avversione ai rischi connessi all’acquisto di giocatori noti per avere una personalità che può creare problemi. Non c’è più neppure l’ombra, nessuna traccia, svanita nel nulla.
Sono lontani i tempi in cui il Milan dedicava una cura maniacale alla scelta di giocatori in grado di distinguersi per la propria serietà. Un concetto di serietà da intendersi in senso lato e difficile da definire in maniera esaustiva, che esplicava i suoi effetti in una sintesi di professionismo, spirito di gruppo, sportività ed eleganza.
Complice anche la volontà di offrire una determinata immagine esteriore, la società rossonera si orientava su giocatori che abbinavano un indiscutibile talento ad apprezzabili doti caratteriali. Solo in anni recenti penso a Bierhoff, a Shevchenko, a Kaka, a Nesta e mi fermo perché farei notte e costringerei pure qualcuno a versare una lacrimuccia.
Alla stessa stregua, la società rossonera non esitava ad indicare la porta a quei giocatori che si rivelavano dei piantagrane, come il manipolo di olandesi della seconda gestione Capello o il tragicomico Cosmin Contra.
A quei tempi, l’eventualità dell’acquisto di un calciatore che, in conseguenza della propria arroganza e del proprio egocentrismo, collezionava espulsioni e risse con i compagni di squadra –e che invitava la propria curva a fargli una pompa- sembrava pura fantascienza. Analogamente, l’acquisto di un giocatore spedito in Brasile a risolvere problemi di alcolismo, di uno fuori rosa per l’abitudine ai festini, di un ciccione rimasto a piedi per aver mandato il presidente a fare in culo, sembravano pura fantascienza.
E invece è capitato. E’ capitato più volte e sta per succedere di nuovo. Anzi, in questa circostanza la società pare avere tutta l’intenzione di raddoppiare la posta in gioco, liberandosi di un ragazzino che abbina un indiscutibile talento ad apprezzabili doti caratteriali, anacronistico baluardo di un Milan che non c’è più.
Intendiamoci, Carlitos Tevez non può essere paragonato a Cassano o Robinho. L’argentino è un campione fatto e consacrato ed i numeri parlano chiaro. In carriera ha vinto tantissimo e soprattutto ha accettato e svolto in maniera egregia i compiti più disparati: il ruolo di punta centrale, di ala, di seconda punta, di gregario.
Nonostante ciò, ritengo ottimistico attendersi da lui un rendimento pari a quello di Ibra o di Balotelli. I due, a scanso di tutto il male che è stato detto -e che si sono guadagnati-, hanno il pregio di compensare i comportamenti sopra le righe con un rendimento generale assolutamente soddisfacente, figlio di uno stato di forma impeccabile che testimonia un indiscutibile professionismo. L’Apache non sempre. Durante il periodo al City è stato messo ai margini e si è lasciato un po’ andare mostrando uno stato di forma indecoroso, che ha lentamente recuperato.
Sotto il profilo tattico l’apporto di Tevez può farci sicuramente molto comodo. Il suo lavoro sporco alle spalle di Balotelli potrebbe essere il fondamentale collante tra centrocampo ed attacco che troppo spesso è mancato in epoca recente. Per questo motivo, anche se un buon portiere, un buon difensore, un buon esterno o un buon regista ci servirebbero molto di più, l’acquisto dell’argentino non pare a chi scrive una mossa dissennata.
E’ semmai la direzione intrapresa, abbinata alla cessione del faraone, ad indurre non poche perplessità. Non ci è concesso di sapere se l’argentino, in una partenza da incubo come quella vissuta quest’anno, avrebbe preso il Milan per mano trascinandolo verso la risalita, o avrebbe invece mandato i compagni a quel paese dedicandosi ad investire i propri emolumenti in cibo e alcol.
Tant’è, non ci resta che sperare.
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