Allegri è ormai due anni che divide il tifo milanista, polarizzandone le opinioni. Genio o cialtrone, senza vie di mezzo. Per quanto mi riguarda, sono agnostico in questa guerra di religione: né fan accanito, né agguerrito detrattore. Non gli affiderei la squadra dei miei sogni come invece farebbe il Vegliardo, ma nemmeno lo ritengo il problema principale di questo Milan. Io lo avrei confermato, dato che il risultato della stagione appena finita è oggettivamente buono: 8 punti in meno dell’anno precedente, con una squadra sicuramente indebolita e totalmente da rimodellare, in quanto privata di tutta la sua spina dorsale.
Galliani era d’accordo con me, quindi, nei giorni immediatamente successivi alla sofferta trasferta di Siena, mi sarei aspettato un suo discorso del tipo: “Allegri ha un altro anno di contratto con noi. Ad inizio stagione ha avuto, come la squadra, dei momenti di grossa difficoltà, ma poi ha saputo tenere unito il gruppo e, grazie anche ai consigli tattici del Presidente, è riuscito a raggiungere l’obiettivo che ci siamo posti ad inizio anno”.
Le cose, purtroppo, non sono andate così. Abbiamo assistito, nel giro di un paio di settimane a: (i) esonero di Allegri in esclusiva al Processo di Biscardi, (ii) secca smentita del Milan tramite comunicato ufficiale, (iii) rinvii di “cene decisive”, tra sirene romane per Max e sondaggi (per fortuna negativi) tra i tifosi per un arrivo di Seedorf in panchina, (iv) comunicato ufficiale del Milan che annuncia la conferma di Allegri.
I giornali, ovviamente, ci hanno sguazzato, ed il Milan ha montato, per l’ennesima volta nel corso degli ultimi anni, un teatrino sul nulla. Certo, a Berlusconi è sempre piaciuto apparire, basti ricordare il suo arrivo in elicottero a Milanello, ma, fino a qualche tempo fa, i siparietti e le sceneggiate passavano in secondo piano, in quanto sporadici e, soprattutto, accompagnati da investimenti e risultati.
Lo spartiacque, a mio parere, è stato Calciopoli. Con la Juve messa fuori gioco per qualche anno, il Milan era l’unica società che avrebbe potuto contrastare il dominio interista degli anni successivi. Ma non ha voluto farlo e, anzi, con una palese mancanza di idee, ha iniziato a comprare solo ai saldi, quasi sempre giocatori sul viale del tramonto (Ronaldo, Emerson, Zambrotta, Dinho, ecc.) e, quando possibile, ha pure venduto i propri giocatori migliori per risanare parzialmente i conti. La Champions vinta nel 2007 non inganni: è stato l’ultimo sussulto d’orgoglio di un grande gruppo, ma il cambio di rotta c’era già stato. Quella vittoria e quella del successivo Mondiale per Club hanno dato il via alla propaganda su tutto quello che è stato vinto negli anni precedenti, probabilmente per far dimenticare ai tifosi i distacchi in doppia cifra presi dall’Inter manciniana e mourinhana. La scritta “Il club più titolato del mondo” apparve proprio dopo la vittoria a Yokohama contro il Boca Juniors. Oltre ad essere stato un bel campanello d’allarme, in quanto solitamente chi guarda ai propri successi passati è in genere chi si accontenta di dove è arrivato, la ritengo una colossale fesseria: totalmente privo di significato equiparare una Champions ad una Supercoppa Europea, così come non includere in alcun modo i titoli nazionali. Il Milan ha un palmarès invidiabile, è la squadra italiana più vincente nelle competizioni internazionali e ne sono orgoglioso, da tifoso, ma quella scritta sulle maglie è una mezza verità, ottenuta contando solo i trofei che fanno comodo.
Da lì in poi, l’escalation dei teatrini, per cercare di sviare l’attenzione dall’unico scudetto vinto negli ultimi 6 anni, nonostante il fatturato più alto d’Italia.
Prima l’acquisto di Ronaldinho nell’estate 2008, con l’inaugurazione dell’insopportabile tradizione dei live delle giornate in cui Galliani va a chiudere la trattativa per un giocatore famoso. Era così bello quando nessun giornalista sapeva chi il Milan avrebbe preso fino al momento dell’annuncio ufficiale…
Poi la mancata cessione di Kakà al City a gennaio 2009, con l’indimenticabile telefonata di Berlusconi a Biscardi, in cui venne annunciata la vittoria dell’amore sul denaro, l’atto di cuore di Kakà. Sei mesi dopo fu ceduto al Real Madrid, per far sorridere un minimo un bilancio pessimo, come antipasto di un’estate conclusa con l’arrivo di Huntelaar ai saldi, e trascorsa tra casse di banane offerte per validi centrocampisti brasiliani e tentativi maldestri di abbassare prezzi di terzini per “problemi ai denti”.
Nell’estate 2010, dopo “Dinho, il più forte di tutti i tempi” in sede di raduno, diretta live per l’acquisto di Ibra, gran colpaccio ai saldi, che ha reso possibile l’arrivo di uno scudetto in cui la mossa a mio avviso decisiva è stata proprio l’accantonamento e la cessione del brasiliano a gennaio. Nell’estate successiva, tormentone infinito su “Mister X” e “Cesc we can”, conclusosi con un bell’Aquilani in prestito. Poi la commediola di gennaio 2012 su Pato-Tevez, con foto conviviali di cravatte gialle e giocatori non ancora presi in bella mostra sui giornali, ed affari che saltano all’ultimo secondo, per ragioni non ancora chiare, dopo l’ennesimo live su Galliani e Cantamessa a Manchester per chiudere.
Infine, la scorsa estate, con Thiago Silva ad un passo dal PSG, l’indimenticabile Suma che, sono convinto, a trattativa già saltata, piazza a tutto schermo una foto di Berlusconi con la scritta: “Presidente, noi la preghiamo: lo tenga!”. Poi il rinnovo del contratto al brasiliano, il PSG che si offre di accollarsi pure lo stipendio di Ibra, e ciao ciao…
In effetti, ripensandoci bene, oltre a notare l’atteggiamento complice della stampa specializzata in tutti i vari teatrini propinatici negli ultimi anni, direi che quest’ultimo con Allegri protagonista non è stato nemmeno il peggiore. Eppure non riesco ad abituarmici, nonostante abbiano iniziato a comprare gente giovane…
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