La vanità distruttrice

Sono di questi giorni, riportate un po’ da tutta la stampa sportiva, le parole di  Squinzi, presidente di Confindustria nonché patron della grande piazza più attesa in serie A, il glorioso Sassuolo, sulle confidenze raccolte da Berlusconi, per il quale Allegri non capisce nulla.

Al di là della prontezza nel riportare ormai qualsiasi flatulenza riguardi questo rapporto, a dimostrazione che il Milan padrone dei media lo è nella fantasia di certe vittime politico-sportive da salotto, di ciccia al di sotto del fumo ce n’è eccome: troppi spifferi da giornalisti vicini al Milan, troppi spifferi da salotti romani, la domanda è: cui prodest?

Non vedo stranezze nell’opinare sulla gestione tecnica di una squadra, la stranezza sta nella tempistica, con il Milan impegnato negli ultimi tornanti di una scalata faticosissima e insperata solo qualche mese fa, quando ancora pedalava con i velocisti staccatisi alla prima pendenza.

Temo, anche se è solo la mia risibile opinione, che ci si trovi in una fase del lungo processo involutivo nel modo del presidente di porsi nei confronti del Milan.

Ai tempi della prima arrampicata, sportiva ed economica, una delle sue abilità è sempre stata quella di lasciare scelte tecniche, di mercato e di campo, ai suoi dirigenti e allenatori, per poi ricomparire a tempo debito e prendersi i meriti.

Lo si è visto ai tempi in cui Sacchi o Capello indicavano ed ottenevano giocatori come Rijkaard o Desailly, lo si è visto ancora ai tempi del nascente Milan di Ancelotti , ma già con una sfumatura diversa e maggior richiesta di spazio da parte sua, visto che il buon Carletto si trovò a gestire si uno squadrone, ma uno tra i più squilibrati squadroni della storia con quell’abbondanza di piedi buoni in mediana tanto cara al boss.

 In ogni caso, lo schema  per cui  un grande colpo di mercato o una grande vittoria erano merito suo, mentre un bidone strapagato o  una stagione pessima erano colpa di Galliani o dell’allenatore, ha funzionato benissimo per oltre vent’anni.

La rottura di tale schema è stata netta nell’estate 2008, quando ad un Ancelotti che chiedeva un centravanti, pensò bene di recapitare Ronaldinho insieme al redivivo Shevhcenko; il peso risibile di entrambi in quella stagione, diede il la all’addio di Carletto.

Per tutti gli anni a venire, nelle dispute con Leonardo e nelle punzecchiature ad Allegri, il fatto di dover staccare assegni annuali da 60 e più milioni per ripianare il bilancio, gli ha sempre fornito un motivo valido per metter becco.

Poi però si è arrivati all’anno zero, l’anno in cui la famiglia ha detto chiaramente che col Milan non voleva più rimetterci un picco, l’estate in cui nessuno della famiglia si è fatto vedere a Milanello nel momento tremendo dell’addio di Thiago e Ibra, il momento in cui il nome Milan doveva stare il più lontano possibile da qualsiasi associazione mentale con la famiglia Berlusconi.

E non tragga in inganno il mese di visite pastorali a Milanello: era di qualche giorno prima l’annuncio del rientro nell’agone politico, sarebbe comparso pure sul salvaschermo del vostro pc se ne avesse avuto la possibilità.

Il fatto è che il Milan della spending review si è rimesso in corsa, alcuni di quelli che sembravano beduini ad Aspen solo a ottobre, sono diventati mattoncini per un’idea futura di grandezza al termine di questa stagione, il Milan con giocatori giovani e facce nuove in campo si è meritato lodi da parte di moltissimi addetti ai lavori.

Si badi bene però: le lodi sono state per la dirigenza, per il tecnico, per la squadra…di lui non parla più nessuno, perché nulla ha fatto e nessun merito può avere in questa stagione.

Persino l’ultimo grande colpo di mercato, Balotelli, di quelli che piacciono tanto a lui, è figlio del brutale taglio del monte-ingaggi dell’estate scorsa, regalo di un bilancio a posto e non dono presidenziale, tanto che alla presentazione quasi non è stato menzionato, e comunque non è arrivato il consueto, gallianesco, ringraziamento…

 Se la famiglia è contenta di non dover più sborsare assegni astronomici, per lui tale carenza di ”Te Silvium”  è inaccettabile…

La sua è una richiesta d’attenzione degna del bimbo a cui nasca un fratellino, di una quindicenne nel momento in cui una più carina inizi a frequentare la sua compagnia.

Eccolo dunque attaccarsi all’eliminazione col Barcellona, e peccato se l’unica gara stratosferica di quest’anno per i catalani sia stato il ritorno contro di noi, noi che in campo mandavamo Ambrosini e Flamini contro Xavi e Iniesta, è bene ricordarlo.

Eccolo dunque attaccarsi a qualche panchina per El-Shaarawy, e peccato se è stato lo stesso Allegri a dare fiducia per mesi al giovanotto di Savona.

Eccolo dunque lamentarsi per una perdita di punti in tre scontri diretti, che ha reso impossibile arrivare al secondo posto, e peccato se già il quarto posto costituirebbe un miracolo sportivo per le premesse tecniche e ambientali in cui è maturato.

D’altra parte, lo stesso candidato che propone per la panchina, è la dimostrazione di questa astinenza da protagonismo del nostro: non parliamo di cambiare un tecnico per un altro, un Allegri per un Montella, per l’ottimo Pellegrini del Malaga dei miracoli, per un Rijkaard di ritorno dalla terra del petrolio…qui parliamo di una sua invenzione, di un Seedorf direttamente piazzato dal campo alla panchina di uno dei più grandi club del mondo, un po’ perché è uomo di carisma, un po’ perché ha il phisique du role, molto perché non ha mai mancato di orientare l’utensile lappatorio in direzione di Arcore o di Palazzo Grazioli, nulla a che vedere col ruvido e ironico livornese insomma.

Un salto nel buio bello e buono insomma, passando da difetti allegriani conosciuti a pregi, quelli di Seedorf allenatore, sconosciuti persino al buon Clarenzio, che comunque ha già alle spalle qualche brutto ricordo manageriale in quel di Monza…un tentativo di marchiare col fuoco un Milan non più suo, un Milan in cui non può più dire di esser quello che “piange e paga”, ma a cui non vuole rinunciare in sede di ringraziamenti e di sviolinate.

Una brutta, brutta situazione, in cui tutta la squadra e Galliani sono schierati al fianco del loro tecnico, dopo essersi guadagnati per un anno intero il diritto ad essere LORO il Milan, contro la vanità di uno che il Milan pretende di esserlo pure “senza portafoglio”…

Brutto camminare sullo spartiacque a metà tra un futuro migliore e un disastro, per motivi così futili.

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