L’insostenibile leggerezza del capro espiatorio

E’ ormai lontano nel tempo quel 14 Agosto 2010, quando arrivò a Milanello, in sordina e a sorpresa, un ragazzone mezzo tedesco e mezzo ghanese, dal carattere difficile e dai colpi fuori dal comune, che dopo tanto girovagare tra Bundesliga e Premier era riuscito a trovare la sua dimensione tra un Portsmouth sfortunato e retrocesso e un Ghana inconsueto protagonista del Mondiale Sudafricano. Dallo scetticismo iniziale, al suo ruolo da protagonista quale “finto 10” nell’anno dello scudetto numero 18, e all’attuale posizione di capro espiatorio il passo è breve. Tanto breve da essere facilmente sintetizzabile, a prima vista, nell’ultimo atto di insofferenza avvenuto domenica in occasione dell’ennesima sostituzione, con buona parte della tribuna rossa mandata a quel paese per i fischi e gli improperi nei suoi confronti.

Prima di andare avanti, è bene precisare che anche chi scrive ritiene ampiamente insufficiente la stagione 2012-2013 di Kevin Prince Boateng. Che volge al termine, come per tutta la squadra, dopo un cammino pieno di ostacoli e sofferenze, mentali, psicologiche e ambientali.
Impossibile infatti non tenere in debito conto, anche per quel che riguarda il giudizio sui singoli (e non solo, quindi, sul tecnico) il prologo di dismissione vissuto nella tribolata estate 2012, con un ambiente destabilizzato dalla partenza dei due pilastri della squadra, con una campagna acquisti ancora una volta in sordina, con un allenatore sempre più delegittimato, nelle parole e nei fatti, da una proprietà assente, lontana, irritante nel suo presentarsi alla ribalta sistematicamente nei momenti meno opportuni e con uscite altrettanto deleterie nei confronti della guida tecnica della squadra.

La situazione di imbarazzo iniziale è fortunatamente migliorata, l’andamento positivo della stagione, da Dicembre in poi è noto a tutti, come è altrettanto noto che diversi calciatori in rosa non sono praticamente mai riusciti a riprendersi, a tornare sui livelli della scorsa stagione o, nel caso appunto di Boateng, sui livelli delle prime due, nonostante la complessiva rimonta in classifica che ha portato la squadra rossonera dalla zona retrocessione all’attuale terza posizione.
C’è innanzitutto da evidenziare un punto di continuità, ahimè, negativo, di questi tre anni rossoneri del ragazzo di Berlino Ovest, rappresentato dai problemi fisici. Che lo hanno bloccato per due mesi nel 2010-2011, dopo il ritiro di Dubai, per altri due mesi nella stagione successiva, intervallati dalla splendida prestazione casalinga con l’Arsenal in Champions League, e che lo hanno tormentato in questa sfortunata stagione, passata tra fastidi e risentimenti muscolari che di volta in volta non gli hanno consentito di recuperare completamente la forma fisica. Lo stesso giocatore, con grande onestà intellettuale, ha ammesso di non essere stato praticamente mai al cento per cento quest’anno. Di certo non una giustificazione, ma senz’altro un punto da tenere in debito conto.

Così come non si può ignorare il palese problema tattico. La gestione di Boateng è stata abbastanza discutibile, da parte di un tecnico che pure era stato tanto abile a sfruttarne il potenziale nelle due stagioni precedenti. La rivoluzione che ha giocoforza investito il gioco del Milan, privo delle invenzioni di Ibrahimovic, della presenza fisica, tecnica e tattica dello svedese, abile ad aprire gli spazi giusti nelle difese per gli inserimenti degli incursori, sembra aver travolto principalmente il livello di prestazioni del ghanese. Per il quale Allegri ha cercato collocazioni sempre diverse, e mai definitive. Con poca chiarezza e molta confusione, da trequartista “puro”, a finto centravanti, a esterno d’attacco, con qualche sporadica apparzione nel ruolo di mezz’ala, l’unico forse realmente calzante e quello nel quale, almeno a parole, sembrava doversi esprimere con continuità anche per lo stesso tecnico livornese.
Ovviamente non è andata così, eppure è abbastanza ridicolo scaricare tutte le colpe solo ed esclusivamente sul giocatore. Reo, di volta in volta, di aver chiesto aumenti d’ingaggio, di aver cambiato troppe pettinature, di aver dedicato i gol a Melissa Satta, di avere una vita non consona a quella di un professionista, di non essere degno della maglia numero 10 o di essere più semplicemente un pippone sopravvalutato.

La verità spesso (quasi sempre) sta nel mezzo. E sarebbe più obiettivo, e oggettivo, ricordarsi che due stagioni su tre sono più che positive per questo calciatore, e che volendo andare oltre, sono tre su quattro, considerando, come scritto all’inizio, l’ottima annata con il Portsmouth e il mondiale da protagonista nel 2010. Di sicuro è altrettanto vero che alcune reazioni da parte sua sono state esagerate, e che probabilmente anche la questione, ancora in sospeso, del rinnovo del contratto, non ha giovato alla tranquillità sua, del tecnico, e dell’ambiente. Quel che è certo è che la questione è da risolvere, visto che parliamo di un calciatore importante, con grandi qualità, fisiche e tecniche. Un giocatore che probabilmente va reinserito, responsabilizzato, fatto sentire importante. Un calciatore che in maniera troppo repentina è passato da idolo dello stadio a parafulmine del malcontento degli spettatori. Tocca senz’altro a lui decidere del suo futuro e provare a riconquistare la fiducia del pubblico con prestazioni di nuovo convincenti, ma tocca anche alla società e al mister cercare di metterlo in condizione di farlo, al netto di problemi fisici e/o extracalcistici che qualora ci fossero stati è bene augurarsi non si ripetano. Soprattutto, cercando di non relegarlo in posizioni di campo che non gli competono.

In caso contrario sarebbe un peccato veder finire così presto la parentesi rossonera di un guerriero stravagante, esuberante, spesso politicamente scorretto, ma semplicemente adorabile come ha dimostrato di saper essere al meglio della condizione psico-fisica.

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