Se la vita è come una scatola di cioccolatini e non sai mai quello che ti capita, ci sono alcuni giocatori che a volte sembrano il visconte dimezzato e quando li incontri non sai mai se si tratta di quello buono o di quello cattivo. Per fortuna o purtroppo, te ne accorgi in poco tempo, spesso purtroppo.
Prendiamo Mathieu Flamini, per esempio. L’interdittore francese è entrato nel calcio che conta appena ventenne, eppure alla soglia dei 30 non è ancora riuscito a convincere appieno, rimanendo impantanato nel limbo di potenziali big che per le ragioni più svariate non confermano le aspettative e lasciano un retrogusto di incompiutezza.
In cinque anni rossoneri Mathieu è stato parte, nell’ordine, di uno squadrone infernale allenato da un tecnico navigato e vincente, di una armata Brancaleone allenata da un non-allenatore e prevalentemente trascinata dall’euforia e di un Milan post-rivoluzionario con tante soluzioni nessuna delle quali veramente efficace. Nonostante gli scenari più svariati, il francese non è riuscito quasi mai a ritagliarsi il proprio spazio, neppure quando il resto del reparto era stanco e incerottato.
Durante la prima stagione ha collezionato numerose presenze, offrendo prestazioni convincenti solo in rare circostanze -la più memorabile schierato da terzino, ruolo evidentemente non gradito visto che non vi è stato mai riproposto-. Il francese ha svolto il suo compito di interdizione senza meravigliare, confermando l’impressione della prima ora che tra i due quello forte fosse Fabregas.
Nella stagione successiva il suo impiego è calato, tuttavia Leonardo pareva aver capito come trarre il meglio dal francese, il quale per alcuni mesi ha fornito le sue prestazioni migliori con la divisa rossonera. Gli anni seguenti, causa anche ripetuti infortuni (di cui uno grave al legamento crociato), è stato schierato con il contagocce, fino a rendere di difficile comprensione le ragioni del rinnovo contrattuale.
In questa stagione di alti e bassi sono state provate una notevole quantità di disposizioni del centrocampo senza trovarne una veramente convincente, e si è arrivati a primavera quasi dimenticandosi della presenza in rosa di Mathieu. Invece, proprio ora che il reparto è ridotto all’osso, Flamini ha risposto alla grande alla chiamata del Mister, mettendo in mostra tanta voglia di fare bene e uno stato di forma strepitoso, esattamente nel momento in cui il resto della squadra pare essere entrato in riserva. Flamini ha mostrato una consistenza invidiabile, reggendo il centrocampo e trovando la via del gol. Si è anche fatto espellere, colpi del suo repertorio.
Difficile, quindi, fare valutazioni sul rinnovo, visto che non si può ancora dire con certezza se sia o meno un elemento valido e come e quanto possa contribuire alle imprese future.
Flamini non è l’unico elemento del reparto colpito da crisi di identità. Praticamente irriconoscibile è l’Antonio Nocerino versione 2012/13, deludente fino ad ingenerare il dubbio che in realtà fosse quello versione 2011/12 ad essere irriconoscibile e lasciando l’unica certezza che nell’aggiornamento qualche cosa non ha funzionato a dovere.
L’ex palermitano, prelevato al termine dell’estate 2011 con una operazione del costo complessivo di un misero milione di euro, si è rivelato l’affare dell’anno, disputando una stagione dal rendimento costante e sorprendente, coronata da 11 reti e 2 assist. Il ragazzo non riesce a ripetere le prestazioni dello scorso anno risultando meno efficace in fase propositiva e meno solido in fase di contenimento, e trovando persino la sfrontatezza di lamentarsi dello scarso impiego tramite il procuratore.
Esiste poi lo strano caso Kevin Prince Boateng, che sta diventando un autentico rompicapo. Il principe è verosimilmente il giocatore più incostante della recente storia rossonera. Il primo anno ha disputato una buona stagione giocando in una posizione ibrida tra centrocampista offensivo ed attaccante arretrato, con un rendimento in crescendo che lo ha portato tra gli elementi cardine della formazione di Allegri.
La stagione successiva è stata tormentata da continui guai fisici, ma è quella che gli ha permesso di affermarsi quale centrocampista tra i più forti della Serie A. L’imprevedibilità e la potenza fisica del ghanese tramutavano un Milan stanco e farraginoso in una formazione grintosa e costantemente pericolosa, in grado di arrivare per prima su tutti i palloni, come dimostrato con l’epica rimonta di Lecce o con l’eurogol segnato contro il Barcellona. A fine anno le statistiche parlavano di 9 reti in sole 27 presenze.
Questa stagione ha segnato un brusco passo indietro ed è stata connotata dalla confusione più totale: un avvio caratterizzato da ripetute prestazioni deludenti ed il frequente schieramento fuori ruolo hanno fatto si che la caratteristica anarchia tattica del principe creasse ulteriore scompiglio in una squadra che già faticava a trovare il proprio equilibrio. Non è ancora chiaro se possa dare il meglio nel ruolo di mezz’ala o a ridosso delle punte, ma nel frattempo la stagione volge al termine ed il magro bottino parla di sole 3 reti in oltre 35 presenze e di pagelle non sempre sorridenti.
In entrambi i casi si è parlato di giocatori graziati dalla presenza di Ibrahimovic. Lo svedese era eccezionale nell’attrarre su di sé la pressione degli avversari liberando corridoi per l’inserimento dei compagni ed infilandoci deliziosi passaggi dalla precisione millimetrica. L’analisi pare assolutamente superficiale, tuttavia è innegabile che la partenza dello svedese ha modificato completamente gli equilibri tattici della squadra che sono ancora tutti da ricercare, anche a parità di schieramento.
Non essendo ancora chiaro quale futuro aspetti i tre giocatori, possiamo comunque affermare con certezza che un buon rendimento del trio è fondamentale per la tenuta del reparto in un rush finale caratterizzato da tanti infortuni e poche risorse energetiche. Anche se in crisi di identità, se qualcuno di costoro ha ancora voglia di dimostrare ciò di cui è capace, mi sembra il momento migliore per farlo.
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