Juventus-Milan (21.04.2013) : post-partita

Il triste spettacolo dello Juventus Stadium ha chiuso come peggio non si poteva il trittico di partite clou della stagione, fotografando per l’ennesima volta l’anima di una squadra incompleta, carente sotto l’aspetto della personalità, della determinazione, della cattiveria agonistica che dovrebbero caratterizzare le partite di cartello, specie quando arrivano in momenti determinanti della stagione.

Col fiato sul collo di una Fiorentina arrivata a un solo punto di distanza già nel pomeriggio, grazie alla rocambolesca vittoria sul Torino e il contemporaneo, soffertissimo, successo del Napoli sul Cagliari (anche qui in extremis) che aveva fatto allontanare la seconda posizione in classifica, era lecito aspettarsi quell’animus pugnandi adatto alla situazione contingente da parte degli undici rossoneri. Ma purtroppo, come spesso accade, questo non si è visto. E la parabola di quest’ultimo mese inizia a somigliare sempre più pericolosamente al triste capitombolo fatto nel momento decisivo dello scorso campionato, quando la banda di Allegri avrebbe dovuto difendere il primo posto, con un vantaggio più ampio di quello che c’è ora rispetto alla Fiorentina, e con un calendario che prevedeva tre gare casalinghe su cinque nelle ultime giornate, tutte con squadre senza obiettivi.

Il dato che su tutti fa riflettere è che ormai il Milan sembra definitivamente provincializzato. Le rimonte strabilianti si fermano sistematicamente nel momento in cui il calendario riserva la partita di cartello, con una qualsiasi delle prime 6-7 squadre del nostro campionato. Scialbi pareggi, prestazioni anonime e inconcludenti : lo score degli scontri diretti è a dir poco osceno. Considerando le prime sei squadre dell’attuale classifica, su nove incontri il Milan ne ha vinto soltanto uno (!), pareggiati quattro e persi altrettanti. Impossibile mettere distanza tra sé e le rivali quando non le si batte mai. E senz’altro si può essere d’accordo con la considerazione che vuole questo Milan stanco a causa della lunga rimonta, fatta con una rosa certamente non strabiliante e con diversi giocatori fuori condizione, alcuni addirittura perennemente fuori forma da inizio anno. Si può essere poi senz’altro d’accordo con chi fa notare che il basso tasso qualitativo della rosa si evidenzia proprio nei momenti di scarsa forma, come quello che il Milan attraversa all’incirca dalla partita casalinga col Palermo in poi. Tuttavia non può bastare solo questo a giustificare l’assenza di vittorie negli scontri con le squadre di pari rango, tantopiù quando si assiste a gare come quella di ieri, dove la prima della classe, la dominatrice assoluta del campionato, con miglior attacco e miglior difesa, gioca una partita a ritmi da Trofeo Tim, quasi a non voler far male agli avversari, che tuttavia decidono di essere autolesionisti a tal punto da suicidarsi. Scenario già visto troppe volte, ed è facilissimo andare con la mente alla partita di Firenze di due settimane fa, in vantaggio per 2 a 0 e con un uomo in più. E senza voler andare al dramma sportivo della rimonta subita nello scorso campionato.

Inevitabilmente quindi Massimiliano Allegri rischia di finire sulla graticola, perchè restano questi dati di fatto da considerare. Specie nell’ottica delle voci che vorrebbero una richiesta di rinnovo e di aumento da parte del tecnico per restare in rossonero. Richiesta probabilmente prematura, e probabilmente senza i giusti presupposti, almeno ad oggi, al netto della valutazione di questi tre anni in rossonero, soprattutto ripensando al modo in cui i rossoneri hanno sprecato la chance di vincere il secondo scudetto consecutivo nella scorsa stagione. Più nello specifico, partendo dal presupposto che le squadre più forti del campionato italiano non sono affatto nettamente superiori a questo Milan (e non lo erano nemmeno lo scorso anno),  ci sono distacchi abissali in termini di punti da giustificare. Oltre alla ormai sintomatica partenza ad handicap, che è andata peggiorando di volta in volta nel triennio del tecnico livornese. C’è un deficit nell’approccio a certe partite che è ormai diventato un segno distintivo, un tratto caratterizzante. A prescindere dai momenti storici in cui certe partite vengono disputate, non si può appigliarsi sempre a motivazioni esterne. Molto probabilmente non si riesce a creare la giusta tensione, non si riesce a dare la giusta carica e a trasmettere sufficiente personalità per gestire i momenti decisivi e per reagire alle situazioni complicate, quando soffia forte sul collo il fiato dei rivali in rimonta, che sia per il titolo o per un delicatissimo e quantomai determinante terzo posto. E ci sarebbe anche da capire per quale motivo il Mister si ostini a tirare fuori dal cilindro, di volta in volta, giocatori accantonati per mesi, e rispolverati a turno nei momenti più delicati e nelle partite più difficili della stagione. Perché, onestamente, da esterni si fa molta fatica a spiegarsi il perché di un Robinho titolare con Napoli e Juventus, o di un Bojan messo in campo a Torino nel momento in cui c’era da rimontare lo svantaggio, un po’ come mettere uno stuzzicadenti a fare da frangiflutti, o ancora perché un Constant chiaramente imballato da Barcellona in poi sia stato di punto in bianco preferito a De Sciglio, il quale aveva contribuito senza dubbio alcuno ai miglioramenti del gioco sugli esterni visto da Gennaio in poi. Per tacere, infine, della scelta quantomeno azzardata di schierare il capitano Massimo Ambrosini in partite del genere, per giunta dopo un recupero da un infortunio abbastanza fastidioso, bruciandosi così un cambio con una probabilità pari almeno al novanta per cento.

Restano quindi molte ombre sul futuro rossonero di Allegri. Probabilmente a ragione. E c’è da sperare che il punticino di vantaggio possa reggere fino alla fine, magari con l’aiuto di Mario Balotelli. E’ a lui che bisogna aggrapparsi, vista la condizione psico-fisica di tutti i migliori calciatori attualmente a disposizione di Allegri. E magari sarà la sua verve a far sì che quest’anno non si subisca l’ennesima rimonta dopo un campionato passato a rincorrere per colpa di una partenza in sordina e di scelte poco felici nelle partite decisive.

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