La strana coppia

Due personaggi agli antipodi, Carlo Ancelotti e Zlatan Ibrahimovic, malgrado ciò accomunati da una lunga serie di fattori: il carisma, il professionismo esemplare, un passato macchiato di bianconero, il potere di scatenare – alla sola pronuncia del loro nome – interminabili discussioni capaci di aprire profonde spaccature in amicizie ultradecennali.

Dei successi ed insuccessi del primo, così come delle peculiari caratteristiche tecnico-tattiche del secondo, è già stato detto e scritto di tutto, lascio quindi al Prof. Ciottafava il gravame di ulteriori approfondimenti in materia.

Mentre ciò che trovo curioso è come due personaggi così profondamente diversi riescano a determinare la stessa reazione di divisione nel tifo rossonero. L’eliminazione del Paris Saint Germain dalla Champions League oppone il dispiacere dei “nostalgici” al vago senso di soddisfazione degli storici oppositori (che data l’insipidezza del Milan contemporaneo, trovano motivo di giubilo nelle sconfitte altrui, facendo proprio un infelice modus operandi tipico dei cugini).

Parimenti, il primato in League 1 può magicamente valere quale conferma del valore dei due personaggi ovvero quale risultato minimo accettabile, a seconda della tesi che si intende sostenere, e probabilmente nessuna delle due è errata in senso assoluto.

Ancelotti è probabilmente l’allenatore che ha vantato il maggior numero di tifosi anelanti il suo esonero in rapporto ai trofei conquistati. Accusato di non avere le palle, di non riuscire a farsi rispettare dallo spogliatoio e dalla dirigenza, tenendo in panchina potenziali fuoriclasse in favore di senatori decotti ed accettando supinamente campagne acquisti tragicomiche.

Ritenere che una persona che appare posata ed educata in conferenza stampa non sia in grado di farsi sentire negli spogliatoi e nel tavolo delle riunioni è una cosa idiota. Colpa di Ancelotti, of course, che ha tratto in inganno gli ascoltatori distinguendosi spesso per serietà e sportività. Ha saputo “stare al suo posto” senza mai tradire segni di nervosismo o risultare inelegante, anche quando avrebbe avuto pieno diritto di incazzarsi fino a scatenare il demonio, come, ad esempio, quando associazioni a delinquere con sede in Piemonte gli sottraevano successi strameritati.

Durante le ultime stagioni rossonere ha sofferto alla guida di un Milan stanco e demotivato – invece di migrare a Madrid come un Mourinho qualunque – dovendosi pure sorbire le critiche di quello stesso Presidente che aveva imposto Ronaldinho e il sosia defunto di Shevchenko. Nonostante ciò , ha centrato una Champions dall’impareggiabile sapore di vendetta.

Zlatan Ibrahimovic è l’esatto opposto. Se il Milan ancelottiano si esaltava nei big match pagando a caro prezzo il proprio narcisismo contro avversari ampiamente alla portata, quello di Ibrahimovic faceva incetta di punti contro le provinciali senza riuscire a confermare tali buoni risultati contro avversari di maggior livello.

A differenza di Carlo, lo svedese è irascibile, arrogante, spaccone, un personaggio letteralmente insopportabile. Fin quando non porta i tuoi colori. A dire il vero, è insopportabile anche i primi tempi che porta i tuoi colori, inducendoti a interrogarti sul perché spendere i pochi soldi in un personaggio del genere.

Poi ti sbalordisce la rapidità con la quale viene eletto leader di uno spogliatoio notoriamente imperniato sulla governance oligarchica dei senatori. Lo svedese è uno che da tutto e pretende altrettanto da chi lo circonda (alzando spesso la voce e all’occorrenza le mani). E non solo: attrae la pressione degli avversari su di sé alleggerendo il carico dei compagni. Ibra ha trascinato un ammasso di residui bellici di un’armata vincente quanto obsoleta, convincendola a scrollarsi di dosso la ruggine e a tirare fuori il meglio, fino ad un successo che l’estate precedente sembrava pura utopia. Ha restituito fiducia ed entusiasmo ad un ambiente che con lo svedese è tornato a pensare in grande.

Cosa lo accomuna ad Ancelotti? Il fatto di essere un grandissimo. E quando lo sei ti si chiede la vittoria, sempre. Il tifoso vuole solo vincere, ed è assolutamente giusto e comprensibile che sia così, perché negli anni ci si ricorda solo dei vincitori e nelle statistiche non c’è spazio per scrivere “bravo ma sfortunato”.

Questo, tuttavia, comporta delle evidenti distorsioni nella misura in cui la vittoria di una Champions League maturata ai rigori dopo una lunga serie di pareggi rende i protagonisti degli eroi, mentre una sconfitta subita in cinque minuti di follia al termine di una stagione superlativa fa degli artefici un branco di somari. Alla stessa stregua, un calciatore che vince il campionato da protagonista praticamente tutti gli anni finisce per essere spernacchiato se viene eliminato dalla Champions per mano dell’Inter (questa in effetti è grave, succede una volta ogni morte di Papa, quindi se si diffonde la prassi del pontefice che rassegna le dimissioni, sarà stridore di denti alla Pinetina).

Per questo motivo, sul curriculum di Carlo Ancelotti pesa come un macigno la lunga serie di secondi posti in campionato, e quello di Zlatan Ibrahimovic è inficiato dalle tante prestazioni anonime nelle competizioni europee. Dunque le divisioni sul loro conto restano e resteranno profonde. In tutta franchezza spero che la strana coppia vinca la League 1, giusto per sentirmi dire dagli amici: “che sforzo, l’avrebbe vinto anche mia nonna” a completa conferma che sotto sotto gli rode, seguendo l’ infelice modus operandi tipico dei cugini.

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