Anziani sui cantieri

Mani intrecciate dietro la schiena, postura un po’ incurvata, vis polemica indifferente all’età e allo sguardo di quel carpentiere rumeno, all’ennesima opinione non richiesta a voce alta; quella dei vecchi che guardano i cantieri è una delle specie urbane più diffusa e di facile adattabilità climatica.

I tifosi rossoneri , questa stagione, ricordano molto al bar o sul web certi crocchi geriatrici di cui si parlava sopra, anche nella prontezza a fornire chiavi e ricette per il miglior risultato…

-“Ma lì non dovrebbe piazzarci un Boateng?”

-“Sarà già quella la maniera di posare il Niang!”

-“Ma sarà davvero il caso di piantare del Constant sulla parete sinistra?”

Già.

Ci troviamo su di un cantiere, la cosa non capitava da tempo immemorabile, e negli ultimi 27 anni dai cantieri di Milanello sono sempre usciti periodi di frequentazione del vertice conditi da vittorie più o meno frequenti.

I due cantieri precedenti risalgono l’uno all’86-92 e l’altro al 99-2002, e si sono sviluppati in condizioni profondamente differenti l’uno dall’altro.

L’ossatura della squadra che resse le sorti  rossonere dal 1987 al 1996, si formò e venne integrata nelle condizioni migliori possibili: un settore giovanile florido (senza stare a citarli tutti, sia sufficiente il trio Baresi-Maldini-Costacurta, sfornato nel giro di otto anni di Primavera…), un proprietario pronto a prendersi tutti i meriti a posteriori, lasciando le scelte per arrivare a tali meriti ai suoi strateghi, e la disponibilità economica di un paio di Emirati a caso tra quelli affacciati sul Golfo.

La terza voce citata, consentì di inserire sul gruppo italiano già esistente quanto di meglio fosse in vendita sul mercato straniero, e di arrivare per primi su gioielli italiani come Donadoni, un tempo destinati in automatico alla Juve.

Basti pensare alla campagna acquisti dell’estate 1992, tuttora mai eguagliata da nessun oligarca o sceicco del pianeta per fuoriclasse e giocatori di livello incamerati: Pallone d’oro e suo vice, Boban di rientro dal prestito, Lentini, Eranio, De Napoli (primo caso di pensione d’oro italica, non pagata dalle nostre tasse almeno…).

Alcuni di questi, se non furono subito decisivi per le sorti della squadra, ancora dominata tecnicamente dal trio olandese, lo divennero negli anni a venire: si pensi al Savicevic che Cruyff sta ancora cercando sul prato di Atene, o al Boban fondamentale, ancora nel ’99 nel “suicidare” una Lazio immensamente più forte, con un rush finale memorabile.

L’altro cantiere partì proprio, tra notevoli incertezze, nell’estate successiva al miracoloso scudetto di Zac e non riuscì, per diversi motivi, a divenire  promettente sin dalla posa del cartello di lavori in corso.

Il settore giovanile era stato colpevolmente lasciato al declino, la Premier League iniziava ad emergere come potenza economica , in Spagna si facevano le prime prove di duopolio Barça – Real e da noi si stava ancora in sette sorelle, pronte a lottare a suon di denari televisivi su qualsiasi nome emergesse in Italia o all’estero; impensabile dunque provare a fare il bello o cattivo tempo da soli sul mercato.

Dunque, i protagonisti dell’ancora lontano ciclo ancelottiano arrivarono alla spicciolata: Sheva e Rino nel 99, Rui Costa e Inzaghi nel 2001 assieme a Pirlo, Seedorf e Nesta nel 2002.

Di soldi ce n’erano ancora, e tanti.

Non si andava più a far la spesa con assegni in bianco, ma ai pezzi che servivano ci si arrivò col tempo, tanto che Sandro Nesta nel 2002 rimane ,ad oggi, l’ultimo giocatore acquistato dal Milan nel momento in cui era il numero uno al mondo nel suo ruolo.

In definitiva, il secondo cantiere è nato grazie a pecunia, pazienza nella costruzione su più anni (anche con cantonate come Jose Mari o Javi Moreno), dabbenaggine altrui – un Pirlo a 35 miliardi all’epoca , ricordiamolo, in cui i  Mendieta al banco della carne andavano via a 45, un Seedorf scambiato col futuro terzino sinistro dell’Isola dei famosi – e la volontà, quando la costruzione era a buon punto, di ultimarla con un contrafforte decisivo come il già citato Sandrino.

E come nasce l’attuale cantiere Milan?

Un giorno, riparlandone, il mito fondativo sarà individuato in una prolungata, miope, assenza di programmazione.

Forse per Istanbul, forse per la successiva Calciopoli, la proprietà si è progressivamente distaccata dalle sorti del club.

I pochi acquisti di rilievo economico sono serviti a lucidare l’ego del padrone e la sua visione calcistica, che non prevede l’esistenza di fastidiosi intrusi dai nomi mediocri quali terzino o mediano: pezze di lusso a prezzi di realizzo, qualcuna puramente decorativa – Ronaldinho o lo Sheva-bis – qualcuna decisiva come Ibra, in ogni caso tutti seminati tra la trequarti e l’area piccola.

Tanto per capirci, se Thiago Silva invece che 9 milioni ne fosse costati anche solo 12, non sarebbe mai arrivato.

Nessuna idea di rinnovo graduale dell’ossatura della squadra che ormai mostrava la tela in più punti, la scelta conservativa di rinnovare ad libitum contratti a gente il cui valore di mercato, anno dopo anno, diventava inversamente proporzionale agli ingaggi percepiti e, da Shevchenko in poi, la cessione a cadenza triennale di uno o più big,  giusto per far respirare le casse societarie per un po’…

Inevitabile arrivare all’anno zero, all’anno in cui quasi un’intera squadra se ne sarebbe andata via gratis, inutile dire che oltre alla consueta vendita dei due pezzi migliori, non c’era lo straccio di un’idea, non c’erano soldi da investire, non c’era alcuna fiducia verso chi stava seduto in panchina.

Questo cantiere è nato per spirito di sopravvivenza, necessità, totale assenza di piani B all’orizzonte.

Per quanto il Milan abbia tradizione europea da mezzo secolo, il modo di reagire alle onde che lo stavano lanciando contro la scogliera è stato genuinamente italiano, proprio perché nessuno, dirigenza compresa, se lo sarebbe aspettato.

Robinho strapagato e ricolmo di saudade? No problem, dentro Stephan, senza paura.

Finalmente, rivedendo qualche dvd del Milan leonardiano, ci si accorge che in fondo Antonini spiccava giusto perché era uno che correva in mezzo ad un parco archeologico? Dentro Constant e, soprattutto, Mattia.

Montolivo dicono sia senza palle? Dentro, a manovrare il timone sin dai momenti peggiori della tempesta.

Niang ha finito con le cazzate adolescenziali? Che problema c’è nel farlo giocare anche se ha 18 anni? Vai M’baye, prima o poi capirai che pali e traverse non forniscono premi o bonus, nel frattempo fai sputar sangue ai poveri terzini che devono tenerti nell’uno contro uno.

Un cantiere in piccolo insomma, di quelli per cui devi far limare preventivi e provare materiali buoni ma non così costosi.

Purtroppo un cantiere ancora fragile e sulle cui sorti future non è dato sapere.

Già: perché un tempo non c’erano problemi nell’aumentare semestralmente ingaggi, nel resistere ad assalti più o meno indecenti per i gioielli più in vista.

Un tempo la proprietà, se non più disposta ad aste milionarie, accettava ripianamenti di bilancio necessari a rimodellare (spesso in modo scellerato) il monte ingaggi.

Ora tocca arrangiarsi caro A.C. Milan, ora non si può più sgarrare.

Se questo cantiere potrà portare soddisfazioni negli anni futuri sarà opportuno tagliare ogni spreco, sarà vitale che le seconde linee siano giovani, con ingaggi bassi e , male che vada, ruotabili rapidamente ad ogni sessione di mercato.

Ogni senatore che mostri oltre ogni dubbio il logorio delle campagne di guerra, dovrà essere liquidato con tutti gli onori, perché questo club non può permettersi più lunghi addii quadriennali alla Inzaghi o alla Seedorf.

Il Milan dovrà avere la forza di sedersi al tavolo con i procuratori di El Shaarawy o di De Sciglio con la massima serenità, serenità derivante dal fatto di aver messo alla porta un secondo prima quelli di Bonera o Antonini, per dire, venuti lì per bussare a denari aggiuntivi o prolungamenti che non spettano loro.

E’ l’inizio di un periodo di lavori lunghi, toccherà litigare con idraulici ed elettricisti tra lavori fatti a pene canino e preventivi che, magicamente, si alzano.

Noi, nel frattempo, restiamo qui a berciare su metodi e tempi, ci allontaniamo al massimo per un caffè ma non ce ne andiamo.

Anche perché, nonostante il maltempo e il fastidio di restare attaccati alle alle strisce oblique bianche e rosse, vedo timidi sorrisi sparsi un po’ ovunque.

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