Nelle ultime stagioni, parte della tifoseria si è trovata in dissenso con le scelte operate in sede di mercato. La dirigenza ha manifestato il vezzo di prediligere l’acquisto di pluridecorati calciatori in parabola discendente rispetto ad altri giocatori meno illustri, ma più funzionali alle necessità della squadra. Dissenso acuitosi con la presentazione di tali acquisti in pompa magna e dal fregio con slogan esuberanti al limite del delirio come “Milan regina del mercato”.
Questo modus operandi ha consentito di foraggiare la restante parte dei tifosi, giubilanti per l’arrivo dell’ennesimo campione e pronti a sventolare la prima pagina della Gazzetta durante le immancabili discussioni sotto l’ombrellone. Il ridondante riproporsi di tale situazione ha portato ad affermare che il Milan compra “figurine”, con evidente allusione all’attenzione riposta sull’immagine in spregio dell’effettiva sostanza.
In concreto, non potendo più ambire a fuoriclasse all’apice della loro carriera, si è scelto di orientarsi verso campioni sul viale del tramonto, preservando il livello tecnico nel breve periodo. Tale scelta non si è rilevata proficua sotto il profilo economico, poiché ha comportato investimenti destinati alla completa svalutazione in un arco temporale di 12/18 mesi (come Emerson, Oddo, Ronaldo, Zambrotta, ecc..). In alcuni casi il club si è trasformato in un autentico ammortizzatore sociale per ex-fuoriclasse come Amoroso e Vieri, espulsi dal ciclo produttivo e con difficoltà a trovare un nuovo impiego.
Quando il Milan ha acquistato dei campioni c’era sempre la magagna: alcuni erano in declino per ragioni anagrafiche, altri per problemi fisici seri e conosciuti, altri ancora per problemi non afferenti il mondo del calcio o semplicemente perché erano delle teste di cazzo di cui il club di appartenenza si voleva liberare. Talvolta questi calciatori hanno originato dilemmi shakespeariani in merito al corretto collocamento tattico, come nel caso di Rivaldo, Ronaldinho e di Robinho, acquistato quando Pato non era ancora da rottamare.
La società ha tenuto buona la piazza e collocato la squadra a ridosso delle prime posizioni. Ma il tifoso rossonero era abituato ad altro. Al successo, al bel giuoco, ai grandi palcoscenici. Riporre grandi aspettative su giocatori in declino (o ignoranti il significato della parola professionismo) ha affossato l’entusiasmo dell’ambiente. Quando prendi sberle in Europa League, con il titolo di regina del mercato ci fai veramente molto poco. In quei frangenti analisi sommarie e poco lucide hanno portato ad affermare che, quanto fatto, fosse completamente sbagliato; e hanno portato alla avversione aprioristica verso qualsiasi possibile acquisto di calciatori over 30.
Appena qualche anno dopo c’è la sensazione di trovarsi agli antipodi. Giusto parlare solo di sensazione, poiché l’acquisto di Nigel De Jong e l’inquietante affermazione “il gap è stato colmato” profumano tanto di presa in giro, e perché l’acquisto di Balotelli non ha entusiasmato chi avrebbe preferito rinforzi in altri reparti. Non si può tuttavia ignorare il drastico cambio di rotta: la dirigenza ha smesso di dissimulare un inequivocabile ridimensionamento per intraprendere una strategia di crescita di medio lungo termine. La rosa è composta, in buona parte, da ragazzini sulla rampa di lancio, si acquistano calciatori meno celebrati e più utili alla causa (i Nocerino, i Montolivo, i Pazzini) e sotto l’ombrellone si assiste con un cocktail di stupore e scetticismo al gongolare di tifosi di altre squadre per l’acquisto di TopPlayer del calibro di Lucio ed Anelka.
Oggi ci possiamo permettere di analizzare quanto fatto negli ultimi anni con maggiore distacco ed obiettività, riconoscendo con tranquillità che tutto sommato alcune “figurine” hanno avuto un rendimento decisamente superiore alle attese.
Non si può che iniziare con Cafu, arrivato alla veneranda età di 33 anni (28 dei quali trascorsi masticando lo stesso chewing-gum, 30 secondo gli Juventini) strappato in extremis da un aereo diretto in Giappone (trattamento riservato ai più bolliti dei bolliti). Il brasiliano si è confermato uno dei migliori esterni del campionato. Appena un anno prima fu Giuseppe Pancaro a disputare una stagione assolutamente al di sopra delle attese, e solo un anno dopo fu il colosso Jaap Stam che, superato un periodo tormentato di infortuni, trascorse una parentesi breve ed intensa in una delle formazioni più forti della storia. Arrivò dopo una lunga serie di infortuni anche Hernan Crespo, che da prima riserva offrì un contributo fondamentale in una entusiasmante stagione culminata con la doppia bruciante delusione di Istanbul e del mancato riscatto. All’epoca, l’acquisto di un campione in declino non faceva mugugnare i tifosi: eravamo comunque uno squadrone.
Anche successivamente, quando la squadra era mediamente attempata e poco motivata, ci sono state delle figurine dal rendimento soddisfacente. Tra questi sicuramente Mark Van Bommel. Quando si diffusero le prime voci sul possibile acquisto decisi di non sbilanciarmi trincerandomi dietro un diplomatico “questo che cazzo lo prendiamo a fare!?”. L’olandese è stato una diga, nonché l’unico elemento in grado di tamponare la perdita di Pirlo in fase di impostazione. All’atto del suo addio ero convinto che ci sarebbe mancato un sacco. Nell’elenco non includo volontariamente David Beckham, in primis perché non possiamo parlare di “vecchio” ma al limite di “vintage”, in secondo luogo perché nemmeno coloro che orchestrarono l’affare si sarebbero aspettati un rendimento simile. In rapporto alle caratteristiche, un contributo molto importante è stato apportato da Sulley Muntari, ultimo baluardo nel disperato tentativo di riprendere per i capelli un campionato che voleva sfuggire a tutti i costi. Non riesce ancora ad esprimersi con continuità Philippe Mexes, ma sfido chiunque a sostenere che l’acquisto non fu sensato.
Per questa ragione ritengo che non si debba cadere nell’errore di accogliere automaticamente con favore l’acquisto di un giovane talento, e contemporaneamente disdegnare il rinnovo di un senatore o l’acquisto di un ex-campione sul viale del tramonto, poiché una rosa deve sempre contenere la giusta combinazione di ogni qualità. L’esperienza, il carisma, la consapevolezza, l’abitudine ai grandi palcoscenici non sono doti di scarso rilievo. La rosa di una squadra è come la cassetta degli attrezzi di un artigiano: quante più qualità differenti vi sono, tanti più problemi si possono risolvere. Ne consegue che la stessa dovrebbe essere sempre composta da un mix equilibrato di senatori, giocatori maturi e talenti emergenti.
4 comments for “Quando gallina vecchia fa buon brodo”